«C’è un enorme buco nero nella storia e nella democrazia italiana, sono i 25mila morti delle stragi naziste e fasciste ancora senza verità né giustizia. Dopo oltre 70 anni, appena per un centinaio di quelle vittime si è ottenuto un processo e la condanna all’ergastolo dei responsabili, tedeschi e austriaci, dei crimini di guerra compiuti nel nostro Paese tra 1943 e 1945. Chiudere con dignità questa dolorosa vicenda è un dovere morale dello Stato italiano sia nei confronti dei morti, dei loro familiari e delle comunità territoriali che ne furono teatro, sia per responsabilità verso le nuove generazioni. È un monito per il futuro perché simili tragedie non si ripetano. Significa rafforzare la democrazia e la libertà». Luciano Guerzoni, Vice Presidente nazionale Vicario dell’ANPI, spiega così in conferenza stampa alla Camera dei Deputati il senso di una lunga, importante giornata.
È il 6 dicembre, l’Aula di Montecitorio si deve esprimere su una mozione il cui primo firmatario è Andrea De Maria, ex sindaco di Marzabotto, sottoscritta da altri ottanta deputati di diversi Gruppi parlamentari (PD, Sinistra italiana, gruppo Misto, finanche Conservatori e riformisti). «La mozione è stata presentata anche al Senato ed è frutto di un lavoro portato avanti di concerto con le associazioni della Resistenza», ha voluto precisare De Maria. E a sottolineare l’importanza dell’evento ci sono i rappresentanti delle principali Associazioni Combattentistiche e della Resistenza: capofila l’ANPI con Claudio Maderloni, Gianfranco Pagliarulo e Sergio Sinchetto, oltre a Guerzoni, poi i delegati della Confederazione e dell’ANMIG, della FIAP, dell’ANRP e dell’ANPC, della FIVL, dell’Associazione Vittime Divisione Acqui, dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra e del Comune di Marzabotto.
La mozione impegna il Governo italiano a non restare più alla finestra, ad attivarsi in ogni modo affinché la Germania esegua le sentenze di condanna pronunciate dai tribunali militari italiani per gli eccidi dei civili sul territorio nazionale e dei nostri soldati nelle isole greche, commessi dalle SS e dalla Wermacht tra l’8 settembre ’43 e il 25 aprile ’45. Il documento parlamentare chiede inoltre a Palazzo Chigi di “far sì che ai primi atti di riparazione facciano seguito iniziative concrete e consistenti, volte alla ricostruzione di una memoria storica condivisa e alla riparazione morale per le vittime, secondo le richieste formulate da molte associazioni e dall’ANPI”. Anche con il rinnovo, per il quadriennio 2018-2021, del Fondo italo-tedesco per il futuro, della promozione di ricerche sulla Resistenza senza armi degli Internati Militari italiani nei lager tedeschi, delle misure necessarie alla conservazione dei luoghi di memoria della seconda guerra mondiale e della lotta partigiana. Un nuovo punto di partenza perché una “grande vergogna” non resti impunita.
Infatti dopo venti anni di dittatura fascista e venti mesi di lotta per liberare il Paese dall’occupazione tedesca e dalla Repubblica di Salò, per il popolo italiano le vicende dolorose non finirono. Anzi. Si aprì una nuova pagina di sofferenze per la rimozione dei fatti, complice l’occultamento dei verbali con le testimonianze dei sopravvissuti agli eccidi raccolte a ridosso degli avvenimenti da carabinieri e militati Alleati. Si pensava a un Tribunale internazionale, a una Norimberga italiana, invece migliaia di carte per decisione dei governi di allora vennero riunite a Roma e negli Anni 60, come recitava la formula giuridica, “provvisoriamente archiviate”. Poi l’insabbiamento: 695 fascicoli con le notizie di reato vennero sepolti nei sotterranei della cancelleria della procura militare a Roma, nell’ormai tristemente famoso “armadio della vergogna”. Sarebbero dovuti trascorrere quasi altri cinquant’anni perché, dopo la sua scoperta, potessero tenersi i pochi processi ancora possibili visto il trascorrere del tempo.
Ancora oggi non si conosce neppure il bilancio delle atrocità compiute. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste e il database disponibile on-line realizzato grazie all’impegno dell’ANPI e dell’INSMLI, l’Istituto storico per il Movimento di Liberazione in Italia, ha già contato circa 23.000 morti solo in territorio italiano, in oltre 5.000 eccidi perpetrati da nazisti e fascisti, insieme e separatamente. Crimini di guerra commessi durante la ritirata tedesca dopo l’8 settembre, dal Sud al Nord Italia. Lo scempio contro l’umanità non avvenne solo a Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Civitella in Val di Chiana. I macellai cominciarono subito le carneficine: in Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania. Orrori di cui finora si sa ben poco. Il lavoro degli storici avviato con la mappatura delle stragi, finanziata col Fondo italo-tedesco per il futuro, va avanti e la stima definitiva potrebbe superare i 25.000 morti: soprattutto donne, bambini e anziani. Il primo sterminio accadde in realtà fuori dai confini italiani. Ed ebbe come obiettivo l’esercito italiano. Più di 10.000 soldati della Divisione Acqui di stanza a Cefalonia e a Corfù vennero uccisi per non aver accettato di arrendersi. Altre migliaia furono deportati nei campi di prigionia.
«Una prima Commissione bicamerale di inchiesta parlamentare sulla vicenda dell’armadio della vergogna, avviata nel 2003, si concluse con due diverse mozioni, una di maggioranza e una di minoranza, ma non si è mai andati in Aula», ha ricordato Luciano Guerzoni che allora ne fece parte come senatore. Emerse per di più l’esistenza in totale di quasi 2.300 fascicoli, di gran parte dei quali la cittadinanza e gli storici sanno poco o nulla.
