Ci sono vignettiste e vignettisti il cui tratto è inconfondibile, con contenuti che arrivano dritti al punto, scuotendo le coscienze, veicolando valori ed emozioni.

È il caso di Anarkikka, nome d’arte di Stefania Spanò, “illustrautrice” come lei stessa si definisce, femminista, che ha fatto del suo lavoro una narrazione capace di dare voce alle donne, alle bambine e ai bambini, ai più deboli, alle vittime di luoghi comuni e stereotipi, discriminazioni di genere e violenze.

Stefania Spanò, “illustrautrice”, in arte Anarkikka

Le sue vignette accompagnano le donne da anni. Quando accade qualcosa che ci lascia stupite, ci indigna o ferisce profondamente, viene spesso la voglia di vedere come Anarkikka lo legge e ci racconta quella notizia. Ed eccoli il disegno e le parole, nel segno di una “sorellanza” che ci fa sentire unite davanti alle banalità e agli stereotipi, alle discriminazioni e ai diritti negati, alle tante violenze verbali, fisiche, fino al femminicidio. E ci ritroviamo nell’indignazione, nella chiamata alla “resistenza” e all’attivismo che la vignettista sa trasmettere con immediatezza e forza.

Il percorso di Stefania Spanò oggi lo ritroviamo in una raccolta di illustrazioni, uscita in libreria qualche giorno prima dell’appena trascorso 8 marzo con un titolo dal messaggio forte e chiaro: Smettetela di farci la festa.

Nelle prime righe della prefazione, Giulia Siviero richiama subito il concetto di festa e lo fa in modo positivo, anche se complesso: “il femminismo è una festa, la più luminosa che io abbia mai vissuto. Ma è anche una pratica faticosa e qualche volta dolorosa, dobbiamo dircelo. Così come dobbiamo dirci che in questa sala da ballo in cui si disfa e si rifà il mondo non tutte hanno la radiosità di Anarkikka”.

Del modo di comunicare della “illustrautrice” colpisce molto l’essenzialità, sia nei tratti della splendida Anarkikka protagonista delle vignette, sia nelle frasi che li completano. E si percepisce tutto il lavoro sulle parole: come scrive Siviero “non una parola di più, ma soprattutto non una parola di meno”. E già perché alle parole Stefania Spanò dà, giustamente, molta importanza, ne coglie le sfumature, la banalità, ma pure la violenza.

Parole che feriscono le donne come un’arma, frutto di una cultura patriarcale e maschilista che i media continuano a rilanciare, spesso con superficialità se non con malafede, quando si parla di donne e soprattutto di violenza contro le donne. Alle parole va ridato senso, e vanno usate quelle giuste. E così i testi delle vignette possono diventare: “Geloso, ha ucciso l’amante…Deluso, ha ucciso la compagna, abbandonato, ha ucciso l’ex moglie”, e la chiusa lapidaria “Ma solo, ‘un uomo ha ucciso una donna’, no eh?”.

Sono i titoli dei giornali o dei notiziari tv e radio che leggiamo e ascoltiamo troppo spesso quando una donna viene uccisa da un uomo. A quei titoli, a quella narrazione sbagliata, tossica, Anarkikka reagisce con le sue vignette, perché come scrive nel libro: “i media sono specchio di tutti i preconcetti e i pregiudizi legati a situazioni di maltrattamento. Continuano a raccontare di delitti passionali, commessi per gelosia o troppo amore, per abbandono o depressione, e così giustificano gli autori delle violenze. Questo diffuso modo di raccontare dimostra una conoscenza del tutto inappropriata dei meccanismi e della cultura che sottostanno alla violenza contro le donne.”

Le vignette proposte nel libro ci parlano anche delle vittime di stupro e di quanto ancora e ancora si sente dire “ma come era vestita?”, “se l’è cercata”, fino a mettere le vittime di stupro “sotto processo”. Ma sono anche vignette che ci spiazzano con note di tristezza, come quella realizzata per il terribile femminicidio di Agitu Ideo Gudeta, “Perché le donne muoiono così, tra capre e cavoli…”, o quelle capaci di commuoverci ed emozionarci come quella, che sul libro non c’è ma che ci piace comunque richiamare, dedicata a Lidia Menapace, salutata con una “Bella Ciao” e uno splendido papavero rosso.

E poi c’è il sessismo che, come scrive Stefania Spanò, “si nutre di stereotipi, incorpora e perpetra una visione del mondo che condiziona tutta la collettività, senza distinzioni di età classe sociale, colore politico. Si manifesta in ogni ambito della vita, da quello familiare e sociale a quello lavorativo. Alimenta discriminazioni e disparità nel linguaggio”. Ogni vignetta a suo modo è denuncia ma al contempo ci indica la strada della non accettazione, del cambiamento, della rivolta. Giulia Siviero nella chiusura della prefazione ci porta a pensare, ripensare vogliamo aggiungere, alla mimosa, quel fiore simbolo che alcune madri costituenti elessero a simbolo di lotta, impegno e festa, la mimosa “resistente e trasformatrice” richiamata nella copertina di questo libro intenso e accattivante, perché “sa modificare il terreno per le specie che arriveranno dopo di lei. Guardateli bene dunque, i fiori di mimosa su quel caschetto nero in copertina. Quei fiori sono come piccole bombe di guerrilla gardening. Pronte a brillare, a sparigliare tutto. E ad aprire una via”. Una mimosa come Anarkikka, trasformatrice, resistente, pronta a brillare.

Amalia Perfetti, insegnante, Presidente Sezione Anpi Colleferro “La Staffetta Partigiana”