viva-la-costituzioneNon c’è dubbio che il progetto di riforma costituzionale posto all’attenzione degli elettori nel referendum che si terrà nel prossimo autunno, veda nella configurazione del Senato il proprio baricentro.

Non che questo sia l’unico intervento riformatore del disegno di legge costituzionale proposto dal Governo, dal momento che – inammissibilmente – esso reca una pluralità di modifiche costituzionali (oltre alla riconfigurazione del Senato e delle sue attribuzioni, la soppressione delle Province e del CNEL, la risistemazione e il riaccentramento dei rapporti tra Stato e Regioni) sì da impedire all’elettore che dovrà pronunciarsi sulla riforma un giudizio selettivo e libero sulla medesima, ma è certo che nel comune sentire – probabilmente influenzato dalla propaganda governativa – quello del Senato è il nodo principale e caratterizzante della riforma.

Ne discende allora che una prima valutazione dell’oggetto di questa riforma e delle possibili conseguenze della sua definitiva approvazione dovrà muovere proprio dalla posizione del Senato, in considerazione principalmente del fatto che esso viene configurato come espressione, non già dei cittadini, ma delle Regioni e delle autonomie locali, mettendo così in forse il carattere democratico di tutta la struttura costituzionale che la riforma intende disegnare.

Ciò risulta significativamente dal 4° comma del proposto nuovo art. 55 in cui è detto che “Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali” e non più la Nazione come invece viene ribadito per i componenti della Camera dei deputati.

In altre parole, è ben chiaro l’intento del legislatore costituzionale di fare del Senato, non un organo rappresentativo della Nazione, ma, rompendo e interrompendo ogni collegamento con i cittadini elettori, un organo di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (cioè i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni) (v. il citato art. 55, comma 4).

Considerate le principali competenze che la legge di riforma assegna al Senato, sorge però il dubbio che esso non svolga mere funzioni di coordinamento tra istituzioni centrali e nazionali, ma anche funzioni riferite alla legislazione statale e funzioni relative alla formazione di organi costituzionali, quali il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale.

Ne discende allora che la perdita di rappresentatività nazionale del Senato, unita al mantenimento di funzioni costituzionali nazionali, indebolisce (se non addirittura smentisce) il principio supremo dell’art.1 della Costituzione dell’appartenenza al popolo della sovranità, se non altro perché funzioni rilevantissime, quali quella legislativa-costituzionale e legislativa ordinaria, ed equilibri politici fondamentali, quali quelli che mettono capo alla posizione del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, risultano almeno in parte affidati ad un organo non rappresentativo.

Il professor Federico Sorrentino (da http://www.padovando.com/foto/2015/03/sorrentino.jpg)
Il professor Federico Sorrentino (da http://www.padovando.com/foto/2015/03/)

In realtà la composizione che del nuovo Senato stabilisce la proposta di modifica dell’art. 57 desta più di una perplessità anche relativamente alla sua supposta rappresentatività delle istituzioni locali.

Si legge, infatti, in tale articolo che esso è composto da 95 senatori eletti e da 5 senatori nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica.

L’elezione dei primi dovrà avvenire, secondo quanto si apprende dal nuovo art. 57, ad opera del Consigli regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, con metodo proporzionale, tra i propri componenti e “nella misura di uno per ciascuno” (dei Consigli regionali e provinciali) tra i Sindaci dei Comuni dei rispettivi territori.

Poiché nessuna Regione potrà avere un numero di senatori inferiore a 2 e identicamente le Province di Trento e di Bolzano, la ripartizione dei seggi fra le Regioni, proporzionalmente alla popolazione, dovrebbe dare il seguente risultato:

– di 95 senatori elettivi, 6 o 8 saranno eletti dai Consigli regionali delle Regioni meno popolose (Valle d’Aosta, Molise e, probabilmente, Basilicata) e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano a cui il testo assicura almeno 2 seggi, senza peraltro specificare se si tratti di consiglieri regionali (o provinciali) ovvero di Sindaci;

– i restanti 89 o 87 seggi dovranno essere ripartiti in proporzione delle rispettive popolazioni tra le restanti Regioni nella misura di circa 4/6 seggi senatoriali per Regione (87:17=5).