Intanto da decenni i familiari delle vittime continuano a chiedere giustizia, inutilmente. La Procura militare è riuscita a istruire alcuni processi e a condannare all’ergastolo 57 criminali di guerra tedeschi, oggi ultranovantenni. Ma l’esecuzione delle sentenze non è mai avvenuta e l’estradizione dei colpevoli è stata sempre negata.
I promotori della mozione hanno spiegato che, ovviamente, non si chiede il carcere per soggetti così anziani, ma un segnale di riparazione morale da parte della Repubblica Federale Tedesca, quello sì. È una questione di democrazia. E così il documento De Maria riaccende le speranze di verità e giustizia. Mentre in Aula prende avvio la discussione generale, in tribuna siedono i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e della Resistenza. La consapevolezza del rilievo dell’occasione è palpabile. Non era mai accaduto che un Aula del Parlamento affrontasse il tema dell’inerzia dello Stato italiano nei confronti delle richieste dei familiari delle vittime e della società civile.
Fino al 2000, peraltro, la Germania non prevedeva l’estradizione dei suoi cittadini per i crimini nazisti. In seguito la normativa venne parzialmente cambiata, ma senza l’assenso da parte del condannato l’estradizione non può tuttora avvenire e bisogna fare i conti anche con alcune inadempienze del nostro Paese. Un esempio, nel corso della discussione generale, lo riferisce in Aula Laura Garavini, deputata Dem eletta nella circoscrizione Estero Europa, Presidente dell’Intergruppo parlamentare di amicizia italo-tedesco. Riguarda Wilhelm Kusterer, ex sergente della 16ª Divisione Panzer SS, uno dei boia di Marzabotto, condannato a due ergastoli in Italia, al quale la cittadina in cui risiede conferì addirittura un’onorificenza al merito civile. Decorazione subito ritirata per le proteste italiane. Ma se l’amministrazione comunale tedesca si dichiarò ignara del passato dell’esemplare cittadino tedesco, non così la Corte di appello di Karlsruhe che nel 2013 motivò il rigetto dell’estradizione in Italia per la mancata ratifica da parte del nostro Paese del Protocollo aggiuntivo, datato 1997, alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate. Eppure Berlino sta scrivendo un’inedita pagina nella giurisprudenza tedesca, segnala la deputata Garavini: con una sentenza esemplare, l’Alta corte tedesca ha modificato una decennale consuetudine e condannato a quattro anni di carcere Oskar Gröning, il “contabile di Auschwitz”, colpevole di strage pur non avendo materialmente partecipato ad alcun assassinio. Colpevole perché operò per lo sterminio. Finora migliaia di nazisti in Germania l’avevano fatta franca per mancanza di prove sulla loro partecipazione diretta ai crimini. La decisione dei giudici tedeschi potrebbe dunque aprire un nuovo capitolo anche per le estradizioni.
L’iter della mozione De Maria è poi proseguito nel pomeriggio del 6 dicembre e, durante la pausa della sessione parlamentare, i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e della Resistenza sono stati ricevuti dalla Vicepresidente della Camera Marina Sereni. Un incontro durante il quale ognuno dei presenti ha potuto riferire le aspettative e i progetti già ideati per dare corso e sostanza all’azione di memoria, senza dimenticare, oltre ai 600.000 ex IMI (Internati Militari Italiani), i 70.000 civili internati nei campi di lavoro nazisti.
Poi si è tornati in tribuna per assistere al momento più atteso: quello delle dichiarazioni di voto e del pronunciamento dell’Aula. Nessun gruppo parlamentare si sottrae a un intervento, chiedono la parola esponenti del Partito Democratico e del Gruppo Misto, tra i quali deputati di Civici e Innovatori e del PSI, per esprimere pubblicamente il loro assenso e ribadire la necessità di tutelare la nostra democrazia e dare un segnale importante alle giovani generazioni, affinché la storia non si debba mai ripetere. I deputati di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega Nord sembrano quasi costretti a eseguire dei distinguo, con gli argomenti più abusati dalla destra o che nulla c’entrano col tema in esame.
Poi chiede di intervenire una giovane deputata del Movimento 5 Stelle, Marta Grande. Un intervento breve ma puntuale: «Approvare questa mozione è un atto di civiltà, prima ancora che un dovere morale per tutti noi che oggi siamo chiamati a rappresentare il Paese». Ancora: «La Resistenza al fascismo, attraverso il sacrificio degli eroi che l’hanno fatta è il momento più doloroso, più ingiusto e più nobile della storia italiana. Ricordiamolo senza limitarci a considerarne gli esiti e l’impatto che ha avuto sul Paese di oggi, alla stregua di una delle tante pagine della storia recente che il tempo ha già provveduto ad archiviare. Non è così. E noi continueremo a batterci con tutta la nostra forza affinché non lo sia mai». Dopo l’applauso di tutto il Gruppo pentastellato arriva il momento del voto.
Dagli scranni della Presidenza l’annuncio del parere positivo dell’Esecutivo. Si accende il tabellone: l’Aula dovrà accogliere o respingere il dispositivo della mozione, la parte che pesa davvero in questi strumenti parlamentari. Il display si illumina: 411 favorevoli, 3 astenuti, un contrario. La mozione è approvata, praticamente l’unanimità perché i deputati assenti sono in missione, giustificati. Ora, finalmente, c’è un atto formale del nostro Paese. Netto, chiaro e di straordinario rilievo storico, giuridico e politico.
Dopo il 6 dicembre, non si può più tornare indietro.
Pubblicato lunedì 19 Dicembre 2016
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