In un libro per la terza elementare, la marcia è presentata in maniera distante dalla verità storica, e non poteva essere altrimenti: il Duce è il capo di una travolgente marea di camicie nere, «ottantamila» si scrive nel manuale, che invade la capitale e che permette a Benito Mussolini di accingersi «alla fatica titanica di rinnovare l’Italia». I libri sono tanti, non solo manuali scolastici, ma anche libri di lettura edificante a uso dei giovani. Attraverso i pannelli espositivi, la mostra ci guida nel tentativo da parte del regime di educare e indottrinare l’infanzia ai modelli totalitari e, come ha scritto Franzinelli recentemente, nel tentativo di «trasformare i bambini in ingranaggi della macchina bellica fascista, attraverso la scuola».
Abbiamo intervistato il curatore della mostra, Gianluca Gabrielli.
La mostra è stata organizzata pensando sia alle studentesse e agli studenti delle scuole sia ai cittadini, nel senso che non si voleva tanto approfondire una tematica storiografica per specialisti del settore quanto scegliere alcuni contenuti storiografici ormai assodati in ambito scientifico e presentarli a un pubblico più ampio, avvalendoci della forma mostra e di un’articolazione per temi che ne facilitasse la comprensione. E volendo presentare la mitizzazione scolastica della data fondante del regime, dovevamo per forza mettere a confronto il mito con la realtà.
Si è scelto di strutturare la mostra in due parti: da una parte la presentazione della marcia su Roma e degli elementi che la prepararono e la resero possibile, dall’altra la narrazione che ne fu fatta nelle scuole, evidentemente ben diversa dalla realtà storica. Abbiamo scelto di utilizzare fonti documentarie emblematiche perché una mostra deve andare incontro ai fruitori che provano a visitarla e comprenderla stando in piedi e in breve tempo. Nella sezione storica sono incluse molte immagini fotografiche, molti brani tratti da documenti d’archivio e da testimonianze, nonché alcune vignette del disegnatore socialista satirico dell’epoca Scalarini, che in tempo reale dimostrava di comprendere bene quanto stava accadendo. Per la sezione relativa al mito scolastico, abbiamo utilizzato brani e disegni tratti dai libri di testo, soprattutto i testi unici imposti dal regime a partire dal 1930, ma non mancano i testi degli alunni, le copertine dei quaderni e molte foto di iniziative celebrative svolte a scuola o in piazza con i bambini rigorosamente inquadrati in divisa balilla. La scelta di narrare l’oggetto della mostra attraverso le fonti nasce in coerenza con l’idea di una didattica laboratoriale, a contatto diretto con i documenti storici. Siamo infatti convinti che negli studenti e nelle studentesse che lavorano direttamente, in maniera attiva sulle fonti storiche, crescano da una parte la motivazione e l’interesse e dall’altra si sviluppi la capacità di trarre inferenze dai documenti in maniera critica, competenza fondamentale anche nel quotidiano lavoro di interpretazione del presente.
La marcia su Roma giunge al culmine di due anni e più di violenze squadriste e permette a Mussolini di avere l’incarico di governo e prendere in mano il destino della nazione. Ciò non significa che la marcia delle camicie nere verso Roma, così come la vittoria dello squadrismo, fossero ineluttabili: la dichiarazione di stato d’assedio poteva essere firmata dal Re, gli episodi di Sarzana e di Parma dimostrano che senza complicità e interessi solidali lo squadrismo poteva essere fermato. Insomma, la presa del potere del fascismo e la marcia su Roma vanno compresi nel contesto del primo dopoguerra, tenendo presente la violenza fascista ma anche la complicità della monarchia e di parte della classe politica liberale, il sostegno ai propri interessi di agrari e industriali e la divisione della sinistra, con la sua sottovalutazione del problema. La marcia su Roma quindi non costituisce da sola l’elemento che permette al regime di fondarsi, ma in essa confluiscono tanti aspetti che la rendono decisiva. Se è vero che occorreranno ancora tre anni al fascismo per eliminare gli elementi dello Stato liberale e dare vita compiuta alla dittatura, il colpo che questa presa di potere inferse alle capacità di resistenza negli oppositori del fascismo fu veramente pesante. È quindi comprensibile che il regime abbia scelto questa data da celebrare come anno della sua fondazione, della nascita di una nuova era.
La macchina della propaganda si pose al lavoro immediatamente per convincere tutta la popolazione che il fascismo aveva rifondato la storia e l’Italia. Mentre garantiva la continuità dei poteri economici, Mussolini parlava retoricamente di rivoluzione. Questo grandissimo impegno propagandistico del fascismo continuò fino agli ultimi anni di guerra e si rivolse con particolare insistenza ai giovani, che dovevano essere educati al fascismo.
Le cronache della marcia che si incontrano nei libri scolastici fascisti per i più giovani descrivono un’epopea, un racconto quasi leggendario in cui ritornano le figure eroiche dei quadrumviri, del duce, la potenza militare delle squadre auto-organizzate e composte da giovani reduci della Grande guerra vestiti con divise improvvisate, animati da uno spirito di crociata. Spesso la narrazione è vista con gli occhi pieni di stupore e venerazione di bambini che ammirano i fratelli maggiori o i padri e che fremono, desiderosi di unirsi alle colonne in marcia. Non mancano i riferimenti alle azioni violente, che sono però sempre descritte come delle risposte, delle reazioni ai “rossi” o ai “sovversivi” che in queste pagine attaccano sempre per primi, di nascosto, a tradimento.
La realtà è ben diversa, lo squadrismo fascista si muove con finanziamenti degli industriali e degli agrari e potendo contare spesso sull’impunità garantita da carabinieri, polizia ed esercito. Le violenze contro le leghe contadine, le Camere del lavoro, le redazioni dei giornali di opposizione non sono certo risposte ad altre violenze, ma un coerente progetto di distruzione dell’opposizione.
Sono testi di pura propaganda che cercano di includere nel racconto della marcia tutti gli elementi retorici con cui il fascismo vuole autorappresentarsi. Nel pezzo che hai indicato, i protagonisti si spostano in gran parte a piedi, sono equipaggiati come i combattenti della Grande guerra, si proteggono dalla pioggia con “mantelline fruste”… Insomma, sono il popolo povero che si arma “di niente” e si trasfigura nel legionario romano per affermare la rinascita dell’Italia imperiale. Ovviamente non compaiono i finanziamenti degli agrari e degli industriali alle squadre per attaccare gli scioperi, né si specifica che le camionette venivano spesso fornite dalle caserme che sostenevano la repressione dei partiti di opposizione.
Sì, certamente, per richiedere gratuitamente la mostra o avere informazioni potete scrivere a me, all’indirizzo gianlucagabrielli8@gmail.com
Pubblicato giovedì 17 Novembre 2022
Stampato il 28/09/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/quando-in-classe-era-gradita-la-camicia-nera/