Il Contesto

vw-replacement-tempL’automotive è il settore trascina-riforme per eccellenza. Nessun settore conta più dell’auto per misurare gli umori dell’economia. Un po’ perché ogni tuta blu in fabbrica (dove oggi, per la verità, si incontrano ormai più camici bianchi e computer che cacciavite a stella) porta con sé 6-7 posti di lavoro, dal marketing all’indotto fino alla pubblicità o all’assistenza.

Considerando sia la fase industriale (dalle prime lavorazioni a quelle finali) che quella distributiva l’intera filiera genera in Italia quasi il 5% del Pil: una quota paragonabile a quella delle altre economie avanzate. In Europa da segnalare la Germania, unico Paese che negli ultimi 15 anni è riuscito ad estendere la rilevanza del settore auto, passando dal 5,6% ad oltre il 9% sul Pil, per la sola fase industriale. L’attività di R&S (Ricerca e Sviluppo) e di innovazione è particolarmente intensa nel settore automotive, ed i benefici in termini di ricchezza e conoscenza sono rilevanti sia per la filiera che per l’intera economia. La sfida dell’innovazione per le imprese dell’automotive si gioca su elettronica, tecnologie di automazione e di connessione, ricerca sui materiali, sistemi di alimentazione, motore e distribuzione.

Il mercato dell’auto

Sull’automobile torna a splendere il sole. Nel 2014 si è avuto un nuovo record per la produzione mondiale di autoveicoli che è in continua, costante crescita. La produzione di veicoli a motore sta aumentando costantemente: nell’ultimo decennio, dal 2005, è cresciuta del 34%. Si è avuta flessione solo nel 2008-09, prontamente recuperata.

Nel 2014 a livello planetario sono state prodotti 89,75 milioni di veicoli, il 2,6% in più rispetto al 2013, informa l’Oica, l’organizzazione mondiale dei costruttori. Di questi, 67,53 milioni erano automobili, pari al 2,9% in più mentre i veicoli commerciali rappresentano il 25% del totale.

grafico VW

 Con un aumento della produzione del 10,2%, la Cina si conferma il primo produttore al mondo a quota 19,9 milioni, oltre il 13% dell’offerta globale.

L’Europa ha contribuito con 15,23 milioni di veicoli alla produzione mondiale (+3,9%). L’Ue esporta vetture di gamma alta e importa quelle di gamma bassa, anche a causa del tracollo dell’industria dell’auto in Italia, tradizionale costruttrice di auto economiche. La Germania, relativamente al solo settore auto, è il terzo produttore globale dopo Cina e Giappone.

Il mercato dell’auto, in America, sale senza sosta da 73 mesi, come non è mai successo dalla fine della Seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti fabbricano appena metà dei veicoli di cui hanno bisogno. Gli Stati Uniti sono scesi da 6 milioni di automobili prodotte nel 1995 a 2 milioni nel 2009: una desertificazione industriale che potrebbe essere concausa della crisi del 2008. Ma in seguito il recupero è stato vigoroso, a quota 4 milioni. A seguito del crollo produttivo, nel 2008-2009 due delle grandi Case americane erano sull’orlo del fallimento, e furono poi salvate con il concorso del Governo e del contribuente americano.

Il Gruppo VW

Il Gruppo Volkswagen si è posizionata al 14° posto tra le aziende più importanti del mondo.

economia-asiaticaCon una crescita del 5% rispetto all’anno precedente Volkswagen chiude il 2014 con quasi 10 milioni di auto vendute. Sono quasi 600.000 le persone che lavorano per il Gruppo tedesco, che ha 119 impianti di produzione sparsi in 31 Nazioni, di cui 20 europee.

La Volkswagen vende oltre Europa il 60 % del fatturato, ma ha puntato strategicamente sulla Cina (34,5 %) molto più che sugli Usa (9 %). E oltre la metà dei motori sono diesel.

Comunque lo scandalo dell’emissioni di gas truccate costa a Volkswagen il primo rosso trimestrale in oltre 15 anni. Il colosso di Wolfsburg ha chiuso il terzo trimestre dell’anno con 3,48 miliardi di euro di perdite operative (1,67 miliardi il rosso netto) annunciando che anche gli utili di fine anno saranno “significativamente inferiori” a quelli dello scorso anno. Nonostante tutto, le vendite di auto sono salire del 5,3% a 51,49 miliardi di euro.

