Nel 1932 in un’intervista al giornalista Ludwig, Benito Mussolini dichiarò che la donna «deve obbedire» che nello Stato fascista «essa non deve contare».
La cosa forse più surreale del fascismo è che per esercitare il mestiere della prostituta era necessaria la tessera del Pnf. Se per l’iscrizione a un partito o a un’associazione si richiedono requisiti professionali e doti speciali, si deve quindi dedurre che per il legislatore del tempo solo le donne fasciste riuscissero a praticare il sesso con professionalità e a garantire piaceri sicuri ai focosi italiani in camicia nera. Ma dietro la retorica dei grandi valori morali si celava una realtà fatta di miseria, sfruttamento e disperazione.
La prostituzione era rigidamente regolamentata e assicurava introiti all’erario. Inizialmente le donne iscritte al Pnf erano favorite nel mestiere della prostituta fino a quando nel 1938 la tessera divenne obbligatoria come per tutti gli altri lavori. Erano previsti perfino “esami di abilitazione al regolare meretricio”. Ma non solo: “dopo l’abilitazione c’era un severissimo tirocinio con tanto di apprendistato quasi gratuito in un locale di meretricio di Stato abilitato, in cui si mettevano alla prova le aspiranti al ruolo”. Ogni venerdì, quando la casa di tolleranza era chiusa al pubblico, con l’arrivo del prete le prostitute, da “brave cristiane”, avevano l’obbligo di confessarsi e fare la comunione. Nel caso di violazione, la donna era sanzionata con ammonimenti verbali e la tenutaria doveva fare una segnalazione per comportamento “non retto”.
Le norme igienico-sanitarie erano severissime: le prostitute venivano sottoposte a visite mediche due volte alla settimana e “tutte possedevano un set per verificare la presenza di malattie veneree attraverso l’esame di una goccia di sangue”. Le case di tolleranza, poi, “erano anche un luogo dove molti andavano a prendere le medicine passate dal Duce o i disinfettanti contro i pidocchi, ed erano anche usate come vespasiani pubblici con bagni e acqua calda, a cui si poteva accedere pagando una piccola quota”.
Chi erano le prostitute e come vivevano
Si trattava donne abbandonate dai mariti costrette alla prostituzione dalla povertà. Davide Scarpa, un ex impiegato con la passione per le cose antiche, che anni fa ritrovò tantissimi documenti e diari (1), precisa che «Alcune risultavano vedove anche se vedove non lo erano». Racconta ancora: «Gli organi del partito fascista avevano fatto sì che la persona non più reperibile venisse dichiarata morta dopo 5 anni. Di modo che le mogli potessero esercitare la prostituzione, perché le donne sposate non potevano fare le prostitute. I figli invece venivano affidati agli istituti pubblici e una parte della retta era pagata dal Comune».
Entrare in una casa di tolleranza significava essere condannate all’ergastolo perché le prostitute non potevano lasciare le strutture in quanto “erano considerate donne che attentavano alla debolezza dell’uomo italiano”. Le poche che uscivano “per andare a esercitare a domicilio per gli invalidi di guerra o i disabili”, rischiavano insulti e percosse. Mussolini riteneva i postriboli un ostacolo alla politica demografica del fascismo basata sul “dare figli alla Patria”, ma di fronte al fatto che “su una popolazione di trenta milioni, gli italiani che andavano a prostitute erano 10 milioni, praticamente quasi tutti” (2) capì che non era il caso di intervenire. Significativo che quando ci fu la Marcia su Roma i bordelli di Roma registrarono il tutto esaurito.
La prima volta di Mussolini
Nelle case di tolleranza il clima era di grande squallore, descritto bene dallo stesso Mussolini (3) quando racconta la sua iniziazione sessuale in una casa di tolleranza: «Una domenica ci recammo a Forlì, in una casa innominabile. Quando entrai sentii il sangue affluirmi alla faccia. Non sapevo che dire, che fare. Ma una delle prostitute mi prese sulle ginocchia e cominciò ad eccitarmi con baci e carezze. Era una donna attempata, che perdeva il lardo da tutte le parti. Le feci il sacrificio della mia verginità sessuale. Non mi costò che cinquanta centesimi» (4). Altrettanto fa lo scrittore Dino Buzzati: «Non tutte quelle donne erano delle grandi artiste. La maggior parte si limitava a prestazioni affatto rozze o banali. Di tanto in tanto si incontravano però dei tipi che facevano addirittura trasecolare, oltre che per la bellezza, per il garbo, il magistero tecnico, la fantasia, l’intuito psicologico, la passione del mestiere, perfino la delicatezza d’animo, tutte qualità che oggi invano potete cercare sui marciapiedi, nei night e nelle case d’appuntamento».
