Cantami, Madre. Cantami dell’amore e della rabbia, del pianto e del sangue, del sudore e della gioia. Cantami, o Madre, mentre mi culli tra le tue braccia e io, quasi implorante un tuo sguardo, imparerò dalla tua voce, imparerò dalle tue mani, imparerò dall’odore della tua pelle la persona che dovrò diventare: saggia ma sorridente, caparbia ma delicata, attenta ma generosa. Una persona, insomma, degna delle tue fatiche, delle tue lotte, delle tue notti insonni.
Questo avrei voluto poter dire a tutte loro, a loro che a vario titolo, luogo, tempo e misura, compongono l’incredibile famiglia tutta al femminile narrata da Chiara Ferrari ne “Le donne del Folk”. Narrata, sì. Perché è una vera narrazione, spesso drammatica, che ti prende come un appassionante romanzo di avventure e sentimenti, di parole e di cuore. A volte, ahimè, anche di sangue e tragedia. Unica differenza, che è tutto vero. Vere le storie, vere le persone, veri i fatti.
Ed ecco perché lo leggi come navigare in un fiume in piena, questo lavoro di ricerca sulle protagoniste del folk contemporaneo, sapientemente costruito gradino per gradino, biografia dopo biografia, vita dopo vita, con la fine delicatezza di chi sa, con pudore e attenzione, entrare nella pelle, ma anche nel cuore e nel pensiero, di artiste uniche e inconfondibili.
Fatte di suoni e di materia, partigiane della non violenza e custodi della memoria, vengono ben sintetizzate dalle parole di Edoardo Sanguineti Perché la donna è cielo, è terra/ Carne di terra che non vuole guerra nella prefazione ‘Donne del Folk, perché?’ che le presenta e le raccoglie tutte nelle loro varie e seppur interagenti attività culturali: musiciste, cantanti, cantautrici, ricercatrici, studiose, sindacaliste, interpreti teatrali e drammatiche, ma anche etnomusicologhe, antropologhe e sociologhe. Un caleidoscopio di interessi e abilità che le porta a partecipare attivamente a tutte le lotte sociali del loro tempo e a diventare, con i loro corpi, le loro voci, le loro chitarre, forti portavoci dei più deboli. Icone, spesso loro malgrado, di un mondo che spesso non le accetta o che, ancor più spesso, fa fatica a capirle e se può le emargina o le ghettizza.
Storie dense di sentimenti appassionati ed eventi storici, di contatti umani e di relazioni tra le arti, la scrittura prima di tutto, ma anche la filosofia, la pop art e, ovviamente la politica che potrebbe essere ‘arte’ se solo lo volesse.
Le incontri, una dopo l’altra, sfogliandone le molte pagine: non vi spaventate, sono quasi 500 ma volano d’un fiato. Se volete potete incontrarle separatamente e a piacere, seguendo curiosità e desiderio, perché una precisa regola costruttiva, quasi una ‘architettura letteraria’, rende queste biografie tutte uguali nella diversità: per ognuna un titolo, una bella fotografia in bianco e nero e una citazione in corsivo, di pugno della cantante o di amici critici e musicisti, a sintesi dell’intero percorso creativo.
Canto da quando ricordo. Ho intenzione di cantare fintanto che Dio mi darà una voce per continuare a farlo. E intendo cantare queste canzoni folk. Ma la mia più grande ambizione è quella di registrare tutte quelle che conosco su nastro o in un libro da mettere a disposizione. Gratuito, per chiunque voglia usarlo: le parole di Almeda Riddle, la folksinger la cui vicenda apre il volume sembrano profetiche, anticipando proprio ‘la missione’ di questo volume di Chiara Ferrari: racchiudere e conservare, per far conoscere e tramandare, le loro scelte di vita e gli insegnamenti delle strade intraprese.
