Chiudere i confini marittimi meridionali dell’Unione europea: questo l’obiettivo dell’accordo sottoscritto a Malta il 3 febbraio tra i leader dell’Ue e Fayez al-Sarraj, primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli. Nell’accordo si parla di addestramento, fornitura di materiale e altre forme di sostegno alla guardia costiera libica, oltre alla creazione di nuovi centri per migranti e ad un programma di sostegno al rimpatrio volontario di chi attualmente si trova in Libia. L’accordo prevede lo stanziamento di 200 milioni di euro per coprire le necessità più urgenti.
Nella dichiarazione finale di Malta si conferma inoltre l’impegno nei confronti del patto Ue-Turchia e del sostegno ai Paesi situati lungo la rotta dei Balcani occidentali. L’Unione europea ha accolto con favore ovviamente anche il memorandum firmato il giorno prima tra le autorità italiane e il primo ministro libico Al Serraj ed è pronta a sostenere ogni sforzo nell’attuazione dell’intesa Italia-Libia.
«Sulla rotta del Mediterraneo centrale nel 2016 si sono registrati più di 181mila arrivi, mentre il numero di persone morte o disperse in mare ha raggiunto un nuovo record ogni anno, a partire dal 2013», si legge nella dichiarazione finale de La Valletta.
Secondo i dati dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) dall’ottobre 2013 a gennaio 2017 i morti e i dispersi nel Mediterraneo sono stati 13.288.
Governare la rotta del Mediterraneo sembra attualmente impossibile, la situazione politica in Libia continua ad essere incerta nonostante gli accordi e le dichiarazioni programmatiche. Infatti, qualche giorno dopo la sigla dell’accordo sulla lotta all’immigrazione firmato dal governo di unità nazionale libico con l’Italia, il parlamento di Tobruk nell’est del Paese ha definito nulla l’intesa (ndr: attualmente vi sono in Libia due governi rivali, insediati rispettivamente a Tripoli e Tobruk).
Secondo il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), quelli definiti nell’accordo di Malta sono «respingimenti per delega». L’attore diretto delle azioni “difensive” nei confronti del flusso di migranti proveniente dalle coste libiche in questo caso non sarebbe più una forza navale europea, ma la Libia in cambio di soldi, aiuti, mezzi, formazione.
«Un piano che prevede diverse azioni finalizzate a prevenire il traffico degli esseri umani, a rafforzare le autorità e la Guardia costiera libiche, per meglio gestire i confini, e ad assicurare rinvii e “sbarchi sicuri” sulle coste della Libia di quei migranti e rifugiati intercettati dalle stesse autorità del Paese nelle acque nazionali. Questa pratica consentirebbe di travestire i respingimenti in Libia realizzati dall’Italia nel periodo 2009-2010 in acque internazionali, per i quali il nostro Paese è stato duramente condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo», si legge nel comunicato della onlus.
«Questa operazione “per delega” non cambierebbe però il risultato: la violazione del principio di non refoulment che prevede l’impossibilità di respingere i rifugiati verso territori in cui la loro vita o libertà sarebbero minacciate. Troviamo inaccettabile che dietro la narrazione del salvataggio delle vite umane e della necessità di combattere il traffico di esseri umani, si nascondano politiche attuate con l’interesse prioritario di prevenire in realtà l’arrivo dei migranti e rifugiati nel territorio dell’Unione», dichiara Roberto Zaccaria presidente del CIR.
Il destino dei migranti è una delle principali sfide dell’area mediterranea. I centri per migranti previsti dal piano Ue-Libia saranno potenziati con l’aiuto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Poi una parte di fondi sarà destinata al rafforzamento dei confini libici e Tunisia, Egitto, Niger e Algeria offriranno un ulteriore sostegno.
«Insieme a molti libici, migranti e rifugiati sono fortemente colpiti dai conflitti in corso e dall’interruzione dell’ordine pubblico in Libia. Un numero imprecisato di migranti e rifugiati, in particolare coloro che sono vittime dei trafficanti in Libia e quelli in stato di detenzione, sono sottoposti a gravi abusi e violazioni dei diritti umani», ribadiscono in un appello congiunto OIM-Unhcr qualche giorno fa. «Migranti e rifugiati sono trattenuti in stato di detenzione al di fuori di qualsiasi procedura legale e in condizioni che sono generalmente disumane. Sono esposti a malnutrizione, estorsione, torture, violenza sessuale e altri abusi», continua l’appello delle Nazioni unite.
Insomma questa è una crisi globale che non coinvolge solo la Libia, ma anche i Paesi di origine, di transito e di destinazione. L’approccio è quello dato dalla «necessità di guardare ai fattori chiave che danno origine ai flussi di migranti e rifugiati – si legge ancora nell’appello Onu – migliorando allo stesso tempo i percorsi regolari».
Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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