Le case di tolleranza vietate ai confinati politici
Come pena accessoria ai confinati politici era imposto il divieto di frequentare oltre che le osterie anche le case di tolleranza. Nel verbale di consegna della carta di permanenza al confino a Ponza di Sandro Pertini (5) viene riportato il verbale con questo divieto: «L’anno 1935 (A. XIV) il giorno 10 del mese di dicembre in Ponza nella direzione della colonia di confino, davanti a noi dott. Coviello Francesco direttore della colonia è presente il nominato Pertini Alessandro fu Alberto e di Muzio Maria nato il 29.5.1896 a Stella S. Giovanni (prov. di Savona) di condizione avvocato, il quale con ordinanza della commissione provinciale di Genova è stato assegnato al confino di polizia per la durata di anni […]. Prescrizioni: […]. Non frequentare postriboli, osterie o altri esercizi pubblici».
La prostituzione male minore. Una rassegna
La legalizzazione della prostituzione trova autorevoli sostenitori nel passato. In particolare Agostino d’Ippona, vescovo del IV secolo, preoccupato degli ardori sessuali dei maschi riteneva: «Che cosa di più sconcio, di più vuoto di dignità, di più colmo d’oscenità delle meretrici, dei ruffiani e simile genia? Eppure togli via le meretrici dalla vita umana e guasterai tutto col malcostume» (6).
Tesi ripresa più tardi da Tommaso d’Aquino, il quale dimenticando che le donne sono persone con un’anima, ribadì: «La donna pubblica è nella società ciò che la sentina è in mare, e la cloaca nel palazzo. Togli la cloaca, e l’intero palazzo ne sarà infettato». La difesa della società divenne il principio a cui sacrificare i corpi delle donne dei postriboli.
La prostituzione era considerata il pilastro della moralità sociale perché permetteva all’uomo di soddisfare i propri bollori sessuali salvando la santità della famiglia e l’onestà delle donne di buona famiglia, evitare l’omosessualità, l’incesto, la sodomia e la masturbazione. Un’analisi cinica in cui si smarrisce il messaggio evangelico che siamo tutti creature di Dio e si sacrificano le donna più povere e disperate per tutelare le donne «oneste» e ovviamente ricche. Dal punto di vista scientifico si inserisce l’intervento di Lombroso, medico criminologo positivista, che nel XIX secolo affermava di poter distinguere una donna criminale da una donna onesta dal solo aspetto fisico. Tale distinzione era scientificamente fondata sul fatto che a suo parere esistono «caratteri degenerativi», ovvero anomalie fisiche, che permettono di sostenere l’esistenza di vere e proprie «criminali-nate» e di distinguerle dalle donne «normali», ovvero da colei che non delinque. Con criteri pseudoscientifici propone come esempi di donne nate delinquenti e prostitute Agrippina, Messalina, Charlotte Corday e le brigantesse meridionali delle quali individua degenerazioni fisiche e morali, facendo riferimento alla misurazione del crani e alla struttura anatomica del corpo.
Per gli uomini questi metodi d’indagine furono presto abbandonati; al contrario il concetto di donna delinquente fu a lungo utilizzato in criminologia come strumento pseudoscientifico per giustificare ideologicamente l’inferiorità della donna in una società fortemente maschilista e ossessionata dai nascenti femminismi. Questi fantasmi forieri di una mentalità maschilista e razzista emergono in maniera dirompente quando alla fine degli Anni 50 la senatrice Lina Merlin, già tra le 21 donne in Assemblea Costituente, propose l’abolizione delle case di tolleranza.