La natura della truffa della VW

I marchi del gruppo VW (da http://pilotiemotori.blogspot.it/2015/04/il-gruppo-volkswagen-entra-in-f1.html)
I marchi del gruppo VW (da http://pilotiemotori.blogspot.it/2015/04/il-gruppo-volkswagen-entra-in-f1.html)

Le responsabilità di VW ci sono e sono gravi. Volkswagen ha cercato di aggirare i rigidi limiti statunitensi sugli ossidi di azoto (NOx) installando sul suo motore 2.0 Tdi (turbodiesel) quattro cilindri un apposito software che è in grado di riconoscere se è in corso un test. In pratica, la centralina che gestisce il motore capisce quando l’auto è sottoposta a un controllo sulle emissioni e reagisce modificando il funzionamento del filtro che riduce la quantità di ossido di azoto, così che le emissioni siano sotto i limiti di legge.

Le alterazioni delle quali è accusata Volkswagen riguardano non i consumi o la CO2 (che causa l’effetto serra ma non è inquinante), ma l’ossido di azoto che viene prodotto in maniera diversa a seconda delle condizioni di funzionamento del motore.

Chi possiede un’auto “contaminata”, può continuare a circolare senza problemi perché non riguarda problemi di sicurezza delle vetture.

In futuro il problema sembrerebbe superato. Infatti dal 2015 le vetture VW (Audi A3, Seat Leon, Volkswagen Golf) hanno adottato una nuova famiglia di motori, il nuovo TDI che non è coinvolto nel Dieselgate.

Armonizzare l’abbassamento dei consumi e le basse emissioni di CO2 con i limiti sulle emissioni inquinanti, entrambe sempre più stringenti, è la principale sfida che devono affrontare i motoristi. Spesso, infatti, la ricerca dell’efficienza compromette quella che riguarda le emissioni inquinanti e viceversa, ma di certo il progresso in entrambi i campi è stato notevole, addirittura straordinario per gli inquinanti sotto la spinta incessante delle direttive specifiche. Un motore diesel Euro 1 nel 1992 emetteva oltre 5 volte in più di CO e, in 15 anni, passando dall’Euro 3 all’Euro 6, gli NOx si sono ridotti di oltre 6 volte mentre il particolato di 28 volte.

Il problema è quello di capire il reale danno ambientale dovuto ai NOx dei diesel in rapporto alla quantità di emissioni e in rapporto alla generazione dei NOx delle altre fonti di calore. Infatti oltre ai motori delle automobili, i NOx vengono prodotti, in volumi estremamente maggiori, anche dalle centrali termoelettriche, riscaldamento domestico, vari bruciatori industriali così come dai camini a legna, dai vulcani e dagli incendi.

Normativa accondiscendente

Sulla scia dello scandalo VW, l’ingiustificata guerra ai diesel ha trovato nuova linfa per i suoi fanatici detrattori. Eppure il motore a gasolio è diventato addirittura più pulito del benzina. Gli ossidi di azoto rappresentano oggi l’unico punto debole del motore diesel, mentre il particolato (le polveri sottili) è sparito e il vantaggio in termini di CO2 diventa incolmabile, rispetto al motore a benzina. Forse il target dell’EPA (ente Americano per l’omologazione) non erano gli NOx ma l’industria motoristica europea.

Il motore sotto accusa (da http://www.mostreliablecarbrands.com/it/the-us-epa-accuses-volkswagen-of-anti-pollution-falsify-the-test-half-a-million-cars/)
Il motore sotto accusa (da http://www.mostreliablecarbrands.com/it/the-us-epa-accuses-volkswagen-of-anti-pollution-falsify-the-test-half-a-million-cars/)

Volkswagen ha sbagliato, ma i test di omologazione sono da cambiare. Il messaggio che è arrivato al grande pubblico con il dieselgate finisce per mettere in cattiva luce il motore a gasolio – ancora incredibilmente valido – invece del ciclo di omologazione, vera pietra dello scandalo. I consumi effettivi delle auto sono molto più alti di quelli rilevati nella omologazione europea che viene condotta in laboratorio. Per guidare nel mondo reale ci sono condizioni e variabili che in una prova al banco semplicemente non possono essere riprodotte. Nel test europeo le auto consumano in media il 38% in meno che nella realtà. In particolare i motori ibridi di fatto sono molto avvantaggiati nel ciclo di omologazione.

I limiti di emissione di NOx negli Usa parlano di 30 mg/km. L’Euro 6 in Europa invece concede 80 mg/km. L’Euro 5 diesel in Europa invece poteva emettere fino a 180 mg/km. Lo standard europeo è dunque piuttosto distante da quelli americani e quest’ultimi sono più severi nelle fasi critiche per le emissioni inquinanti, i cosiddetti transitori, ovvero le condizioni in cui il motore è impegnato a far accelerare la vettura.

