Il popolo dell’abisso e la rivoluzione

Jack London, Il Tallone di ferro, Newton Compton (2012), pag.233, Euro 4,90

di  M.D.V.

cover -Tallone di ferroUn romanzo del 1908. Oggi pressoché sconosciuto dai giovani e di rado presente negli scaffali della libreria, ma letto da generazioni di antifascisti come un classico della letteratura rivoluzionaria. Val la pena ricordarlo. E, con “Il tallone di ferro”, il suo autore di successo, in Italia, a partire dagli anni Venti del secolo scorso.

Jack London (1876-1916), il più popolare scrittore americano, era politicamente impegnato nel socialismo. Ma al regime di Mussolini i suoi libri andavano bene (soprattutto, “Il richiamo della foresta”, “Zanna bianca”, “Martin Eden”), perché narravano l’audacia dell’uomo e la poesia delle solitudini selvagge e incontaminate. Così le case editrici se lo contendevano, pubblicando – spesso in contemporanea – le sue opere: basta scorrere i cataloghi promozionali di quei tempi.

Con la caduta del fascismo, l’attenzione degli editori si spostò sui titoli di denuncia sociale, come “Il Tallone di ferro”, romanzo-profezia sulla lotta di classe e “Il popolo dell’abisso”, inchiesta sulle migliaia di diseredati degli “slums” di Londra. Del resto, come è stato notato dalla critica, in qualunque paese del mondo “si volesse far credere che c’era una rivoluzione, si leggeva London” e – in particolare – “Il Tallone di ferro”. Questo romanzo riporta ampiamente la visione socialista dell’Autore, dove lo scontro è tra il sottoproletariato urbano e la borghesia.

Questa la trama: sette secoli dopo la sconfitta definitiva dell’opprimente sistema oligarchico (“Il Tallone di ferro” schiaccia ogni tentativo di giustizia sociale), viene ritrovato un manoscritto di Avis Cunningham, figlia di un professore liberale, sorda alle idee rivoluzionarie di Ernest Everhard (giovane socialista). Conquistata dalle sue idee, si metterà al suo fianco, nel sostenere il nascente Partito socialista americano e combattere le battaglie degli oppressi (operai, metalmeccanici, studenti), contro le ingiustizie imposte dall’alto. Tanto più strenua sarà la battaglia, tanto più drammatica la sconfitta delle forze capitalistiche. L’espediente narrativo della scoperta del manoscritto consente a London di esprimere le proprie simpatie politiche, evitando ogni eventuale accusa di populismo, per la scioltezza della scrittura che alterna abilmente e con efficacia l’azione romanzesca con l’istanza saggistica e sociologica.

Mario Picchi, nella presentazione di questa edizione, ricorda che il London conosciuto in Italia fu colui che, prima di Hemingway, di Faulkner e di Steinbeck, portò dal nuovo mondo una insolita visione della vita, un’ansia di vagabondare per terra e per mare. London fu colui che scrisse libri come “La strada” e che tenne conferenze su uno dei suoi argomenti preferiti “Il vagabondo”: marinaio a diciassette anni, studente, cercatore d’oro, vero eroe romantico da strada, sregolato ma grande lavoratore (cinquantuno volumi scritti in sedici anni, dall’inizio del secolo).

Questo errare diventa un perdersi nel sogno nella sua ultima opera, “Il vagabondo delle stelle” (1915), una drammatica introspezione nei meandri della psiche umana in una condizione sociale ed esistenziale estrema: il protagonista – Darrell Standing – è un condannato a morte.

London seguì anche, come inviato di guerra, il conflitto russo-giapponese del 1904 e scrisse, nel 1906, per il “Collier’s Weekly” un memorabile reportage sul terremoto di San Francisco.

Di London si può dire che con il suo darwinismo, unito a un certo naturalismo e superomismo, si identificò con la spinta progressista impressa alla vita americana dei primi anni del 1900 da Theodore Roosevelt.