cover - Elvira Pajetta«Fai il pugno chiuso con la destra perché con la sinistra, in Spagna, lo facevano loro». È la raccomandazione di Giuliano Pajetta alla figlia Elvira, la sola e unica volta che in casa sente parlare degli anarchici, mentre si conserva come una reliquia una cintura di seta con i colori  della bandiera viola, gialla e rossa della Repubblica spagnola, da non toccare per il rischio di sciuparla. Sono alcuni dei ricordi raccolti in Compagni, scritto da Elvira Pajetta per Pietro Macchione Editore. 

Giuliano Pajetta interviene ad un’assemblea nel campo dopo la liberazione di Mauthausen, maggio 1945
Giuliano Pajetta interviene ad un’assemblea nel campo dopo la liberazione di Mauthausen, maggio 1945

Memoria privata e insieme pubblica, il volume è quasi un’inchiesta sulle generazioni, giovani e meno giovani, che vissero il desiderio di libertà durante il Ventennio. È la riscoperta di una saga familiare e nello stesso tempo di una parte imponente della storia democratica italiana ed europea. Omaggio ai genitori nei centenari della nascita di Giuliano Pajetta (1915) e Claudia Banchieri (1916), l’autrice racconta un modo di interpretare la vita in cui l’affetto e gli ideali antifascisti, l’impegno e una ferrea disciplina di partito non potevano essere separati. «Non dimenticare che anche per noi il partito veniva prima di tutto», rammenta la zia materna Rosa Banchieri alla nipote Elvira. Il partito è il Partito Comunista. E il “noi” sono i Pajetta, i Berrini, i Banchieri e con loro i Balconi, quarto ramo di questa impegnativa genealogia familiare e politica. I compagni di vita e di lotta sono attivi in uno scenario vastissimo: l’Italia del regime mussoliniano vissuta nelle case avite di Taino e Romagnano Sesia, l’Urss, la Francia degli esuli, la Spagna della guerra civile e il campo di Vernet, la Milano della Lotta di Liberazione, il lager di Mauthausen, l’Est Europa nel dopoguerra. 

Gian Carlo Pajetta al lavoro nella commissione Stampa e Propaganda del Pci nei primi anni 50
Gian Carlo Pajetta al lavoro nella commissione Stampa e Propaganda del Pci nei primi anni 50

Elvira Pajetta si è messa sulle loro tracce, tornando nei luoghi, chiedendo fatti e impressioni a chi aveva conosciuto i suoi genitori. Punto di partenza gli interrogativi sollecitati dalle foto di famiglia, dagli scambi epistolari custoditi con cura, dagli appunti quotidiani e certosini della nonna paterna, Elvira Berrini, documenti anche inediti pubblicati a corredo del libro.

Oltre ai genetliaci, un’altra ricorrenza sembra fare da filo conduttore alla narrazione: l’ottantesimo anniversario, nel 2016, della guerra civile spagnola. Giuliano vi partecipa, ventunenne, restando ferito, mentre il fratello maggiore Gian Carlo è in carcere in Italia, condannato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, e il minore Gaspare è ancora bambino. Giuliano giunge in soccorso della Repubblica dalla Francia, dove ha riparato per evitare l’arresto e ha conosciuto Claudia, figlia di esuli socialisti, che aspetta un bambino, Jeannot. Una foto del 1938 ritrae Giuliano col basco, in divisa di combattente, accanto a Luigi Longo, commissario generale delle Brigate Internazionali. Quella stagione resterà per lui il tempo dei grandi ideali di fratellanza universale, nonostante la consapevolezza della possibilità di una sconfitta, sempre accompagnata da un’ironia pungente. Ne scrive alla madre tramite Claudia che, a Parigi, è addetta alla trascrizione delle lettere ai familiari. Molto più tardi ricorderà che sulla scritta NO PASARAN incisa su un muro qualcuno ha aggiunto: “si es que non veinen muchos”. Fa riflettere la passione senza confini di Giuliano se guardata con la lente di oggi, mentre il progetto democratico europeo eretto sulle macerie della Seconda guerra sembra sbriciolarsi, con le frontiere che tornano a chiudersi per i profughi vittime dell’Isis e della povertà.

Elvira Pajetta nel 2008
Elvira Pajetta nel 2008

Impegno e sentimento sono la costante di quelle esistenze, ne è segno il fatto che nelle lettere private nomi di battaglia, anagrafici e vezzeggiativi si confondono e sostituiscono: Giuliano è “Camen”, Claudia è “Vera” o “Anita”. Alla clandestinità e alla prigionia, poi si sommeranno i lutti durante l’occupazione nazifascista e la Resistenza: Gaspare e il cugino Piero “Nedo” moriranno in azione. Ma la famiglia festeggerà il 25 aprile e continuerà l’attività politica nel dopoguerra.

Compagni assolve anche a un debito verso donne coraggiose, tenaci, colte: la bellissima madre Claudia Banchieri, la zia Amalia, la cugina Marcella Balconi (divenuta in seguito uno dei più autorevoli neuropsichiatri infantili: il suo professore, Piero Fornara, sarà eletto alla Costituente come Gian Carlo e Giuliano). E la nonna Elvira Berrini che, rispondendo allo scoraggiato figlio Giuliano di ritorno dalla Spagna, scrive: “Dal momento che sei tornato tutto d’un pezzo, il resto è ordinaria amministrazione. Comprati un testo di Marco Aurelio, studia la filosofia stoica e insegnala anche a Vera. Studia sul serio, è il più gran conforto del vostro tempo”.