Il Dieselgate produrrà almeno un risultato positivo: i cosiddetti cicli di omologazione attraverso i quali vengono rilevate le emissioni inquinanti e i consumi delle automobili (nonché di CO2) cambieranno e saranno più aderenti alla realtà. Lo ha annunciato l’Unione Europea che parla di test su strada dal 1° gennaio 2016 al posto di quelli in “laboratorio”.

La Commissione punta però a rendere obbligatorie le nuove omologazioni a partire dall’autunno del 2017 e per tutte le vetture commercializzate nell’Unione dall’autunno del 2018.

I Costruttori però chiedono più tempo all’Europa per i nuovi cicli di omologazione. Ribadiscono di essere disponibili ad adeguare i loro modelli alle nuove regole che impongono un più preciso controllo degli ossidi di azoto emessi allo scarico da vetture diesel e veicoli commerciali leggeri in condizioni di guida simili a quelle reali su strada. Ma dicono che bisogna procedere in modo che i produttori possano programmare e apportare le modifiche necessarie, senza mettere in pericolo il ruolo del diesel che è uno dei pilatri per il raggiungimento dei futuri livelli di CO2.

Conseguenze economiche

La fabbrica di Wolfsburg (da http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-e7b62f34-5e30-40c1-bcf7-5e47ad74d495.html)
La fabbrica di Wolfsburg (da http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-e7b62f34-5e30-40c1-bcf7-5e47ad74d495.html)

Lo scandalo che ha investito i motori Volkswagen rischia di essere deleterio per l’industria automobilistica e soprattutto per il futuro del motore diesel. A causare un simile scenario avrebbe contribuito la caotica e troppo spesso sommaria diffusione di notizie a cui abbiamo assistito.

L’importanza del Gruppo Volkswagen per l’economia del Vecchio Continente spiega la preoccupazione di analisti e addetti ai lavori per le conseguenze che potrà avere il Dieselgate sul mercato dell’auto e non solo.

Impatto sull’Europa e la Germania. Mettere nel mirino il diesel è mettere in discussione non solo Volkswagen o l’industria tedesca, ma l’intera industria europea e i costruttori che fanno base sul Vecchio Continente, FCA compresa.

Volkswagen ha già accantonato 6,5 miliardi di euro per far fronte alle spese legate allo scandalo.

Questa crisi ridimensiona automaticamente i piani commerciali presenti e futuri. È stato annunciato un taglio agli investimenti per un miliardo di euro.

La ricaduta sarà consistente anche sul piano tecnologico: il motore diesel andrà cambiato, verranno montati nuovi sistemi per assorbire le particelle solide e l’ossido di azoto, il che renderà più costose le vetture e forse ridurrà anche le loro performance. Godono i costruttori americani che al diesel non hanno mai creduto e i giapponesi della Toyota che puntano sui sistemi ibridi. Ci vorranno molti anni e tanti, tanti quattrini. L’industria automobilistica per far fronte ai vincoli ambientali e alle nuove dimensioni tecnologiche divora capitali.

Per quanto destinata ad affrontare tempi difficilissimi, la casa di Wolfsburg ha tutte le risorse per uscire da questa drammatica impasse le cui dimensioni devono ancora essere ancora chiarite definitivamente.

I conti del gruppo di Wolfsburg prima del 18 settembre erano molto buoni in termini di fatturato, margine operativo, liquidità e capacità di generazione di cassa. VW, attraverso la Porsche (holding che controlla il 50,73% di Volkswagen AG) può metterà a disposizione i suoi enormi profitti e la sua capacità di generarne ancora. I sindacati non la abbandoneranno. Di sicuro però gli 86,5 miliardi di euro di investimenti previsti non potranno più sopravvivere. 

Impatto sull’Italia

In Italia la fase industriale dell’automotive genera oltre 27 miliardi di euro di valore aggiunto, impiega oltre 500mila occupati e contribuisce alla formazione del 2% del Pil. La fase distributiva produce valore per circa 40 miliardi di euro e sostiene oltre 700 mila occupati. Gli addetti complessivi (diretti e indiretti) della filiera automotive sono stimati a quota 1,2 milioni di unità (500mila dei quali impegnati nelle sole fasi produttive), con effetti rilevanti sulla capacità di creare benessere nei territori. In Italia le spese in ricerca e sviluppo delle imprese rappresentano il 12% del totale delle spese in ricerca del settore privato, mentre in Germania arrivano al 32%.

