Il giorno dell’anniversario della morte in tanti si sono ritrovati a Sarzana davanti alla targa in memoria di Rudolf Jacobs, capitano della Kriegsmarine che, con il nome di battaglia di “Primo”, disertò insieme al suo attendente Johann Fritz, partecipò alla lotta partigiana nella brigata Ugo Muccini, perdendo la vita il 6 novembre 1944 in una rischiosissima azione contro il comando delle brigate nere.

C’erano le delegazioni di Anpi, Anmig, Cgil e Comune di Sarzana, con l’Arci che ha avanzato la proposta di conferire a Jacobs, icona de “Il buon tedesco” – come il recentissimo libro a lui dedicato dallo storico Carlo Greppi per Laterza (pp 280, euro 17,10) – la cittadinanza onoraria alla memoria.

Rudolf Jacobs è il primo a sinistra (Istituto storico per la storia della Resistenza e dell’eta contemporanea di La Spezia)

Ma quel riconoscimento già esiste, voluto negli anni 50 dall’allora sindaco Paolino Ranieri, il partigiano “Andrea” che ben lo aveva conosciuto, impegnandosi in prima persona, in quegli stessi anni, per rintracciarne la famiglia a Brema, dove solo a distanza di decenni si è potuta apporre una targa che lo ricorda come “disertore e partigiano”.

Se la memoria di un protagonista come Jacobs è forte, si dimostra invece labile quella del riconoscimento di una realtà: il suo non fu un caso isolato, e comunque anche se a “Primo” sono stati dedicati libri, anche fumetti e un film, la storiografia e pure la politica hanno fatto fatica a ricordare quelli che come lui scelsero di cambiare campo. Per cinquant’anni almeno si è parlato raramente degli “Special Germans”, i tedeschi speciali, come gli Alleati definirono in Italia i militari disertori della Wehrmacht.

E non furono pochi, come ha spiegato recentemente proprio Carlo Greppi: “Quelli riconosciuti sono una porzione minima rispetto ai combattenti, specialmente se tedeschi e austriaci: furono almeno 2.000, se non 3.000 persone. Moltissimi, pensando alla grande retorica sui 5.000 sovietici unitisi ai partigiani”.

Alcuni di loro si ritrovano nelle pagine di un altro libro, (uscito nei mesi scorsi per l’editrice Le Piccole Pagine, pp. 359, euro 20): “Partigiani della Wehrmacht. Disertori tedeschi nella Resistenza italiana”, curato dagli storici Mirco Carrattieri e Iara Meloni, con contributi di numerosi ricercatori. Un doveroso tributo, oltre che alla verità storica, al coraggio mostrato per compiere, “ognuno nel suo piccolo e nei limiti delle sue possibilità, un atto simile a quello degli oppositori che tentarono di rovesciare il regime hitleriano il 20 luglio 1944” scrive nella prefazione al volume lo storico tedesco Lutz Klinkhammer.

Eppure nel dopoguerra – con l’unica eccezione dello storico Roberto Battaglia che nel 1960 dedica un saggio, peraltro in tedesco e solo successivamente tradotto in italiano, a quelli che chiama “partigiani tedeschi”, e, come si è visto, dei sarzanesi nei confronti di Jacobs – è corrente l’immagine standardizzata dei buoni italiani contro i cattivi tedeschi, spiegano Carrattieri e Meloni. Una prima svolta, precisano, “avviene negli anni Ottanta, in corrispondenza con il cambio di paradigma nella memoria pubblica europea scaturito dalla crisi del bipolarismo postbellico, che vede la messa in discussione del mito resistenziale e di quello, speculare, della colpa tedesca”. Da ricordare gli scritti di Massimo Rendina e di Claudio Pavone; ma certo, cambiare prospettiva, nell’accezione comune, non è facile.

(vice.com)

Se l’Italia fa fatica a ricordare, ancora di più accade in Germania dove, spiega Carlo Greppi, “il passaggio di campo ancora oggi è in gran parte un tabù. La diserzione come storia delle vittime e dei fucilati in modo più o meno sommario ha visto una riabilitazione, ma nel senso comune è ancora malvisto chi ha fatto la scelta di passare con i partigiani”. Spicca, in ogni caso, la figura di Jacobs perché, nel parere di Carlo Greppi, “fu in fondo uno che aveva solo da perderci. Lui, ingegnere, figlio della borghesia che passa ad una brigata garibaldina molto politicizzata, uno che avrebbe potuto aspettare la fine della guerra nel posto dov’era, tornarsene in Germania e magari diventare uno degli uomini migliori per costruire una nuova Europa; ma l’esito tragico della sua scelta lo rende un personaggio mitico”. Forse è proprio nella potenzialità di diventare, come lo definisce Greppi, “un pilastro dell’Europa unita in tema di matrice ideale” che spiega l’interesse intorno a Jacobs.

Ma proprio in un continente la cui unità e soprattutto la cui matrice antifascista e antinazista viene messa in discussione dalla crescita dei movimenti sovranisti e dalle suggestioni nostalgiche delle estreme destre, potrebbe avere solo un vantaggio dal riscoprire queste persone, questi uomini che hanno affrontato anche la fucilazione per la propria scelta.

Non solo in Italia: come nel caso di Josef Schultz, “fucilato il 20 luglio 1941 vicino a Belgrado insieme a 15 partigiani serbi, ai quali si era rifiutato poco prima di sparare dal plotone d’esecuzione”, si legge in “Partigiani della Wehrmacht”, dove si ricorda anche l’importanza di un libro come “Il disperso di Marburg” di Nuto Revelli che ricostruisce la storia di un altro “tedesco buono”, Rudolf Knaut, ucciso nel Cuneese.

Erika Brockdorff e Hilde Meisel

Persone, uomini, sotto la divisa. Non solo tra i militari che decidono di cambiare campo, segnala Greppi ricordando Oskar Schindler e il suo salvataggio di un gran numero di ebrei, ma anche le tragiche vicende di Erika Brockdorff o Hilde Meisel, l’una ghigliottinata, l’altra uccisa sul confine svizzero. Ma anche quel “numero incalcolabile di tedeschi e austriaci”, uomini e donne, che si oppongono al nazismo, pagando spesso con la vita.

Certo, la scelta dei militari è particolarmente difficile, così com’è difficile accettare che ci siano stati i tedeschi buoni contrapposti ai pessimi italiani, i repubblichini più fanatici delle Brigate Nere o gli Esploranti della San Marco. Per questo il rinnovato interesse verso persone come Jacobs, o come Werner Goll, pastore protestante che aderì alla cosiddetta Chiesa Confessante in Turingia insieme al teologo Dietrich Boenhoffer e, poi militarizzato, decise di disertare unendosi alla Resistenza a Genova, possono davvero costruire un’idea di simboli per l’Europa.