Abbiamo bisogno di conoscerle meglio perché anche se molte di loro sono famose al grande pubblico, Amália Rodrigues o Juliette Gréco, Miriam Makeba o Concetta Barra, Giovanna Marini o Gabriella Ferri, leggendone la vita ci accorgiamo che non ne sappiamo quasi nulla, a parte qualche brano e piccoli gossip biografici di poco conto.
Altre riemergono da un passato che pensavamo scordato, come Milly e Daisy Lumini, fatto di sabati sera davanti alla tivvù in bianco e nero, i vestiti cuciti a mano dalla sarta e le mezze stagioni.
Dalle loro biografie emerge un’Italia un po’ malinconica e grigiolina ma impegnata nella conquista dei diritti civili e sociali, sono gli anni Settanta di stragi e di piombo ma anche delle conquiste delle leggi sul divorzio e per l’interruzione di gravidanza, fondamentali punti di partenza per la creazione di una società più equa, paritaria, attenta ai diritti delle donne.
Ma non c’è solo l’Italia. Quattrodici i Paesi da attraversare per più di un secolo di note e di voci nelle lingue e nei dialetti più disparati che si annullano completamente mentre seguendo l’indice ti lasci affascinare dai loro nomi di battesimo, tutti di una bellezza musicale che già sa di predestinazione angelica – Almeda, Odetta, Nina, Peggy, Judy, Joan, Michelle, Violeta, Mercedes, Maria, Oum, Miriam, Cesària, Lotte, Amália, Juliette, Shirley, Maria, Sandra, Giovanna e Giovanna, Milly, Maria, Margot, Luisa, Teresa, Caterina, Daisy, Gabriella, Concetta, Rosa, Maria, Lucilla, Rachele, Elena, Teresa, Ginevra, Eleonora, Claudia, Francesca, Karima, Sara, Elsa, Agnese e Cristiana e ci sono quattro, ben quattro, Maria, non può essere un caso – e ti rendi conto che, magicamente, queste 48 donne sono una sola donna. Differenti nomi, volti, bocche, occhi, capelli, mani e perché no case, abiti e amori a comporre una sola, invincibile e dolcissima donna.
Perché una sola è stata la forza che le ha mosse a cercare, scavare, comprendere e ascoltare per poi ridare, ridare e ridare ancora al mondo i tanti suoni riscoperti, le storie d’affanno e resurrezione, ma anche quelle parole che sanno di conquista, di ripartenza e di speranza. E questa loro forza si chiama Resistenza. Nome comune femminile.
Resistenza è la forza comune che possiamo trovare simbolicamente rappresentata nel Coro delle Mondine di Novi: tante voci differenti che si fanno di colpo una singola voce, quella della lotta, della terra, della risaia, della fatica e dell’emancipazione femminile.
In tutte le loro storie il filo conduttore è la tenacia: non importa se riconosciuta da subito nel profondo del sé o scoperta nel tempo, se dote istintiva o attinta da una famiglia culturalmente impegnata, se inserite in una contesto collettivo più ampio ed articolato o se sperimentatrici solitarie, innamorate del loro amore per il canto che si fa denuncia, rabbia, urlo.
Donne eccezionali, eccezionalmente presenti con i loro corpi, le voci, le scelte e perché no, gli errori – fonte dalla quale attingere per crescere, migliorare, affermarsi – nella società del loro tempo.
Una società fotografata dagli anni 60-70 fino all’oggi, alle voci nuove del panorama italiano Chiara Ferrari dedica l’ultima parte del suo lavoro, con particolare attenzione alle storiche cantautrici italiane, ben 20 le biografie scelte per questa sezione, anticipate dalle protagoniste del Folk statunitense, sudamericano, sudafricano, mediorientale ed europeo.