Un motore Alfa Romeo a tecnologia common rail, tutta italiana (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/12/Alfa_Romeo_JTDm-2_giulietta.jpg)
Un motore Alfa Romeo a tecnologia common rail, tutta italiana (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/12/Alfa_Romeo_JTDm-2_giulietta.jpg)

Il diesel è un motore tedesco di nome ma l’ultima generazione ha molto di italiano poiché nel nostro Paese è stato ideato e sviluppato il sistema di alimentazione “common rail” per merito del Centro Ricerche Fiat, l’Elasis e la Magneti Marelli. La capitale mondiale delle pompe diesel common rail è Modugno (BA), dove lo stabilimento Bosch impiega 2.200 persone. General Motors progetta tutti i diesel per tutti i mercati del mondo (USA compresi) a Torino dove lavorano oltre 600 persone, con piani di ulteriore crescita.

La preoccupazione delle istituzioni, quindi, è per i posti di lavoro degli italiani che lavorano per Volkswagen e nel suo indotto.

Nello specifico la Componentistica automotive italiana rappresenta da più di vent’anni una realtà positiva della bilancia commerciale. Il settore della componentistica in Italia ha un fatturato di 38 miliardi di euro e impiega circa 160mila addetti.

Le esportazioni del settore componenti rappresentano il 4,8% di tutto l’export mentre l’import vale il 3,3% circa. La classifica dell’export per paesi di destinazione vede al 1° posto la Germania con 3,97 mld di euro e una quota del 20,6%, sul totale.

Prospettive

L’auto sta vivendo la sua terza giovinezza. Il digitale e l’elettromobilità ne hanno sconvolto la logica. Adesso comincia un’altra fase, nella quale saranno protagoniste nuove tecnologie la cui applicazione commerciale avrà bisogno di tempo e di immensi investimenti enormemente rischiosi. La ricerca riguarda i materiali sempre più leggeri e resistenti, con uno scambio tecnologico con l’industria aerospaziale, o il sistema frenante sperimentato prima in Formula uno.

Auto elettriche, dall’anima leggera in alluminio e fibra di carbonio. Macchine sempre più elettroniche e “pensanti”, in attesa dell’auto che si guida da sola.

Queste innovazioni richiedono un fiume di quattrini non tutti disponibili dai ritorni di cassa delle case automobilistiche mentre stanno scendendo in campo aziende non del settore come Apple, Google e Tesla. Le sinergie nello sviluppo di nuovi prodotti possono arrivare fino a 30 miliardi di dollari.

Sono tutte condizioni che precedono una nuova fase di acquisizioni e fusioni, un’altra epoca di concentrazioni industriali. Una stagione di alleanze e di merger (fusioni di imprese) per ridurre la fame di quattrini di un settore “drogato” dalla necessità di capitali. Il settore sembra essere alla vigilia di un nuovo round di integrazioni, da cui emergeranno nuovi colossi, forti delle competenze, dei denari e del peso politico necessario per vincere una battaglia fatta per i giganti, che provengano dalla vecchia o dalla nuova economia.

Geopolitica e guerra commerciale

New York Times - testata
La testata americana, in prima fila nella denuncia dello scandalo

La teoria del complotto sembra farsi strada anche sul versante “geopolitico. Se si tiene conto del dominio mondiale del marchio Vw naturalmente inviso a tutti i concorrenti, il tracollo sperimentato in Borsa dalla casa madre di Wolfsburg è manna dal cielo per chi cominciava a pensare di aver perso definitivamente la guerra per il controllo del mercato dell’auto. Lungi dall’interessare solo il mercato nordamericano, lo scandalo di questi giorni è suscettibile di avviare un’inchiesta globale sui metodi impiegati da Vw per omologare le proprie automobili.

Il ragionamento si può estendere all’intera Germania che è diventata un Paese trainato sempre più dalle vendite di prodotti sui mercati internazionali. La Germania ha il bilancio pubblico in ordine (onore al merito) e una bilancia dei pagamenti con un attivo doppio rispetto a quello cinese.

Il peso delle esportazioni è passato dal 33 al 48 % del Pil e la risposta tedesca alla crisi del 2008 non ha che rafforzato la tendenza. Il rapporto con l’estremo Oriente si basa sulla potenza della macchina bancario-industriale: Volkswagen, Daimler, Siemens, Deutsche Bank che sono i quattro cavalieri che guidano un vasto esercito di imprese medio-grandi.

Frenare l’export tedesco. Un esito che difficilmente dispiacerebbe agli americani.

Gli americani sono gelosi della nuova forza economica tedesca e temono il suo ruolo centrale nei rapporti con la Russia e con la stessa Cina. Non a caso il New York Times ha puntato il dito sulla scarsa trasparenza della Volkswagen, i patti occulti con le banche, la politica e i sindacati, specchio del consociativismo che domina l’intero sistema tedesco.

Enrico Ceccotti, esperto di politica industriale