Ne discende, in conclusione, che le Regioni più piccole (e le Province di Trento e di Bolzano) dovranno eleggere al massimo 2 senatori (tra i loro consiglieri e tra i sindaci di comuni compresi nelle loro circoscrizioni territoriali) e le più grandi non più di 4/6 (tra consiglieri regionali e sindaci).

In un quadro del genere diventa difficilmente realizzabile l’obiettivo prefigurato dall’art. 57 di elezioni con metodo proporzionale dei senatori spettanti a ciascuna Regione. Pur includendo – come sembra suggerire la norma transitoria dell’art. 39 della legge costituzionale – nelle liste elettorali di candidati senatori da eleggersi dai consigli regionali anche i Sindaci, è evidente che un’elezione di pochi candidati difficilmente potrà consentire un’elezione proporzionale alle forze politiche presenti nei consigli regionali stessi e che i pochi senatori eletti risulteranno appartenere in massima parte alla maggioranza regionale e pochi alla principale forza di opposizione.

Ne deriva una prima conclusione: sebbene la legge di riforma costituzionale dichiari di voler configurare il nuovo Senato come espressione rappresentativa delle comunità territoriali, la sua composizione rende evidente che solo alcuni (22) dei circa 9.000 Comuni italiani troverebbero una loro qualche rappresentanza, nessuna delle Città metropolitane risulterebbe rappresentata (meno che mai le Province, che vanno verso la soppressione), mentre le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sarebbero rappresentate tramite consiglieri regionali prevalentemente appartenenti alle rispettive maggioranze. Infine ben 5 tra i componenti del nuovo Senato, in quanto nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica tra “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (v. il nuovo art. 59), non rappresentano per definizione alcuna realtà locale, ma, se mai, la Nazione nel suo complesso. Ad essi, naturalmente, dovranno aggiungersi, sia pure in via transitoria (ma si tratterà di una transizione importante), gli odierni senatori a vita, che rimarranno in carica, secondo quanto dispone il comma 7 dell’art. 39 della legge costituzionale; con il che il numero di senatori non elettivi salirebbe a 10, onde quasi il 10 % del nuovo Senato non sarà per nulla elettivo.

Da http://www.greenreport.it/wp-content/uploads/2015/10/italia-sud-mezzogiorno-svimez.jpg
Da http://www.greenreport.it/wp-content/uploads/2015/10/italia-sud-mezzogiorno-svimez.jpg

Quanto al metodo di elezione dei 95 senatori elettivi, ben 22 di essi saranno sindaci scelti dal Consiglio della Regione in cui il loro comune è collocato, con votazione a maggioranza e saranno quindi espressione della maggioranza consiliare e non certo del Comune di provenienza. Va comunque detto che, siccome la permanenza in carica dei sindaci-senatori è legata alla durata della carica di sindaco e non alla legislatura del Consiglio regionale, potrà accadere che il sindaco eletto da una maggioranza consiliare di un colore rimanga in carica quando, sciolto il Consiglio regionale, si sia formata in seno ad esso una maggioranza diversa. Sotto quest’ultimo profilo si rileva come i sindaci-senatori, benché eletti dai Consigli regionali, vedrebbero la loro autonomia rafforzata dalla circostanza che il loro mandato non coinciderebbe con quello dei consiglieri regionali e che potrebbero essere in taluni casi espressione di una differente maggioranza politica.

Detto questo per i sindaci-senatori, quanto ai Consiglieri regionali-senatori la legge costituzionale prevede che essi siano eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo” dei Consigli regionali, sulla base di quanto dovrebbe stabilire una legge approvata da entrambe le Camere (v. il nuovo art. 57, commi 5 e 6).

Questo inciso, che nelle intenzioni del legislatore costituzionale sembrerebbe destinato a creare un pur lieve legame rappresentativo con gli elettori regionali, in realtà ha uno scarso rilievo. Infatti, secondo quanto è lecito intendere, in sede di elezione dei Consigli regionali, gli elettori dovrebbero poter indicare quali dei consiglieri eletti potranno candidarsi alla carica di senatori, magari esprimendo una specifica preferenza in tal senso; ma resterebbe assodato che solo con l’elezione da parte dei Consigli regionali si acquisirebbe l’ufficio di senatore.

