“Non so se sono riuscito a dimostrarti, in questo modo, che dalla lotta non bisogna attendersi il paradiso, nel quale dolcemente adagiarsi per sempre, ma la fine della schiavitù per tutti gli uomini, la fine delle guerre, l’avvento di un’umanità che, in piena dignità di se stessa, possa usare della libertà per valorizzare le virtù dello spirito, i beni della natura, le bellezze del mondo. Vale dunque la pena di lottare. Perciò quando l’amarezza e la tristezza assalgono, perché la lotta è aspra, perché il mondo è ingiusto, perché si ha a che fare con viltà e slealtà di ogni sorta, non conviene dirsi, a mo’ di rassegnazione, ‘Buongiorno tristezza’, bensì ‘Buongiorno resistenza’. E così salutare un nuovo giorno di lotta”. Buongiorno Resistenza, Avanti!, 1° febbraio 1955.
Nella risposta che Luciano Della Mea (1924-2003) dette dalle colonne dell’Avanti!, nella rubrica “arrivi e partenze” da lui curata, ad un lettore ex partigiano che chiedeva sconsolato cosa fare di fronte a concorsi pubblici per le guardie di P.S. riservati a chi aveva militato nella disciolta milizia portuaria (fascista) ormai a quasi dieci anni dalla nascita della Repubblica democratica sta tutta la sua difficile e intensa vita di giornalista e scrittore militante, “socialista libertario” , come ebbe più volte modo di definirsi, prima nelle file del Psi poi dal 1964 in quelle del Psiup e dei movimenti della nuova sinistra fino alla iscrizione al Pci alla metà degli anni 70.
La sua opera ampia e multiforme che va dal giornalismo d’inchiesta alla scrittura narrativa all’attività come redattore editoriale e organizzatore di cultura è stata ricordata in un recente convegno “Luciano Della Mea: un inquieto intellettuale nell’Italia del secondo ‘900”, tenutosi a Pisa e organizzato il 27 settembre 2017 da Biblioteca F. Serantini, Fondazione Turati e Istituto E. De Martino insieme all’Ateneo pisano. È stata l’occasione per celebrare fuori da ogni retorica, come si addice al personaggio, uno dei protagonisti di una stagione assai intensa: quella del “lungo 68” che vide proprio Pisa tra i centri più vivaci. Pisa è anche la citta in cui Della Mea si trasferì nel 1962 da Milano e in cui si impegnò a lungo perché fosse fatta luce e giustizia intorno alla morte del giovane anarchico Franco Serantini, deceduto il 7 maggio 1972 in carcere in seguito alla sua partecipazione a una manifestazione antifascista.
Un pubblico attento e partecipe ha seguito gli interventi che nel corso della giornata hanno approfondito vari aspetti della sua personalità: quella giornalistica (chi scrive), di scrittore (Mauro Stampacchia), di precursore della nuova sinistra (Maria Margherita Scotti), la riflessione degli anni 60 su politica di piano e programmazione economica (Marco Cini), l’intenso impegno sul caso Serantini (Michele Battini e Franco Bertolucci), quello per la chiusura dei manicomi e il legame con Franco Basaglia e Mauro Rostagno (Vinzia Fiorino) e infine il lavoro degli ultimi anni per la rivista “Il Grandevetro” (Alfonso M. Iacono).
I nomi di Franco Fortini, Gianni Bosio, Raniero Panzieri, tutti assai ricorrenti nella biografia umana e politica di Della Mea, come testimonia l’archivio personale, segnano profondamente la sua formazione improntata ad un marxismo rigoroso ma mai dogmatico, sempre attento alle concrete condizioni di vita e di lotta delle classi lavoratrici, tradotto costantemente nel tentativo, pagato anche in prima persona, di evitare la separazione tra lavoro intellettuale e pratica politica.