E, a rappresentarle tutte, l’autrice sceglie per l’immagine di copertina proprio lei, Joan Baez che, con quel suo broncio un po’ spavaldo e la serietà di chi sa bene cosa sta facendo, si fa accompagnare alla chitarra da un Bob Dylan tanto giovane da essere quasi irriconoscibile. La guardiamo affascinati ancor prima di aprire il volume e lei è lì, il famoso scatto in bianco e nero di Rowland Scherman scaldato da un arancio calore e fiamma, che canta e guarda oltre, attirata da un progetto più ampio, comune, attuale. Portavoce di intere generazioni di cantautrici, Joan Baez ha ben chiaro il suo ruolo nel mondo: Se doveste mettere delle etichette su di me/la prima sarebbe essere umano/ la seconda pacifista e solo se ne potessi avere/ una terza sarebbe folksinger. Idee chiare, universali, sostenute e realizzate da tutte queste donne, una dopo l’altra, una per l’altra, spesso con estrema difficoltà.
Delle tante raccontiamone solo qualcuna, scelta tra le 48 biografie di Chiara Ferrari solo per primordiale curiosità, semplice empatia, amori musicali pregressi, grazie alla quali declinare questi tre, fondanti, concetti.
Essere umano. Difficile, a tratti impossibile, essere considerati ‘esseri umani’ come tutti gli altri per una ragazza che nasce nel 1933 nella Carolina del Nord e che sogna di diventare la prima concertista classica di colore. Eunice Kathleen Waynon impara presto, più volte bocciata da una Commissione di soli bianchi all’esame di ammissione al Conservatorio, che deve trovare altrove le sue certezze, costruire la propria identità partendo da un nuovo punto di vista. Basta partiture e basta Bach e dal primo lavoro, pianista in night club di Atlantic City, la strada è davvero cambiata. Come cambia il suo nome: un fidanzato ispanico la chiama la sua ‘bambina’, la sua ‘Nina’ e l’amata ‘Simone’ Signoret gira il film “Casco d’oro”. Nasce così, dalle ceneri della delusione per un conservatorio mai frequentato, Nina Simone, l’elegante, inarrivabile, signora del Jazz mondiale.
Mani che danzano sulla tastiera, voce dalle ineguagliabili, volute e morbide rudezze, per tutti noi indimenticabile fin dal primo ascolto, da colpo di fulmine. Vita tormentosa, la sua: a volte in salita, dopo i fortunati primi album di fine anni 50 e le canzoni alle vette delle classifiche europee, la scrittura con Philips e, impegnata nei diritti civili, le amicizie con Martin Luther King e Malcom X, a volte in discesa, travagliati i rapporti con amanti e mariti violenti, i lunghi periodi di silenzio discografico, ma mettendo sempre al centro la sua nuova identità, la sua vera personalità: Vivo tra un mondo di neri e un mondo di bianchi, tra i tasti neri e i tasti bianchi/del mio pianoforte, ma ho trovato l’equilibrio. Così si definisce Nina Simone a preludio del capitolo a lei dedicato, ovvero ‘L’arte, il genio, la rivolta’.
Pacifista. “Il palcoscenico dei miei concerti/ è il solo luogo dove davvero/ mi senta a casa./Il solo dove non ci sia l’esilio”. Tutta la tragedia del Sudafrica è qui, nelle parole di Miriam Makeba, “che viene al mondo il 4 marzo 1932, microscopica, nera e poverissima, dentro una capanna di compuond, in un quartiere ghetto non lontano da Johannesburg, nel Sudafrica martoriato dall’apartheid, terra di eterni contrasti”, così la descrive Chiara Ferrari con determinata precisione. Microscopica, nera e poverissima: cosa si può immaginare di peggiore in un Paese da sempre sfruttato dai ricchi bianchi colonizzatori?
Ma il maestro la sente cantare e tocca a lei intonare ‘Svegliati gente mia! Uniamoci tutti’ davanti a re Giorgio d’Inghilterra in visita ufficiale, nel 1947, anno terribile di inizio dell’apartheid, della segregazione dei neri nelle homelands. Vita intensissima tra grandi successi discografici, la continua lotta anti-apartheid, i concerti in tutto il mondo e l’amicizia con Nelson Mandela che le valgono nel 1986 il Premio Dag Hammarskjöld per la Pace e, nel 2000, la Medaglia Otto Hahn per la Pace. Molto amata in Italia, la notte del 9 novembre 2008 muore, per arresto cardiaco, a Castelvolturno: aveva accettato di esibirsi, nonostante i molti problemi di salute, per sostenere la lotta dell’amico Roberto Saviano contro la camorra, che aveva appena causato la morte di sei immigrati africani. Morire per la pace, cantando la pace, sperando nella pace.
