La letteratura come madrepatria, il racconto trattato come il tassello di un mosaico, che contiene il tutto e spiega una condizione, un’assenza, un’identità. Leggendo Frammenti di Kurdistan, a cura di Francesco Marilungo, pubblicato da Polidoro editore nella collana “Disorientanti”, si respira quanto vive e sperimenta un intero popolo.

Si tratta di dodici racconti di scrittori curdi contemporanei che utilizzano la lingua madre per raccontare il mondo. Si dirà: ogni scrittore prima di tutto scrive nella propria lingua madre. Facile, ma per i curdi non è così, non lo è stato quasi mai. Un popolo del Medio Oriente di quasi 40 milioni di persone diviso tra Stati che cercano in tutti i modi di assimilarli, ne proibiscono la cultura, le tradizioni e non permettono si utilizzi il curdo nelle scuole, per le strade, nella vita pubblica, per amarsi. Così abituarsi per uno scrittore curdo – spesso nella condizione di esule – a imparare o re-imparare la lingua madre diventa una sfida e anche un atto politico.

Utilizzare sulla pagina scritta una lingua, il kurmanji (una delle lingue curde), che resiste e rinasce con grazia, con dedizione, con rigore e con orgoglio – da qualunque latitudine arrivi – diviene quindi qualcosa che assomiglia anche a un atto d’amore. In Italia per nostra fortuna si sta facendo strada la letteratura curda, grazie a editori illuminati che scovano per il pubblico vere e proprie gemme come nel caso della raccolta Frammenti di Kurdistan. Così, abbiamo la possibilità di conoscere scrittori come Firat Cewerî (del quale Francesco Marilungo ha già tradotto un romanzo) oppure Suzan Samanci, Yaqob Tilermenî, Mehmet Dîcle, Şener Özmen per esempio; tutti autori curdi pronti per il grande pubblico, come è accaduto negli ultimi anni a uno scrittore prolifico e apprezzatissimo come Burhan Sönmez che però scrive in turco (scelta di cui sarebbe troppo lungo parlare in questa sede, ma che meriterebbe un approfondimento).

Distribuzione geografica delle lingue curde: Kurmanji (Northern Kurdish), Sorani (Central Kurdish), Zaza language Southern Kurdish (Gorani incluso), aree di lingue miste

Ecco allora che i dodici racconti di Frammenti di Kurdistan pubblicati dall’editore napoletano Polidoro parlano di amore, di competizione, di amicizia, di scrittura, di guerra, di carcere, di tortura e sono selezionati tra autori e autrici diversissimi tra loro per darci la possibilità di assaporare questo Kurdistan soltanto “Paese immaginato” ma così vibrante nella narrativa e nelle voci calde e profonde che ce lo mostrano.

Metropolitan Museum of Art, Department of Islamic Art

Come sottolinea il traduttore e curatore Francesco Marilungo nella postfazione al volume «la separazione, la scissione e la frammentarietà restano ancora oggi al centro dell’esperienza letteraria curda. A segnare le cesure, prima ancora che i confini degli Stati nazionali (Turchia, Siria, Iraq e Iran) ci sono gli alfabeti e i sistemi linguistici: la letteratura curda declinata al singolare non esiste. Esistono le letterature curde – spiega – che implicano tre sistemi alfabetici diversi (latino, persiano, cirillico) e almeno quattro lingue diverse (kurmanji, zazaki, sorani e curdo meridionale)».

Il curdo nella varietà kurmanji è scritto per lo più in caratteri latini e parlato dai curdi nell’area nord-occidentale del Kurdistan, cioè il Kurdistan turco, quello siriano e la regione di Duhok nel Kurdistan iracheno. La pregevole sfida di questa raccolta quindi è aprire uno spazio di libertà, anche in italiano, per una lingua costretta per un secolo al silenzio e che ora è più viva che mai.

Firat Ceweri, uno dei dodici scrittori dei “Frammenti di Kurdistan”

Di ogni autore e autrice presente in questo lavoro è importante da leggere anche quello che c’è scritto nella breve biografia prima di ogni incipit: il luogo di nascita e dove vive ora. Lo scrittore o la scrittrice di una lingua proibita come il curdo spesso è un esule, molto probabilmente è stato arrestato per il suo lavoro, può darsi che sia un rifugiato, forse sta re-imparando la lingua curda dai suoi nonni o dai parenti più anziani, oppure ha studiato curdo in carcere con altri detenuti della stessa etnia (situazione molto comune, le carceri diventano spesso scuole clandestine), non è certo se durante l’infanzia abbia mai posseduto un libro che ha potuto leggere – seppur di nascosto – nella lingua madre.

Curdi in abiti tradizionali

«La rivoluzione è un atto creativo, dicono, ma l’autore di quella frase non sa che al giorno d’oggi la creatività viene messa al rogo. La terra del nostro Paese è una distesa di cenere – scrive Yaqob Tilermenî in uno dei racconti –. Giovani e adulti vengono rinchiusi fra quattro mura. Le autorità si lisciano i baffi. E gli anziani attendono speranzosi che i bambini crescano».

Lo scrittore Yaqob Tilermenî

Tilermenî, per esempio, è nato nel 1972 nel Kurdistan turco, ha studiato fisica e ha insegnato per diversi anni prima di essere arrestato nel 2002 con l’accusa di aver compiuto attività finalizzate all’insegnamento del curdo. Nel 2017, in seguito al tentativo di colpo di Stato in Turchia dell’anno precedente, gli è stata tolta la facoltà di insegnare. Avendo perso ogni diritto ha abbandonato il Paese e oggi vive in Svizzera con la sua famiglia. Questa è la biografia tipica di uno scrittore curdo.

La traduttrice e scrittrice Joyce Lussu. Per la sua militanza nella Resistenza ricevette il grado di capitano e venne decorata nel dopoguerra con Medaglia d’Argento al Valor Militare. Negli anni Sessanta fu molto attiva nell’opera di traduzione da letterature sconosciute in Italia

Nella prefazione al volume, affidata a Silvia Ballestra, si ricorda il lavoro svolto da Joyce Lussu negli anni Sessanta del secolo scorso riguardo le traduzioni da letterature sconosciute in Italia, perché mai proposte prima. Il lavoro di Lussu traduttrice (Tradurre poesia, Mondadori, 1967) nasceva dall’incontro col grande Nâzim Hikmet. Proprio il poeta turco le aveva lasciato una specie di «eredità morale» riguardo al popolo curdo, verso il quale Hikmet provava solidarietà, simpatia e ammirazione.

Lussu scrive che «Parlare curdo voleva dire rivendicare il diritto di essere uomini, difendere una cultura costruita per secoli con intelligenza e fatica, salvare la terra in cui erano nati dalla rapina; insegnare il curdo ai bambini voleva dire esporli ai rischi e alle violenze, formarli alla fierezza e alla ribellione. Lo parlavano in modo dolce e sanguigno – continua – come carezzando nella loro lingua il senso stesso della vita e delle speranze». Ieri come oggi, il curdo e le letterature dei curdi hanno tanto da dirci anche sul nostro presente.

Antonella De Biasi, giornalista e scrittrice. Il suo ultimo libro è “Astana e i 7 mari – Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia”, Orizzonti Geopolitici, 2021