Gli interventi al convegno del 27 settembre di cui la Fondazione Serantini di Pisa curerà la prossima pubblicazione hanno così tracciato i percorsi fondamentali di un’attività politica e culturale che si è coerentemente snodata attraverso una ricerca, non solo teorica ma soprattutto politica e militante, in prima persona, di un socialismo libertario e classista. Un socialismo che affondava le sue radici nella storia del Psi e in particolare nell’elaborazione dell’oggi dimenticato Rodolfo Morandi, teorico di una “terza via” tra riformismo e modello sovietico già negli anni 30 del 900. La variegata area del “socialismo di sinistra”, di cui Della Mea fece parte, ha inteso, anche e soprattutto dopo la crisi del ’56 e il “miracolo economico” della fine degli anni 50 del secolo scorso, misurarsi con le radicali trasformazioni produttive, sociali, culturali e di costume che investirono il nostro Paese.
E proprio Luciano Della Mea, anche attraverso l’intenso lavoro per le Edizioni Avanti! dirette da Gianni Bosio, si è sempre contraddistinto per un’attenzione ininterrotta verso le esperienze “di base” del movimento operaio e della classe lavoratrice, verso quelli che Eric Hobsbawm avrebbe classificato come uncommon people. Proprio il grande storico inglese, presentando una raccolta di suoi saggi dedicati a gente apparentemente “minuta” come i “machine-breakers” luddisti o i “calzolai radicali” attraverso cui si diffondevano gli ideali del nascente socialismo, notava: “La loro vita è interessante quanto la vostra o la mia, anche se nessuno l’ha messa per iscritto. Ma il punto che mi sta più a cuore è che collettivamente, se non come singoli, quegli uomini e quelle donne sono stati protagonisti della nostra storia. Quello che hanno pensato e scritto è tutt’altro che trascurabile: era in grado di influire, e ha influito, sulla cultura e sugli avvenimenti, e questo non è mai stato così vero come nel XX secolo”. Sono parole che si adatterebbero benissimo a tanti scritti di Luciano Della Mea dedicati a figure che lui stesso avrebbe evocato e trasposto anche in chiave narrativa definendoli efficacemente come i “senzastoria”. Tra questi proletari e sottoproletari, contadini e operai, donne divise tra lavori di fatica e famiglia, anziani “quadri di partito” e giovani teddy boys di periferia, interni o ai margini delle organizzazioni di classe, militanti di sezioni e circoli la cui “oscura epopea”, come la definì il grande storico del movimento operaio Gaetano Arfè, ha innervato l’ossatura delle formazioni sindacali e politiche della sinistra sociale fino agli ultimi anni del ’900.
Significativo in questo senso quanto si legge nella prefazione che Della Mea scrisse al volume Autodifese di militanti operai e democratici italiani davanti ai Tribunali, uscito nel 1958 (Edizioni Avanti!) sulla collana “Biblioteca socialista” per la cura di Stefano Merli: “Se oggi esiste un largo movimento di massa socialista e democratico, si deve anche e soprattutto al fatto che in oltre mezzo secolo di storia la sua avanguardia non si è piegata. E questa avanguardia non è costituita soltanto da dirigenti, ma anche di semplici militanti”. Anche qui, ancora una volta, accanto al valore ritenuto esemplare delle testimonianze dei grandi dirigenti (Andrea Costa, Filippo Turati, Pietro Nenni, Antonio Gramsci ecc.) Della Mea sceglie significativamente di mettere in luce quelle di “semplici oscuri militanti”: il meccanico Francesco Natta, il bracciante Giuseppe Scarlatti, l’ebanista Aurelio Tannini, la giovane madre Adele Bei ed altri.
Una storia di tenace resistenza che dal passato viene ricondotta e legata alla contemporaneità. Perciò dalla fertile e ironica penna di Luciano Della Mea emergono e prendono voce personaggi che oggi possono apparirci come provenienti da un’altra Italia (se non da un altro pianeta e da un’altra era geologica) come l’anziano Domenico Canepa, sindaco di Aqui alla metà degli anni ’50, ex capo lega contadino costretto dal regime fascista ad anni di esilio in Francia e al momento nullatenente, che dopo una giornata trascorsa nel suo ufficio di primo cittadino torna a dormire nella casa di riposo gestita dalla suore, o Silvana, giovane madre che si trova a vivere nelle fatiscenti e insane case “minime” milanesi di Via Taliedo difendendo dai ratti i propri figli, l’altra faccia dell’incipiente “miracolo economico”. Solo per citare due tra i tantissimi “anonimi compagni” a cui viene data voce attraverso articoli, saggi brevi, racconti di impronta neorealistica. Tra questi è da segnalare il suo esordio narrativo (Edizioni Avanti!, 1954) dedicato all’“assai resistente” Tobia, facchino in una falegnameria, un contesto di lavoro conosciuto di persona dall’autore. Un’umanità descritta da Della Mea con l’empatia che derivava infatti dalla concreta esperienza vissuta praticando lavori saltuari e precari tra cui appunto il facchino in una falegnameria, portiere d’albergo, sorvegliante in un collegio e altri sempre a contatto con gli ambienti della socialità popolare del tempo. Anche se a volte, come noterà Italo Calvino tra i suoi primi critici sostenitori, la febbre del conoscere e dello scrivere lo porterà a “favolosizzare” la vita degli ambienti proletari da lui descritti, altre volte questa stessa sensibilità gli impedirà di cadere negli stereotipi dell’operaio “eroe positivo”, negli schematismi ideologici di impronta sovietica a favore di un approccio che parte sempre dalla curiosità umana e politica. Da qui la cura redazionale, le recensioni e le introduzioni ad agili volumi delle Edizioni Avanti! nel corso degli anni 50 e primi 60 che ritraggono quegli ambienti e le loro trasformazioni come le inchieste sulle sezioni di base dei partiti socialisti e comunisti, i dettagliati articoli sul rinnovato protagonismo nelle fabbriche milanesi, l’emergere di nuovi stili vita dalle periferie delle grandi città sempre rapportati ai cambiamenti strutturali della produzione e del consumo: “Ditemi che ‘teddy boys’ avete e vi dirò chi siete” recita non a caso un pezzo per “Mondo Nuovo” del novembre 1959 che per stile e tagliente ironia ricorda Luciano Bianciardi.
Da questa esperienza umana di “scrittore proletario” e giornalista di inchiesta “socialista” porterà sempre un imprinting indelebile, pur nel variare delle stagioni e delle attività intellettuali e politiche. Certo, accanto a questi ci sono gli studi e le analisi sui mutamenti produttivi e le critiche al centrosinistra dei primi anni ’60, le riflessioni sul controllo operaio su Mondo Operaio o ancora sul neocapitalismo nelle pagine dei Quaderni rossi, la paziente e spesso oscura preparazione, insieme a Gianni Bosio e Raniero Panzieri, di non pochi strumenti teorici e culturali che faranno poi parte del “lungo 68” italiano. Non mancano infine nei suoi scritti figure di rilievo come Alcide Cervi o Danilo Dolci, solo per fare qualche nome tra i tantissimi che popolano le sue pagine sull’ Avanti!, Mondo Nuovo, Il Paese fino alle pubblicazioni della “nuova sinistra” in cui registra, anche attraverso lo stretto rapporto con Vittorio Foa, la ripresa di un impetuoso protagonismo operaio e studentesco fino alla metà degli anni 70.
La lunga e tormentata fedeltà di questo “inquieto intellettuale” del 900 alle ragioni e al vissuto delle classi popolari ci parla oggi della forza che ancora può trasmettere una scrittura militante quando riesce a esprimere e dare voce alle aspirazioni e alle concrete esigenze dei “senzastoria” di ogni tempo.
Paolo Mencarelli, dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana
Bibliografia:
- Mencarelli (a cura di) Luciano Della Mea giornalista militante. Scritti 1949-1962, Manduria, Lacaita, 2007
- Cini (a cura di) Alla ricerca del socialismo libertario. Scritti scelti 1962-2003, Pisa, Pisa University press, 2015
- Hobsbawm Gente non comune, Milano, Bur, 2007
Tra l’ampia produzione di Luciano Della Mea si segnalano in particolare:
- Della Mea I senzastoria, Verona, Bertani, 1974
- Della Mea Una vita schedata, Milano, Jaca book; 1996
- Della Mea Una vita da Tobia. Come vissuta da un facchino assai povero, assai solo, assai resistente e da me, Unicopli, 2014 (1 ed. Edizioni Avanti!, 1954)
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
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