cover internata n. 6Un diario letterario da dentro un “campo del duce”, la fotografia dell’Italietta fascista, la rimozione e la riscoperta del libro e della figura della sua autrice. Il testo che pubblica Mimesis comprende tutto questo, cioè non solo lo scritto di Maria Eisenstein, ma anche un saggio introduttivo che descrive l’appassionante ricerca condotta da Carlo Spartaco Capogreco sulle tracce della giovane ebrea e delle persone che lei incontra e presenta. Nell’insieme una lettura che cattura, sorprende, emoziona, e spesso indigna.

Maria nasce a Vienna da una famiglia di origine polacca il 22 settembre 1914. Giunge in Italia nel ’36 per studiare le “belle lettere” a Firenze, e qui si laurea nel ’39 con una tesi in letteratura tedesca. È colta, intelligente, bella. Nel 1940, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, viene catturata e condotta nel campo di concentramento femminile di Lanciano, in Abruzzo. Sui cinque mesi di internamento scrive appunti incisivi, precisi, spietati anche verso se stessa. Vi troviamo tutta l’insensatezza del meccanismo della segregazione che nel caso di Lanciano produsse una sconfortante “accozzaglia” (la definizione è di Maria) di 75 donne estranee l’una all’altra, che parlavano lingue diverse, senza nulla in comune se non il disagio di una convivenza forzata e troppo intima. La tragica fissazione del fascismo di perseguitare prostitute, omosessuali, slavi, ebrei, zingari, oppositori politici reali o sospetti, di scovare spie e di punirle, portò tra il 1940 e il ’43 all’istituzione di una cinquantina di campi di internamento, a volte costruiti ex novo, spesso insediati in edifici esistenti approssimativamente riadattati. A Lanciano si scelse la “Villa Sorge”, una casa malandata presa in affitto, per una cifra sostanziosa, dal regime.

L’edizione del 1944
L’edizione del 1944

Maria riflette sull’incomunicabilità, sull’impossibilità della solidarietà, sulla paura. “Più mi agito e più mi pare di essere in un mondo fittizio, non vero. O meglio: meno mi pare di essere io, in quel mondo” Non è lei, è il “6” colei che vive nel campo. Maria è nascosta, viene fuori solo di sera, e la sera trova “il coraggio di avere paura”. Maria, a differenza della maggior parte delle altre recluse, è consapevole dell’odio assoluto e assurdo di Hitler per tutti gli ebrei, percepisce il pericolo dello sterminio, del genocidio. La sua anima sensibile è continuamente offesa non solo dalla dimensione alienante dell’internamento, che abbrutisce e violenta la personalità di tutte, anche di quelle più forti, ma anche dalla miseria dei comportamenti di chi lo gestisce, le ruberie, la corruzione, i ricatti, l’ipocrisia. Lo stesso fuori dal campo, dove troviamo opportunismo, maschilismo, mediocrità. Si approfitta della presenza delle donne di Villa Sorge per alzare i prezzi dei prodotti in vendita. Come ha detto Elisa Guida in una delle presentazioni del libro (a Roma, alla Casa della Memoria, il 28 gennaio 2016) nel diario di Maria Eisenstein “la grande storia passa per le piccole storie, non c’è confine tra pubblico e privato, e l’Italietta fascista ne esce demolita”.

Non deve stupire dunque più di tanto il fatto che “L’internata n.6”, il libro/diario pubblicato nell’ottobre del ’44 nella Roma appena liberata, sia poi di fatto scomparso. Un’opera del genere cozzava con il mito del “bravo italiano”. Si deve a Carlo Spartaco Capogreco e a Gianni Giovannelli il merito di averlo recuperato. Un libro bellissimo e importante, per conoscere il nostro passato e per riflettere su come certe attitudini amorali rischiano sempre di produrre un certo fascismo di ritorno.

Anna Longo, giornalista Rai