Panorama di San Miniato (PI)

Una cittadina toscana dall’importante storia democratica, San Miniato, quasi 28mila abitanti in provincia di Pisa su un colle a metà strada tra la città della torre pendente e Firenze. Pagò duramente l’opposizione al regime fascista sia durante il ventennio – per le “azioni inumane, persecutorie, squadristiche, discriminanti e oppressive” – sia nella lotta di Liberazione.

San Miniato, al passaggio del fronte di guerra

Con un carico di morti civili, 250, e le distruzioni per i bombardamenti nella guerra voluta da Mussolini, la deportazione e l’internamento in Germania dei tanti militari che dopo l’8 settembre dai campi di battaglia si rifiutarono di combattere assieme ai nazisti e alla repubblica di Salò e ancora l’uccisione di antifascisti, partigiani e combattenti per la libertà.

Lo stemma di San Miniato

Dal dopoguerra San Miniato ha continuamente riaffermato la vocazione democratica, repubblicana e di pace anche nei simboli: il 22 giugno 1946 intitolò la piazza adiacente al Municipio a Giuseppe Mazzini, revocando la precedente dedica ad Arnaldo Mussolini, il fratello del duce; e recentemente con il conferimento all’unanimità della cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre e a Patrick Zaki ha voluto stigmatizzare una volta di più l’abominio delle leggi razziali antiebraiche varate nel 1938 e difendere i diritti umani nel nostro tempo.

A San Miniato le istituzioni hanno sempre continuato ad accompagnare la democrazia con gli strumenti propri di un’istituzione locale: nel 2017 venne approvata la mozione per “contrastare la vendita e la diffusione di oggettistica raffigurante immagini, simboli o slogan rievocativi dell’ideologia fascista”, nel 2018 quella che nega “l’occupazione di aree pubbliche da parte di soggetti ispirantisi ai disvalori del fascismo, del nazismo o contrastino coi valori della Resistenza”; e nell’ottobre scorso, dopo l’attacco alla Cgil, una mozione di condanna dei fatti gravissimi e la richiesta di scioglimento di Forza Nuova.

Marcia su Roma, ottobre 1922

Eppure a San Minato Benito Mussolini era ancora cittadino onorario, un riconoscimento datato 12 maggio 1924, imposto al pari di altre migliaia di realtà italiane dal commissario prefettizio e ratificato dal consiglio comunale alcune settimane più tardi. Un posto nel pantheon degli onori stridente con i valori affermati dalla Costituzione italiana. Così una mozione presentata il 18 marzo scorso nel parlamentino cittadino dai gruppi Cambiamenti, Pd, Uniti Si Può, Riformisti per San Miniato e Italia Viva ha voluto rimettere il Comune in linea con la storia migliore del Paese. Ricordando inoltre come l’istituzione locale “ha sempre praticato e manifestato partecipando attivamente alle lotte per la democrazia, la libertà, la pace, l’uguaglianza, la giustizia sociale, la cooperazione e per l’emancipazione delle persone e l’inclusione dei nuovi cittadini, contro la guerra, contro ogni forma di violenza e di sopraffazione, contro le dittature e i totalitarismi, contro le ingiustizie, l’emarginazione e le discriminazioni delle persone”.

La delibera sulla revoca della cittadinanza a Mussolini è stata accolta a maggioranza con 12 voti favorevoli. A votare contro (Forza Italia si è astenuta) i tre consiglieri della Lega. La motivazione? La solita e incoerente: revocando la cittadinanza onoraria si cancella la storia. Eppure il documento precisava che non si intendeva affatto “cancellare un ventennio di storia italiana, bensì pretendere e riconsegnare il massimo rispetto e dignità all’onorificenza della cittadinanza onoraria del nostro Comune”.

Il municipio di San Miniato

Un pretesto a cui hanno voluto replicare il sindaco Simone Giglioli e il consigliere delegato alla memoria, Michele Fiaschi “Nessuno – osservano – vuole cancellare un ventennio di storia italiana, bensì pretendere e riconsegnare massimo rispetto e dignità all’onorificenza della cittadinanza onoraria del nostro Comune. Accostare il nome di Mussolini a Patrick Zaki o alla senatrice a vita Liliana Segre, testimoni e simboli della negazione dei più basilari diritti umani, ci sembra alquanto anacronistico. La scelta di revoca compiuta dal consiglio comunale – concludono Giglioli e Fiaschi – non è solo un atto simbolico rivolto al nostro tragico passato, ma vuole essere un’affermazione presente e futura di ripudio dell’odio razziale e della guerra, ricalcando i valori antifascisti che sanciscono la nostra Costituzione e il nostro statuto comunale”.

Dunque si tratta semplicemente di scrivere un nuovo capitolo di storia democratica. Le revoche entrano nell’Albo pretorio e nella storia di una Comune oltre che del Paese o oppure no? Forse val la pena ricordare alla Lega come San Miniato venne ulteriormente umiliata quando fu costretta a votare l’onorificenza al duce. Nel 1921 sindaco e giunta erano stati costretti alle dimissioni dalle squadracce e nei giorni della marcia su Roma, ottobre 1922, il Municipio e gli uffici pubblici vennero  occupati dai fascisti. I carabinieri provarono strenuamente di difendere l’ufficio del telegrafo. Ma gli eventi nazionali ebbero la meglio e la comunicazione arrivò: Mussolini aveva formato un nuovo governo a cui tutti dovevano adeguarsi.  Il 30 ottobre a San Miniato i fascisti sfilarono nelle strade, padroni della città. Probabilmente, ancora oggi, la Lega è immune da ogni sentimento di riscatto.