“Una scrittura di disperazione” è il titolo di una poesia del poeta curdo Halmat Hosciar, inviataci in questi giorni da Gulala Salih, amica e collaboratrice di lungo corso sia dell’Istituto Cervi sia dell’Anpi di Reggio Emilia.
Dopo una mostra di disegni dei bambini curdi a Ramiseto promossa tempo fa, l’anno scorso è stato firmato un patto di amicizia tra il Comune del Ventasso (Reggio Emilia) e la cittadina di Dukan, presente una delegazione ufficiale dal Kurdistan iracheno invitata dall’Anpi provinciale.
Ben due volte Gulala ha portato la sua testimonianza sul palco della Liberazione ai Campi Rossi a Gattatico il 25 aprile, raccontando la storia della sua famiglia e del suo popolo, smembrato subito dopo la prima guerra mondiale in quattro Stati e perseguitato sino a subire nel 1988, durante la guerra Iran-Iraq, un bombardamento chimico con gas al cianuro dell’esercito iracheno sulla città curda di Halabja. I morti furono circa 5.000, nell’ambito di una campagna militare che alla fine vide la morte di più di 100.000 curdi.
“Quale destino attende la vite del nostro popolo, una nazione in cui gli alfabeti delle nostre scuole compongono scritti di disperazione. Quale sinfonia pessimista è questa finché i suoni degli spari sono la ninna nanna dei nostri bambini”, continua Hosciar.
Ora tutti i nostri sguardi sono orientati a questa regione del nord-est della Siria, che ha in parte goduto di una certa autonomia e la cui popolazione curda ora, dopo l’attacco militare deciso dal rais turco Erdogan (“Peace Spring”, “Fonte di pace”, l’ha definita…) vede centinaia di migliaia di persone fuggire dalla loro terra verso il Kurdistan. La recentissima decisione del presidente statunitense di ritirare i soldati americani dalla regione ha dato il via libera alle truppe turche in una guerra contro le milizie curde, dopo il loro contributo insostituibile contro lo Stato islamico a fianco della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti.
“Un popolo senza Stato tradito dall’Occidente”, scrive Il Sole 24 ore; più di 35 milioni sono i curdi, la più grande etnia del Medio Oriente, che con i turchi, i siriani e gli iracheni hanno combattuto dal 2014 contro l’Isis subendo gravi perdite (almeno 11.000 morti e il doppio dei feriti), ma riuscendo a liberare i territori occupati con l’aiuto della coalizione internazionale.
“Come possiamo avere pace quando tutti i nostri cuori sono al Rojava?”, conclude Hosciar.
In questa regione i curdi, godendo di una certa autonomia, hanno promosso negli ultimi anni un sistema di governo democratico fortemente decentralizzato e orientato a una società egualitaria; la costituzione è considerata una delle più innovative e democratiche; l’economia è incline alla sostenibilità ambientale; sono tutelati i diritti dei bambini, così come il diritto alla libertà della persona, ricorda Gulala. Non si sancisce la predominanza di una religione o di una etnia sulle altre, le donne hanno uguali diritti e doveri. Anche loro hanno combattuto contro l’Isis e combattono ora, inquadrate nella brigata “Unità di protezione”.
Il Consiglio delle donne curde della Siria del nord e dell’est ha inviato un appello a tutte le donne del mondo attraverso una lettera che ci interpella fortemente: “Abbiamo assistito a come le madri nei loro quartieri sono prese di mira dai bombardamenti quando escono di casa a prendere il pane per i loro bambini. Stiamo assistendo a come quartieri e chiese cristiane vengono bombardate e come i nostri fratelli e sorelle cristiani vengono uccisi dall’esercito del nuovo impero ottomano di Erdogan. Stiamo assistendo a come quartieri, villaggi, scuole, ospedali, il patrimonio culturale dei curdi, degli yazidi, degli arabi, dei siriaci, degli armeni, dei ceceni e dei turcomanni e di altre culture che qui vivono comunitariamente, vengono presi di mira dagli attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria”.
Le dichiarazioni di condanna dell’Unione Europea a quella che Gulala definisce “pulizia etnica genocida” è sicuramente necessaria anche se poco efficace. “L’Europa non deve accettare più quello che stanno subendo i curdi ormai da un secolo. Auspichiamo che vengano messi da parte interessi politici ed economici imponendo sanzioni dure ed immediate alla Turchia”, conclude Gulala.
Oltre a fermare la vendita delle armi alla Turchia (secondo i dati di Rete Italiana per il Disarmo, dal 2015 l’Italia, che ne ha già ufficializzato l’embargo, ha effettuato forniture militari verso la Turchia per un valore di 890 milioni di euro), si deve decisamente agire attraverso vie diplomatiche “adottando provvedimenti immediati per una soluzione della crisi politica in Siria, con la partecipazione e la rappresentanza di tutte le differenti comunità nazionali, culturali e religiose”, sostiene il Consiglio delle donne curde.
“Per una irriducibile volontà di Pace”, era il titolo di un convegno promosso da Anpi nazionale, Cgil, Cisl e Uil nel 2015. Allora Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi e componente del Comitato nazionale dell’Associazione dei partigiani, scrisse: “Prima che sia troppo tardi, e l’enormità della guerra diventi un normale paesaggio dell’attualità, le forze della ragione e della volontà politica consapevole devono prevalere. A questa irriducibile volontà di pace aggiungiamo l’esortazione per l’azione democratica, l’unico arsenale disponibile e insieme formidabile che i popoli e i loro governi responsabili possono mettere in campo di fronte alla regressione della civiltà”.
Fiorella Ferrarini, componente Comitato garanti dell’Istituto Alcide Cervi
Pubblicato giovedì 31 Ottobre 2019
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