ilfuturononepiuquellodiunavolta_01Francesca ha 32 anni e un lavoro part-time come insegnante di lingue in una scuola privata di Roma, due mesi fa le hanno detto che avrebbe dovuto aprire una partita Iva e lavorare come libera professionista anziché avere un contratto da dipendente. Francesca sta pensando di trasferirsi in Germania o in Austria, dato che conosce bene il tedesco e ha già trovato opportunità di lavoro qualificato.

Chiara invece non ce la fa più a resistere con i microlavoretti che qui in Italia le offrono: con una laurea in relazioni internazionali a pieni voti ha tentato di vincere un dottorato all’università ma prima del concorso le hanno detto che il posto era già stato assegnato, così all’inizio del 2017 partirà per gli Stati Uniti dove ha vinto una borsa di studio.

Massimo invece ha 34 anni e ha svolto per sei anni la professione di architetto a Roma ma negli ultimi tempi, stanco dell’esigua retribuzione e di lavorare anche nei week end senza avere diritto a ferie o malattia, ha accettato una supplenza fino a metà dicembre come insegnante di educazione tecnica in una scuola media statale, dopo chissà.

E poi c’è chi, come Mattia, una laurea non ce l’ha, ma dalla Basilicata ha deciso di trasferirsi in Asia accettando un lavoro nella ristorazione. Vito, a 25 anni e con un diploma in agraria, è stato assunto per pochi mesi come magazziniere ortofrutticolo nell’attività dello zio in un paesino del sud, sfruttando le agevolazioni del governo ma è una cosa provvisoria.

Invece Anna, diplomata e già disoccupata da tre anni, ha deciso di arruolarsi nelle forze armate: “Indosserò una divisa, avrò un lavoro, andrò via da questo Sud che non mi vuole”.

Questa manciata di ragazzi appartiene alla generazione dei Millennials, quelli che di volta in volta sono stati definiti bamboccioni (vedi Padoa Schioppa) o choosy (schizzinosi, come più di recente ha detto Elsa Fornero). I cosiddetti Millennials, cioè i giovani che hanno tra i 18 e i 34 anni, sono la generazione più qualificata e preparata che abbia mai avuto l’Italia.

call-centerQuasi tutti diplomati, molti laureati e spesso con un master o una scuola di specializzazione alle spalle, quando va bene spesso lavorano alla cassa di un fast food o come commessi, quando va male non lavorano e sono scoraggiati, non provano nemmeno più a cercarlo un lavoro. L’Istat appunto nel suo ultimo rapporto dice che un giovane su tre sotto i 34 anni è “sovraistruito”.

Questo è il capitale umano che l’Italia non premia da diversi anni, che sembra essere un esercito silenzioso e trasparente, quasi mai incluso nei piani di sviluppo.

I famosi “giovani” sono però una categoria sempre presente nei discorsi elettorali.

Spesso sono ragazzi arrabbiati che non vanno nemmeno a votare oppure emigrano all’estero in cerca di fortuna e, nella maggior parte dei casi, non tornano indietro.

Sono oltre 107mila gli italiani espatriati nel 2015. A iscriversi all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) sono state 6.232 persone in più rispetto all’anno precedente, con un incremento pari al 6,2%. Hanno fatto le valige soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni, la meta preferita è la Germania, le regioni con le maggiori partenze sono Lombardia e Veneto, come ha documentato il rapporto annuale della Fondazione Migrantes “Italiani nel mondo 2016”.

I giovani migliori e più preparati se ne vanno e il Paese è incapace ad attrarne di nuovi, come documenta l’analisi di Migrantes. “La mobilità è una risorsa, ma diventa dannosa se è a senso unico – si legge – quando cioè è una emorragia di talento e competenza da un unico posto e non è corrisposta da una forza di attrazione che spinge al rientro”. La novità – o meglio un ritorno alle origini storiche dell’emigrazione italiana – è che, pur restando indiscutibilmente primaria l’origine meridionale dei flussi, il Rapporto Migrantes sottolinea che “si sta progressivamente assistendo a un abbassamento dei valori percentuali del Sud a favore di quelli del Nord del Paese. Ciò consegue dal fatto che, negli ultimi anni, pur restando la Sicilia con 730.189 residenti la prima regione di origine degli italiani residenti all’estero (seguita dalla Campania, dal Lazio e dalla Calabria) il confronto tra i dati degli ultimi anni, pone in evidenza una marcata dinamicità delle regioni settentrionali, in particolare della Lombardia e del Veneto”.

L’Italia sta rifiutando questo capitale umano, lo fa da anni. La politica italiana non si occupa di questi ragazzi nemmeno quando decidono di restare, di accontentarsi, di fare la fame, di vivere ancora con i genitori. Al Sud, il Paese di serie B che nessun piano nazionale ha salvato, sono la maggioranza. Una generazione annientata che non farà mai parte della classe dirigente dell’Italia. Per questo oggi il fenomeno degli italiani migranti ha caratteristiche e motivazioni diverse rispetto al passato. Riguarda fasce d’età e categorie sociali differenti. Se il Programma Garanzia giovani non ha funzionato – lo ha ammesso anche il Premier Renzi – occorre trovare subito altre strade se no l’emigrazione giovanile continuerà come sempre.

emigrazioneLa Germania (16.568 unità) è stata, lungo il corso del 2015, la mèta preferita dagli italiani andati oltreconfine, secondo lo studio di Migrantes; a seguire, con una minima differenza, il Regno Unito (16.503) e poi, più distaccate la Svizzera (11.441) e la Francia (10.728). Negli ultimi giorni dal governo è venuta fuori la proposta di decontribuzione totale per chi assumerà i giovani al Sud nel 2017 a tempo indeterminato o in apprendistato. Intanto, secondo il Rapporto SVIMEZ 2016 (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, ndr), nel 2015 dieci meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta.

Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese e nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%. In parole povere, la questione meridionale è attuale più che mai.

Secondo lo SVIMEZ: “Di fronte all’enorme sottoutilizzazione del capitale umano di giovani e donne, e alla strutturale carenza di occasioni di lavoro specialmente qualificato, è importante che l’occupazione al Sud sia al centro della ripartenza, ma il divario strutturale è ancora troppo ampio. Inoltre il maggior contributo alla ripresa occupazionale meridionale è venuto dai contratti a termine e part time (agricoltura e turismo sono i settori che hanno fatto più assunzioni)”. In definitiva, sottolineano dall’istituto, “è l’occupazione atipica ad essere tendenzialmente cresciuta e in questo quadro rientra anche l’esplosione dei voucher ai quali occorre mettere un freno”.

Insomma i Millennials del Sud (i 18-34enni) sono quelli messi peggio perché sono in fondo a ogni classifica europea, facendo registrare – continua il rapporto Svimez – una condizione giovanile nel mercato del lavoro e nella formazione peggiore della Spagna e perfino della Grecia: basti pensare che al Sud ha una borsa di studio solo il 52% degli idonei contro il 92% del nord”. Per non parlare del mercato del lavoro femminile.

Forse per questo i giovani stanchi delle promesse di questi ultimi anni tornano a emigrare come i loro nonni.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi