La Resistenza contro l’occupazione nazifascista è stato fenomeno plurale e nazionale: si è sviluppata, infatti, secondo vari tempi e modalità, coinvolgendo diverse culture politiche dell’antifascismo, molteplici luoghi e classi sociali, includendo le donne, che inaugurarono le lotte per l’emancipazione, e il Sud che, sebbene non sia poi riuscito a percorrere altrettanti itinerari di riscatto, diede prova della sua capacità di opporsi contro i tedeschi occupanti.
A buon diritto si parla di Resistenza Meridionale, pur non paragonabile a quella del Nord, sia perché si sviluppò in un arco di tempo legato alla breve occupazione dell’esercito tedesco, sia perché fu episodica e per lo più spontanea, sia perché su di essa cadde rapidamente l’oblio negli anni del dopoguerra.
Tuttavia, i Meridionali, che diedero vita alle azioni sviluppatesi a Sud o che militarono nelle formazioni partigiane del Nord, si segnalarono per la quantità e la qualità del loro impegno, anche se le loro storie rimangono ancora in gran parte sconosciute.
La recente storiografia ha fatto però emergere con chiarezza il ruolo del Mezzogiorno nella lotta di Liberazione, smentendo decisamente la visione di un Sud del tutto inerte e filofascista: un recupero della memoria e un interesse storiografico verso l’argomento a cui l’Anpi nazionale ha fatto da apripista con il progetto di ricerca “Il contributo del Mezzogiorno alla Liberazione italiana (1943-1945)” finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per il 70° anniversario del 1943-1945, e che da allora vede coinvolti in particolar modo molte Anpi provinciali, l’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, l’Istituto storico per la Resistenza di Torino, l’Istituto campano per la storia della Resistenza e un buon numero di studiosi. Alcuni avevano già avviato ricerche, fra loro Gabriella Gribaudi, Gloria Chianese e Aldo De Jaco.
Nel settembre del ’43, dopo l’annuncio dell’armistizio, il Sud si oppose, con l’insurrezione di alcune città e la ribellione di molti civili e militari, alla barbarie delle truppe di occupazione tedesche. Larghi strati della popolazione insorsero a Bari, Matera, Napoli, Lanciano. In risposta alla ferocia degli ex alleati tedeschi e dei loro collaboratori fascisti nel teramano, il 25 settembre 1943, a Bosco Martese, si registrò una delle prime battaglie partigiane. Ha scritto Gloria Chianese: la rivolta popolare nacque “in primo luogo come reazione al terrore tedesco”, e fu “strettamente connessa agli eccidi” e alla volontà di ritorsione degli ex alleati tedeschi, che si sentivano traditi.
In particolare, da qualche tempo, l’attenzione storiografica si è rivolta anche alla Basilicata e ha cominciato a mettere in luce la durezza del passaggio delle truppe tedesche nella regione, colpita contemporaneamente anche dal flagello dei bombardamenti alleati, spesso inspiegabili da un punto di vista militare (il caso di Potenza). In quel contesto maturò, nella popolazione, e nelle forme note al mondo contadino, la necessità di difendersi dalla violenza della Wermacht e di opporsi ai collaboratori fascisti. Crebbe la rivendicazione sociale che sfociò nella ribellione di Matera ma anche di Rionero e altri paesi, scontata con la rappresaglia degli occupanti e l’uccisione di decine di civili.
Gli studiosi concordano che “la prima Resistenza”, cioè quella Meridionale, abbia avuto carattere contadino, collegandosi saldamente alla rivendicazione delle terre. A Maschito (PZ), dopo l’8 settembre la popolazione affamata si rivoltò contro i fascisti e la monarchia, dando vita a una delle prime repubbliche partigiane, la Repubblica di Maschito (settembre-ottobre 1943). Storie simili a Sanza nel salernitano, Calitri nell’avellinese e Caulonia nel reggino. Durante queste brevi esperienze, le cosiddette “repubbliche partigiane-contadine”, guidate per lo più da contadini analfabeti, provvidero all’equa distribuzione delle scorte alimentari e, a fronte del fallimento della politica agraria fascista, avviarono la divisione delle terre.
Le sollevazioni, nella maggior parte dei casi, si conclusero con eccidi di civili e di militari: oltre 2.000 furono le vittime delle rappresaglie (particolarmente dura fu l’occupazione nazista nel Casertano). Ma per il Mezzogiorno, a differenza di quanto è accaduto per le stragi avvenute a Nord, anche sui crimini di guerra nazisti è prevalsa una lunga rimozione della memoria, che solo negli ultimi tempi si cerca di recuperare.
Accanto alle forme della Resistenza civile, fu a Sud che si svilupparono significativi atti di Resistenza militare. Si costituì, in Abruzzo, la Brigata Maiella, che dal territorio d’origine risalì la penisola fino al Veneto. Più o meno contemporaneamente, in provincia di Brindisi, nacque il Primo Raggruppamento Motorizzato, formato da sbandati meridionali, che, nonostante le diffidenze degli Alleati, fornì loro non pochi ed eroici contributi nella Campagna d’Italia, diventando in seguito il nucleo iniziale del Corpo Italiano di Liberazione.
Ancora da definire in termini percentuali (probabilmente intorno al 15/20%) la presenza dei Meridionali nelle formazioni partigiane che combatterono nell’Italia centro-settentrionale. Utile sarebbe uno studio organico sulla loro partecipazione alla Resistenza, che ne faccia comprendere le dimensioni e l’articolazione.
Fu comunque una presenza numerosa, da mettere in relazione con la crisi militare seguita alla rovinosa gestione dell’armistizio, che comportò sostanzialmente l’abbandono delle Forze Armate da parte dello Stato. Nel caos che ne derivò si scrissero le scelte dei soldati rimasti intrappolati a Nord, dopo l’armistizio.
Moltissimi Meridionali, di stanza nelle regioni del Nord, erano fra le centinaia di migliaia di militari che furono catturati e deportati nei campi di prigionia in Germania e in Polonia (oltre 700 000), classificati come IMI, Internati Militari Italiani, e non come prigionieri di guerra. Ridotti in schiavitù per il rifiuto di aderire al nuovo esercito di Salò, la loro fu “l’altra Resistenza”, quella silenziosa e senza armi. Alla fine del conflitto si contarono tra le 40 e le 50.000 vittime IMI nei lager.
Nell’elenco dei 129 cittadini di Lauria caduti o dispersi nella Seconda guerra mondiale, si leggono 17 nomi di soldati morti nei lager tedeschi. Molte decine furono i reduci IMI del Lagonegrese, delle cui drammatiche vicende la comunità ha perso il ricordo sin dall’immediato dopoguerra.
Altri sbandati meridionali, nell’impossibilità di tornare nelle regioni d’origine, scelsero di far parte delle formazioni partigiane, nelle cui file militarono anche lavoratori e studenti emigrati a Nord durante il fascismo, nonostante le restrizioni imposte dal Regime.
Nel 2013 una ricerca, condotta dall’Istituto storico per la storia della Resistenza di Torino, ha calcolato oltre seimila combattenti meridionali presenti in Piemonte (circa 8000 se si comprende anche la Valle d’Aosta), fra cui 200 Lucani (12 i caduti in combattimento o fucilati). Nella Resistenza piemontese e valdostana, sono stati rintracciate, per ora, le storie di Giuseppe Carlomagno di Lauria (banda Ruitor di Giustizia e Libertà) e Nicola Carlomagno di Nemoli (112cesima Brigata Garibaldi, fucilato dai nazifascisti a Villeneuve il 7 novembre 1944).
L’Anpi sezione Lauria – Valle del Noce, sulla base di varie fonti d’archivio, ha rilevato la presenza attiva di 50 combattenti provenienti dal Lagonegrese, che operarono nel Nord Italia o furono coinvolti direttamente nei movimenti di Liberazione dei Paesi occupati fino all’8 settembre 1943 (come nel caso di Domenico Carlomagno di Lauria, partigiano in Jugoslavia, festeggiato nel gennaio 2016 dagli iscritti Anpi della sezione Lauria – Valle del Noce). L’Anpi sezione Lauria – Valle del Noce sta già lavorando alla raccolta dei dati biografici di coloro che partiti dal nostro territorio, scelsero di combattere per la Liberazione dell’Italia.
Le loro vicende sono ancora poco conosciute, perché, come sugli Imi, anche sui partigiani, al loro rientro al Sud, calò il silenzio, se non la diffidenza per l’impegno armato. In più, nel clima della divisione del mondo in blocchi e dei dissidi fra i partiti che avevano partecipato alla Resistenza, la smobilitazione delle formazioni partigiane non comportò all’epoca alcun riconoscimento del loro sacrificio: i combattenti per trovare un posto di lavoro, in più di un caso, avrebbero dovuto sottoscrivere la tessera dei partiti al potere. In tanti ripresero la strada del Nord, rifiutando i compromessi. La loro partecipazione alla Resistenza era ormai solo una esperienza chiusa. E a Sud, spesso perfino nelle famiglie d’origine, si perse il ricordo di civili e militari, di intere comunità, che pagarono alla Patria il loro tributo, anche supremo.
Diffondere le loro storie come fa l’Anpi sezione Lauria – Valle del Noce, rilanciate recentemente anche da Fidapa Lagonegrese, non è retorica né sterile ideologia: è, invece ricerca e conoscenza di una storia cominciata 80 anni fa, che ha visto anche il Sud protagonista, e indica con forza la via della fedeltà alla Costituzione e della difesa della Democrazia.
Ora e Sempre!
PS: Una proposta: si individui un luogo per onorare, anche nella sua terra d’origine, con una targa o una lapide, Nicola Carlomagno, nato a Nemoli il 12 /4 /1925, della 112ª Brigata Garibaldi, distintosi in numerose azioni contro i nazifascisti, catturato nel corso di un rastrellamento, fucilato il 7 settembre 1944 a Villeneuve (Aosta). L’ Anpi sezione di Lauria – Valle del Noce lo ha fatto emergere dall’oblio, recuperandone la storia in un opuscolo pubblicato il 25 aprile 2015, intitolato “Dalla Valle del Noce alla Valle d’Aosta”.
Rita Galietta, Anpi sezione Lauria – Valle del Noce
Pubblicato martedì 19 Settembre 2023
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