Nell’occasione Indro Montanelli, terrorizzato dalle conseguenze sociali del provvedimento, scrive: «Un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. La famiglia, la famiglia all’italiana, funziona solo finché le figlie sono vergini, cioè finché hanno dinnanzi agli occhi lo spauracchio del lupanare, in caso di “deviazione”. Il giorno in cui ad esse si conceda di “vivere la loro vita” senza timore di finire in quei serragli, l’Italia è destinata a diventare uno di quei Paesi protestanti, dove la condizione di “vergine” non esiste, come non esiste quello di “puttana”, tutte le donne essendo accomunate in un limbo intermedio». Lo stesso Benedetto Croce per il Partito liberale italiano dichiarò: «Eliminando le case chiuse non si distruggerebbe il male che rappresentano, ma si distruggerebbe il bene con il quale è contenuto, accerchiato e attenuato quel male» (7).
La legge Merlin
Le case di tolleranza furono chiuse nel 1958 grazie alla coraggiosa battaglia politica della senatrice socialista Lina Merlin, già confinata politica in Sardegna e poi partigiana. aiutata nelle sue inchieste sulla prostituzione dalla giornalista Carla Voltolina, moglie di Sandro Pertini. La battaglia – contestata da destra, sinistra e centro – inizia nel 1955 con la pubblicazione di Lina Merlin insieme a Carla Barberis delle testimonianze delle prostitute nel volume Lettere dalle case chiuse. In proposito, Sandro Bellassai spiega che: «Il disegno della senatrice era rivoluzionario e femminista perché per la prima volta faceva riflettere sulla condizione delle prostitute che, a quell’epoca, erano considerate cittadine di serie B. Queste poverine non potevano aprire attività commerciali, non potevano sposare militari e rappresentanti delle forze dell’ordine. Addirittura quando fu dato il voto alle donne, nel febbraio del ’45, furono espressamente escluse» (8).
Lina Merlin si scontrò duramente contro i molti uomini, con parole di fuoco definì i clienti dei bordelli «corrotti» e propose un progetto etico per il cittadino: «Sviluppiamo la coscienza sessuale del cittadino: aprite ai giovani i campi sportivi per esercitare gli sport; moltiplicate gli Alberghi della Gioventù e spianate le vie dei monti e dei mari, anziché lasciare i giovani affollare i vicoli della suburra in attesa del loro turno dietro la porta del lupanare. Fate che non imparino dalla malizia del compagno più esperto come si genera la vita, ma fate che imparino dall’insegnamento scientifico quanto essa è bella e sacra nel fremito delle piante e degli animali, uomo compreso, che la rinnovano nell’amore! […] La sfrenatezza della vita è un sintomo di decadenza. Il proletariato è una classe che deve progredire. Non gli occorre l’ebbrezza, né come stordimento né come stimolo. Dominio di sé, autodisciplina, non è schiavitù, nemmeno in amore! Signori, questo è l’insegnamento di Lenin ai giovani del suo Paese, e anche noi dovremmo accoglierlo perché esso non contraddice ai nostri credi! […] I clienti sono spesso uomini corrotti, sposati e non scapoli soltanto. Sono altresì studenti, operai, soldati che vengono condotti per la prima volta nel lupanare per soddisfare una curiosità. Non resterebbero certamente casti senza la regolamentazione, ma neppure cederebbero ai primi stimoli della passione, quando ancora non hanno le ossa ben formate. Ma ciò avverrebbe più tardi, con un atto normale e sano» (9). La legge fu approvata dalla Camera con 385 favorevoli e 115 contrari, grazie al contributo di parlamentari come Scalfaro, Boggiano Pico, Terracini, Merzagora, Lombardi.
La prostituzione nella storia d’Italia
Cavour sull’esempio francese introdusse le prime norme per regolare le case di tolleranza in particolare l’obbligo di essere lontane da chiese e luoghi pubblici, di avere una sola porta di entrata e di uscita, e di tenere le finestre sempre chiuse. La prostituzione era considerata utile alla società, purché praticata in modo sano, pulito e separata dalla società. Il ministro Crispi introdusse modifiche ai regolamenti con la legge sulla pubblica sicurezza del 1889 e della legge della pubblica sanità del 1891. In questi anni nasce una nuova sensibilità con l’onorevole Luzzati che fonda a Roma il Comitato nazionale della Federation abolitioniste internazionale e a Torino l’Association catholique pour la protection de la jeune fille per il recupero delle prostitute. Questi movimenti e altri furono soffocati dal fascismo che provvide dare una rigida organizzazione della prostituzione nel T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza del 1931 che prevedeva l’obbligo di schedatura delle prostitute e le visite mediche obbligatorie per il controllo delle malattie veneree.
