Emilio Lussu

Il 25 aprile, anniversario della Liberazione, i nostri calendari segnano festa nazionale. Ma la Repubblica ufficialmente, celebra la ricorrenza freddamente, con circospezione e, si direbbe, molto a malincuore. E nelle nostre scuole, non se ne parla. La storia che si insegna si arresta alla fine della prima guerra mondiale, perché ai nostri sommi dirigenti è parso prudente non parlare di fascismo, e tanto meno della Resistenza e della Liberazione.

Questo decimo anniversario della Liberazione, ufficialmente, non sarà molto dissimile dalle precedenti celebrazioni annuali, se si eccettuano quelle di Cuneo, di Torino, di Milano, di Genova e di Roma, dove o il Presidente della Repubblica o i membri del Governo daranno con la loro presenza, particolare rilievo. Ma nelle scuole non se ne parlerà neppure quest’anno. L’opera storica che il governo del quadripartito ha annunciato non è ancora apparsa, e non si sa ancora quando e se apparirà. La legge che dà attuazione alla XII norma finale della Costituzione, e per cui opere apposite dovranno essere redatte per le scuole per mettere in rilievo che cosa è stato il fascismo per l’Italia, è ancora inoperante e lettera morta. Sì che i nostri giovani, se dalle famiglie non ne hanno sentito parlare, ignorano tutto sulla Resistenza e sulla Liberazione. Ecco, in succinto, che direi io nelle scuole, se fossi un insegnante, nonostante il divieto di parlare della nostra storia contemporanea:

che è la Liberazione? È l’avvenimento con cui si chiude la Resistenza armata del popolo italiano contro il fascismo e l’occupazione nazista. È la fine della guerra civile che il colpo di Stato monarchico che è stato chiamato «marcia su Roma» ha creato in Italia col portare al potere il fascismo. Ed è la fine della guerra fascista imperialistica imposta al popolo italiano da avventurieri asserviti al nazismo tedesco. La Liberazione pertanto ha questo significato: niente più guerra civile e niente più guerre. Pace all’interno e pace, fra l’Italia e gli altri popoli.

La lapide in memoria di Giacomo Matteotti a Narni

La Resistenza armata comincia con l’armistizio, all’8 settembre 1943, e finisce il 25 aprile del ’45 con la Liberazione. Ad essa ha partecipato l’universalità del popolo italiano, senza di che non avrebbe potuto avere quel carattere di grandiosità che l’ha distinta fra tutti i paesi d’Europa.

La Resistenza è stata unitaria, politicamente capeggiata da tutti i partiti antifascisti, democratici e progressivi. Questa unità è stata possibile, perché la Resistenza armata è stata la continuazione dell’opposizione irriducibile al fascismo offerta per tanti anni da uomini di tutti i partiti che hanno saputo affermare i loro ideali di libertà e di democrazia anche col sacrificio della propria vita. Matteotti, Don Minzoni, Amendola, Gobetti, Gramsci, i fratelli Rosselli, appartengono a tutte le correnti della democrazia nazionale: socialista, comunista, democratiche, cattoliche, liberali.

La Liberazione conclude la Resistenza e apre la nuova storia dell’Italia restituita a libertà. La Costituzione repubblicana è la carta della Resistenza e della Liberazione. È la nuova legge fondamentale che regola la convivenza civile di tutto il popolo italiano non più diviso, ma unito, nella democrazia e nella pace. Nella Costituzione è l’avvenire del nostro Paese. Fuori dalla Costituzione, si ricade nella avventura, nella guerra civile e nella guerra.

Dovere dei giovani è partecipare alla vita della nuova società e del nuovo secolo con lo stesso spirito della Resistenza e della Liberazione. E i giovani devono dire agli anziani e ai vecchi, protagonisti della Resistenza e della Liberazione: «Guidate l’Italia, sempre fedeli ai grandi ideali per cui è stato possibile dare al popolo italiano la certezza di una nuova vita civile. Solo a questa condizione, noi vi saremo a fianco, come i figli sono a fianco dei padri!».

(da Patria indipendente n° 8 del 17 aprile 1955)