Folksinger. Tutte queste ‘donne’ sono del folk, ma la vita di Rosa Balistreri ti colpisce al cuore. Non ti sai spiegare come non si sia mai davvero lasciata piegare dalle tante, troppe e inique tragedie che l’hanno attanagliata. Leggi e leggi e ti chiedi: come ce l’ha fatta? Come ha potuto sopportare anche questo? Rosa ha preso tutta la forza dalla sua voce, dall’amore per le canzoni popolari siciliane che lei sapeva rendere ancor più drammatiche e teatrali, attingendo alle sue vicende personali. Sposa giovanissima, in un matrimonio combinato, di un ubriacone senza lavoro, viene arrestata perché tenta di ucciderlo, quindi nuovamente il carcere, le molestie dei vari datori di lavoro, tra cui un prete, e finalmente la pace domestica a Firenze.
Per poco, perché la sorella Maria viene uccisa dal marito geloso e loro padre si impicca per il dolore. Chi avrebbe sopportato tutto questo? Ma Dario Fo la presenta coma ‘la voce della Sicilia’ nel suo spettacolo ‘Ci ragiono e canto’, che raduna cantastorie di tutta Italia, e lei inizia a cantare delle fatiche e delle tirannie subite, della sua povera gente, zappatori, pescatori, carcerati. Al ritorno in Sicilia si concentra sulla condanna alla mafia, al suo ‘sistema’, ai suoi attori e agli eroi che la combattono, come il prefetto Cesare Mori che si batté contro la mafia durante il Ventennio. Canzoni di protesta e di denuncia che si fanno sempre più struggenti e che, come nei canti di Natale o nelle ninne nanne, la riportano ad un’infanzia che forse non ha mai vissuto. ‘Un personaggio che ha un cuore per tutti’, così il poeta Ignazio Buttitta citato da Chiara Ferrari in Rosa Balistreri, la Sicilia, la miseria, il dolore.
Essere umano, Pacifista, Folksinger: ognuna delle 48 donne sapientemente cucite tra di loro da Chiara Ferrari è stato questo e molto, molto di più. Mondi completi già singolarmente che, accomunate in questo progetto editoriale, riescono a dialogare tra di loro come mai avrebbero potuto, o saputo fare, nella realtà.
Come in un prezioso ricamo, o un arazzo, o un lavoro al telaio, ogni singolo filo, ogni singola storia, diventa qui essenziale per la buona riuscita del progetto complessivo. Alla regia del tutto la mano che cuce, ricama, tesse. Alla radice del tutto l’amore incondizionato dell’autrice per il folk e le sue protagoniste, le sue attente ricerche sul campo e d’archivio, le interviste, le citazioni, le felici intuizioni. Si legga, a tal proposito, la nutritissima bibliografia da lei consultata, già di per sé fonte interessante dalla quale partire per altre avventure.
Ora il cerchio si chiude partendo dal punto d’inizio, la poetica prefazione ‘Il folk è il rock del popolo’ di Teresa De Sio, nel volume narrata come ‘la brigantessa’: ‘Il folk fa questo. Non smette mai di dire quello che non muta e dà radici al mondo”.
Il Folk deve sempre dire la verità e quindi può anche essere scomodo, ma è universale e essenziale al contempo. Non se ne può fare a meno.
Proprio come di una Madre.
Elisabetta Dellavalle, giornalista e docente, collabora con La Stampa
Pubblicato martedì 21 Dicembre 2021
Stampato il 13/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/la-storia-che-mancava-48-voci-al-femminile-per-un-solo-nome-resistenza/