Una decina di anni fa, la Lega Nord aveva presentato una proposta al Parlamento italiano e all’Europarlamento e i consiglieri regionali del Carroccio Mauro Manfredini, Manes Bernardini e Stefano Cavalli avevano chiesto all’allora presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, di promuovere un’iniziativa alle Camere per disciplinare la prostituzione, «un’evidenza che da oltre 50 anni è consegnata all’anarchia pur di non ammetterne l’esistenza e affrontarne i risvolti. La storia non è riuscita a cancellare la prostituzione e ipocrisia e moralismi hanno solo peggiorato la situazione. Forse è meglio guardare al fenomeno con realismo e trovare – pragmaticamente – la risposta più adeguata» (10).
Il Museo delle case di tolleranza
Esiste oggi un Museo delle case di tolleranza, nato per caso quando, nel 2010, gli operai di una ditta edile ritrorovano nell’intercapedine di una casa in demolizione a Casarsa (Pordenone), documenti, borse, gioielli, vestiti paillettati, cappelli, ondulacapelli e persino preservativi degli Anni Venti e Trenta. In quelle povere cose era racchiusa la storia delle prostitute italiane nel ventennio fascista. Davide Scarpa racconta: «I documenti erano un po’ bruciacchiati, visto che in quel muro passavano i fumi di una stufa, e i sacchi di iuta erano ricoperti di sporcizia e umidità. Una persona che conoscevo mi ha contattato, sapendo della mia passione per le cose vecchie. Mi sono accordato con gli eredi della casa su una piccola cifra e ho comprato il materiale». Con questo materiale restaurato Scarpa ha realizzato la Mostra-Museo delle Case di Tolleranza. L’allestimento rappresenta una perfetta ricostruzione di una casa di tolleranza negli Anni Venti e Trenta.
Attualmente il Museo è senza fissa dimora, ma ci si può collegare alla pagina Facebook.
Vinicio Ceccarini
NOTE
(1) Linkiesta, Prostitute durante il fascismo, i documenti ritrovati da Davide Scarpa;
(2) Ibidem;
(3) Mussolini Benito, La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911, scritta nel 1911-12 e pubblicata solo dopo la sua morte;
(4) Aurelio Lepre, Mussolini l’italiano. Il Duce nel mito e nella realtà, Mondadori, Milano, 1995;
(5) Pertini Sandro, Sei condanne e due evasioni. Mondadori, Milano, 1982;
(6) Agostino d’Ippona, De Ordine, con note di Giovanni Catapano;
(7) Da Cavour alla Merlin. Le prostitute in strada? Regole, non moralismi, archiviostorico.corriere.it; e Matteo Dalena, Puttane antifasciste nelle carte di polizia, Ilfilorosso, 2017;
(8) Sandro Bellassai, docente Università di Bologna, nel suo saggio La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni Cinquanta, Carocci, Roma, 2006);
(9) Lina Merlin, I clienti dei casini sono uomini sposati e corrotti, 12 ottobre 1949 su cinquantamila.it, 5 luglio 2017;
(10) Bologna today «La Lega Nord ha presentato una proposta a Roma e all’Europarlamento e in una risoluzione, i consiglieri regionali del Carroccio Mauro Manfredini, Manes Bernardini e Stefano Cavalli chiedevano al presidente della Regione Vasco Erranidi promuovere un’iniziativa alle Camere affinché si torni a disciplinare la prostituzione, un’evidenza che da oltre 50 anni è consegnata all’anarchia pur di non ammetterne l’esistenza e affrontarne i risvolti. La storia non è riuscita a cancellare la prostituzione e ipocrisia e moralismi hanno solo peggiorato la situazione. Forse è meglio guardare al fenomeno con realismo e trovare –pragmaticamente – la risposta più adeguata». Giovanni Azzolini, sindaco leghista di Mogliano Veneto per due mandati, l’ultimo fino al 2014, aveva proposto di riaprire “quelle case” chiuse dalla legge Merlin del 1958: la raccolta di firme per un referendum aveva trovato d’accordo gran parte dei suoi concittadini, concordi nel liberalizzare la professione della prostituta.
Pubblicato venerdì 6 Settembre 2024
Stampato il 07/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/prostituzione-un-mestiere-solo-per-le-donne-fasciste/