Sulla base della disciplina costituzionale sin qui descritta risulta evidente come il nuovo Senato, che la legge di revisione definisce rappresentativo delle istituzioni territoriali, in realtà rappresenti al più i Consigli regionali (e delle Province autonome) che hanno provveduto all’elezione di gran parte dei suoi membri. Da un lato, infatti, i Comuni non possono dirsi rappresentati dalla scelta di sindaci-senatori fatta dai rispettivi consigli regionali, se si riflette: a) che solo una piccola parte di essi vede eletto il proprio sindaco a senatore (22 su 9.000); b) che la scelta, dato il meccanismo individuato dalle norme transitorie, che probabilmente saranno riprese dalla legge prevista dal nuovo art. 57 – se e quando interverrà –, non tanto interessa il Comune rappresentato, ma il colore politico del Sindaco che sarà eletto (con l’aggravante che, in caso di suo venir meno, egli sarà sostituito, non dal sindaco subentrato nel medesimo Comune, ma dal primo dei sindaci non eletto della lista cui apparteneva il sindaco cessato).

La stessa rappresentatività dei senatori nei confronti delle Regioni è, poi, a mio avviso, del tutto ambigua: da un lato, infatti, non è stata accolta la soluzione tedesca che vede rappresentati nel Bundesrat i governi locali, dall’altro non è nemmeno lecito parlare di rappresentanza dei Consigli regionali, se la loro articolazione politica nei diversi gruppi consiliari viene – come necessariamente verrà – ridotta alla rappresentanza delle maggioranze locali con una piccola partecipazione delle opposizioni più forti. Del resto l’assenza di vincolo di mandato sancita nel nuovo art. 67 (senza più il riferimento alla rappresentanza nazionale) sembra confermare questa conclusione.

Quel che sicuramente accadrà nelle Regioni più piccole e nelle Province di Trento e di Bolzano che riceveranno al massimo 2 seggi, sarà una rappresentanza quasi totalitaria delle forze politiche di maggioranza, che eleggeranno sia un Sindaco che un consigliere regionale.

Quanto, infine, alla rappresentatività dei cittadini, questa è esclusa dallo stesso testo di riforma che, da un lato, parla, come si è visto, di rappresentanza delle comunità territoriali, in contrapposizione a quanto previsto per la Camera dei deputati, che invece continuerebbe a rappresentare la Nazione, e, dall’altro, per il fatto che il nuovo testo dell’art. 67, genericamente riferito ai membri del Parlamento, nell’escludere il vincolo di mandato, non esplicita se esso sia riferito, come per il passato, ai cittadini.

la sovranità appartiene al popoloIn verità è ben noto ai costituzionalisti che quando si parla di rappresentanza politica non si allude semplicemente all’elettività del rappresentante, ma è altrettanto noto che l’elettività ne è un presupposto necessario.

Nel caso di specie, non solo i senatori non sarebbero eletti dai cittadini, i quali difficilmente potrebbero intervenire sulla composizione del nuovo organo, se non nella misura, a dir poco illusoria, della designazione dei consiglieri regionali quali candidati al Senato.

L’elezione si svolge tutta, come visto, a livello dei Consigli regionali e lo scarso numero di senatori ad essi assegnati rende difficile realizzare una corrispondenza proporzionale tra i voti dei cittadini e quelli dei consiglieri regionali, tenuto anche conto della tendenza maggioritaria delle vigenti leggi elettorali regionali.

L’assenza di vincolo di mandato rende dunque ancor più labile ogni legame politico dei nuovi senatori con gli elettori regionali.

Né l’idea di una elezione cosiddetta indiretta (come quella del Presidente degli Stati Uniti o quella del Senato francese) può in questo caso determinare un qualche legame con i cittadini, visto che essi sono chiamati semplicemente ad eleggere consiglieri regionali e sindaci per lo svolgimento del loro mandato, ma senza un reale conferimento dell’ufficio di senatore.

Se, infine, si considera che, come detto, nel nuovo Senato saranno presenti almeno 10 senatori non elettivi (circa un decimo) e si configura questa realtà come un’elezione da parte dei Consigli regionali che sarà dominata dalle forze politiche di maggioranza, ne discende che esso, nonché  rappresentativo delle istituzioni territoriali ovvero organo di coordinamento tra centro e periferia, finirà per configurarsi come espressione dei partiti politici dominanti nelle regioni e probabilmente nella Camera dei deputati, sì che la sua funzione di contropotere nei confronti di questa si dimostrerà del tutto vana.

Federico Sorrentino, costituzionalista, già ordinario all’Università degli studi di Roma La Sapienza e Presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti