Concetta Barra col figlio Peppe (da http://www.napolitoday.it/cronaca/peppe-barra-ricordo-madre-concetta-anniversario-morte.html)

Si è immediatamente affascinati dalla sagoma di Charlie Chaplin di Concetta, dai suoi occhi immensi, dal suo sorriso ferino, dalle sue possenti mani il cui linguaggio non conosce frontiere, dalle sue mimiche stupefatte, da quella voce agile in tutti i registri, che si arrampica dai toni più gravi ai più acuti, ora soave, ora rauca, scoppiettante e crepitante come una mitragliatrice, e impenitente sculetta, smagrendo quel viso di Totò muliebre. Asciutta, con gli occhi che parlano prima ancora che essa apra bocca, espressiva fin nei minuti dettagli dei muscoli facciali, sospesa sul filo di una surrealtà irresistibilmente comica, si muove con mosse taglienti, precise, sintetiche. Magica marionetta.” Lamberto Lambertini

 

“Sono nata a Procida. Mio padre vi era stato mandato come agente di custodia del carcere, mia madre era un’isolana bella e buona. Mia madre, poverina, non sopportava il consorte perché non l’amava e, quando non si ama, tutto è difficile. Noi subimmo un po’ le conseguenze di quel matrimonio forzato. Dico noi per alludere a noi tre sorelle, sfortunate essendo donne. Per fortuna, dico per fortuna, ci venne l’idea di cantare in trio vocale, tutte e tre, per evadere dall’ambiente familiare. Mia madre accettò di seguirci e viaggiare con noi. Si era vicino alla fine della guerra e così fummo battezzate “Trio Vittoria”. Quella vittoria che tutti aspettavano e che non venne mai. Avemmo delle esperienze positive e anche negative. Ci fu l’occupazione delle truppe americane a Napoli e così restammo bloccate a Roma. Lì conobbi Giulio che tornava dalla Russia con il braccio rotto e ingessato. Per la prolungata permanenza a Roma avvenne l’amore. Ci sposammo ed avemmo tre figli: Peppe, Gabriele e Tonino. Furono sedici anni di rinunce e di sofferenze d’ogni genere. Alla fine ci separammo. I primi tempi avevo fatto la partner di mio marito che faceva Charlot in un numero di pantomima e giochi di prestigio. Poi, per la crisi dovuta alla guerra, e per vari altri motivi, ci fu un riposo forzato, un riposo artistico che per me durò trent’anni. Mio figlio Peppe, intanto, contro il volere del padre, e con l’aiuto di Dio e della sua ferrea volontà era riuscito a crearsi un mondo tutto suo. Cominciava a realizzarsi quel gruppo di ragazzi che formavano la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Venivano a provare a casa. Roberto De Simone, il direttore del gruppo, mi convinse a cantare di nuovo. Con l’aiuto della fortuna ho potuto realizzarmi anche come attrice, con Roberto e poi anche con Eduardo”. [Lambertini, Sono nata a Procida. Memoria impossibile di Concetta Barra, pp. 57-58].

Chi si racconta è Concetta Grasso (in Barra) (Procida, 11 febbraio 1922 – Napoli, 4 aprile 1993), figlia del guardiano del carcere di Procida, il messinese Antonino Grasso e della procidana Michela Di Giovanni, madre di uno dei più dotati e straordinari rappresentanti della canzone napoletana, Peppe Barra, targa Tenco come migliore interprete per l’album solista Mo’ Vene. Concetta è ambasciatrice della lingua e della cultura napoletana nel mondo, colei che ha riportato alla luce l’antico repertorio musicale originario della sua terra. Verace, espressiva, solare, una voce tutta partenopea, straordinaria esecutrice del bel canto popolare. Vissuta per moltissimo tempo nell’isola natia, ne è considerata dai suoi abitanti la cantatrice ufficiale.

Inizia la sua carriera di cantante nemmeno ventenne, durante il periodo del secondo conflitto mondiale quando, insieme alle sorelle Nella e Maria, fonda la compagnia Vittoria. Successivamente lavora con compagnie di artisti prestigiosi come Totò, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi.

“Quando sentivo chitarra e mandulino ascevo pazza! – racconta Concetta –. Io conoscevo due baconi, si chiamavano baconi quelli che vanno a suonare in giro per il mondo. Vivevano in un basso. Il più vecchio si era fissato con me, diceva ca tenevo ’na bella vocella. Aveva un piede come un elefante, senza dita. Mi voleva insegnare una canzone che aveva scritto. Io per accontentarlo ci andavo e cantavo” [Lambertini, p.19].

Così Concetta, che ha davvero una bella voce, canta ogni volta che glielo chiedono, canta tutti i giorni, canta soprattutto quando arriva l’estate. “Noi eravamo tre sorelle – racconta -, ogni mattina ci affittavamo una barca a Mergellina da Pascale, tre lire […], ci facevamo il bagno e al ritorno ci mettevamo a cantare […]. Scendeva la sera, parecchie barche si accostavano e ci seguivano per sentire, ci applaudivano. A quell’ora il mare era tutta una fosforescenza, era un sogno, veramente un sogno. Ci chiamavano ’a varca che canta” [Lambertini, p.20].

Capita così che un giorno un grande maestro sente queste voci intonate, se ne innamora e le porta nella sua compagnia, la Compagnia Femmena, perché composta di una ventina di sole ragazze. Sanno cantare, ballare, recitare. Mamma Michela le segue come un’ombra e si fa assumere come sarta di scena. L’ambiente dello spettacolo, si sa, può essere molto spregiudicato per delle giovani donne.

“Mi ricordo ancora – racconta Concetta – che ci misero un reggipettino nero, una mutandina nera e un impermeabile rosso trasparente: piove, piove, su bambine rinfrescate i vostri cuor” [Lambertini, p. 20].

Ma le sorelle si sanno far rispettare. E poi sono un trio affiatatissimo, che non lavora in una sola compagnia. Tanti gli artisti con cui collaborano, anche di grande fama: “con il figlio di Latilla, con la Vera Nandi che all’epoca faceva delle canzoni sceneggiate, bellissime, con i Cinque Munari […], il trio De Vico […]. Fabrizi, la Germana Paolieri, Rossano Brazzi, Nino Taranto, i tre De Filippo, Eduardo, Peppino e Titina” [Lambertini, p. 23].

Quando arriva la fine della guerra Concetta sposa Giulio Barra, artista di teatro e varietà, conosciuto qualche tempo prima. Dal matrimonio nascono Peppe e Gabriele. Ciò costringe Concetta a ritirarsi dalla sua attività. Sino al 1970, anno in cui torna sulle scene con un nuovo repertorio basato sulla riscoperta della canzone napoletana antica. Ciò avviene anche grazie al figlio Peppe che da tempo ha preso la strada del palcoscenico. Nel 1967, infatti, con Roberto De Simone ha dato inizio a una delle imprese più importanti del teatro napoletano e non solo di quegli anni, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Inizialmente formata da Giovanni Mauriello, Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò, al nucleo originario, via via si aggiungono Patrizia Schettino poi sostituita da Fausta Vetere e Peppe.

Concetta è lontana dal teatro da molto tempo il giorno in cui De Simone, andato a trovare Peppe a casa sua, la sente cantare in cucina una canzone procidana. È un colpo di fulmine. De Simone decide che Concetta deve partecipare al suo nuovo spettacolo e con l’aiuto di Peppe riesce a trascinarla in uno spettacolo che debutta a Spoleto nel 1972. Ottiene un successo strepitoso: è il suo secondo, e stavolta irreversibile, ingresso nel mondo dell’arte, che non lascerà più.

Il Maestro Roberto De Simone (da https://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/01/04/ news/maradona_al_san_carlo_roberto_de_simone_ sono_contrario_-155359705/)

È così, anche grazie al sodalizio intrapreso con il maestro Roberto De Simone, che Concetta diviene una delle più famose e apprezzate cantanti napoletane. Perché non si può parlare di lei, senza tralasciare la sua esperienza con il teatro di questo grande maestro che negli anni del folk revival, negli anni delle ricerche del Nuovo Canzoniere Italiano a Milano, di Gianni Bosio e Roberto Leydi, promuove con identica passione e rispetto della fonte, lo studio del repertorio antico e popolare della sua terra.

Pianista, compositore e musicologo, a lui si deve il recupero e l’approfondimento della tradizione popolare della Campania. L’incontro con i giovani artisti della Nuova Compagnia di Canto Popolare sarà determinante nell’affermare il valore della musica popolare. Parteciperà alle attività della compagnia come ricercatore e nell’elaborazione di nuovi materiai musicali, dal 1967 al 1974. De Simone sarà rivoluzionario nel concepire un nuovo modo di proporre musica popolare in generale e la musica partenopea in particolare.

“Rivolgendo lo sguardo all’ambiente popolare, non colto – scrive Claudio Mazzitello – Roberto De Simone ne coglie il disagio. Il popolo, la plebe, gli emarginati da sempre e universalmente vivono nell’oppressione sociale, il conflitto si genera dai contrasti con la classe dominante, borghese, sfociando, come già sottolineato, nel dramma sociale” [Mazzitello, Fiabe, suoni e malie. Il teatro di Roberto De Simone, p. 20].

Una vera e propria rivoluzione quella che compie la Nuova Compagnia di Canto Popolare attraverso l’innovazione con cui De Simone affronta la ricerca etnomusicologica. La Nuova Compagnia si fa carico di rappresentare le istanze, i sentimenti popolari attraverso la ricerca musicale e teatrale, dunque innovando il ritmo, forma espressiva dell’esaltazione che porta al rovesciamento e all’emergere delle manifestazioni più profonde e vere. E lo fa attraverso il gesto, inscindibile dal ritmo.

“Roberto De Simone – scrive Mazzitello – si pone come primo obiettivo il recupero e la riproposta del patrimonio culturale, teatrale, musicale della tradizione popolare campana sia orale che scritta. Quest’approccio alla tradizione rappresenta una prima novità. Il repertorio popolare non viene riproposto in maniera arbitraria, ma poggia anche su sistemi colti come per esempio la scrittura e l’elaborazione metrica, considerati come strumenti di reinvenzione e di confronto” [Mazzitello, p. 22].

Un lavoro che richiede una vera e propria ricerca sul campo. Così De Simone e i componenti del gruppo si disseminano nelle feste popolari, nei paesini dell’entroterra campano, nei luoghi dove ancora sprazzi di tradizioni sono sopravvissuti a cercare superstiti, anziani cantori che possano ricordare quei canti dimenticati e a rischio sparizione. Nello stesso tempo l’attenzione è rivolta anche ai documenti della tradizione colta: “materiale di biblioteca, articoli ma anche saggi su forme passate come, ad esempio, villanelle, laudi, strambotti assolutamente necessari per una riproposta autentica della tradizione popolare passata del repertorio campano” [Mazzitello, p. 22].

L’idea è anche di andare, attraverso la ricerca, oltre alle modalità esecutive e alle linee melodiche della canzone napoletana del tardo Ottocento.

Il lavoro di ricerca di De Simone e il progetto della Nuova Compagnia di Canto Popolare sono così innovativi da suscitare l’interesse dell’etnomusicologo Diego Carpitella. “La modalità esecutiva dei componenti della N.C.C.P. – scrive Mazzitello – è accompagnata da quello che Diego Carpitella chiama somatizzazione della musica ovvero una completa unione fisica e mentale dell’esecutore alla musica, tale da permettere una identificazione della musica con lo stesso cantante. Questo sottolinea la consapevolezza che l’esecutore diviene determinante nella produzione dei canti della tradizione. Da qui l’idea di non eseguire solo vocalmente i brani ma di farli seguire da una partecipazione fisica, attraverso l’utilizzo delle modalità cinesiche della danza e del teatro popolare direttamente legato alla ritualità” [Mazzitello, p. 23].

I canti recuperati dalla tradizione non è importante che vengano fissati in partiture scritte, ma è l’esecuzione nel momento stesso in cui avviene, l’unica possibilità per tenere in vita queste manifestazioni popolari. È l’esperienza orale che conta. Così, numerosi sono i concerti della N.C.C.P. che si svolgono durante festival, rassegne folk. Il repertorio sprofonda nel passato, da De la crudel morte de Cristo, canto processionale del 1300,

fino all’antica lirica napoletana Il ritornello delle lavandaie del Vomero,

alle villanelle Boccuccia de no pierzeco apreturo (1537);

In galera li panettieri (1570);

La morte de mariteto (1500);

https://www.youtube.com/watch?v=oTw0ARo6MbQ

Li ’ffigliole (1500);

Li sarracini adorano lu sole (1500);

Madonna tu mi fai lo scorrucciato (1534);

https://www.youtube.com/watch?v=cY6yMjJ8afk

fino alle tarantelle e alle tammuriate Lo guarracino (1768);

Cicerenella (1500);

Il ballo di Sfessania (1500).

Tutti brani eseguiti utilizzando strumenti tipici della tradizione partenopea, dalla mandola, al mandolino, al mandoloncello, le castagnette, la tammorra [Cfr. Mazzitello, p. 24-25].

Del 1966 è la riedizione della Cantata dei pastori di Andrea Perrucci rappresentata a Napoli. Di questa cultura popolare è molto rappresentativa essendo collegata al presepe napoletano che nel Seicento riproponeva le Sacre Rappresentazioni, ovvero la teatralizzazione degli eventi religiosi. Obiettivo di De Simone: “evidenziare la tradizione pagana, i simboli rituali e la contaminazione popolare che confluiscono all’interno dell’opera” [Mazzitello, p. 30]. L’opera di Perrucci (1698) racconta di complotti a opera di demoni che vogliono impedire in tutti i modi la nascita di Gesù Bambino. Ma i diavoli alla fine vengono sconfitti dagli angeli. La storia si conclude con l’adorazione dei vari e classici personaggi del presepe: pastori, cacciatori e pescatori. Nella parte dell’Arcangelo Gabriele viene scelta Concetta, per la prima volta a fianco del gruppo. Tra i canti più suggestivi vi sono: la Tarantella di Santa Lucia

e Nascette lu messia

Concetta sarà anche l’interprete, prima donna, del ruolo di Sarchiapone, personaggio comico aggiunto al testo originale per rendere l’opera un po’ più accattivante. Lamberto Lambertini così la descrive in quei panni: “È insieme astratta, al di là di qualunque riferimento naturalistico, e insieme scostumata, nel senso che in scena è disposta a fare qualunque cosa al di fuori delle regole, che non ti aspetti certo da quella signora secca che alla fine, come dottor Jekyll e mister Hyde viene fuori vestita da damina del settecento a cantare Quanno nascette Ninno di Sant’Alfonso de’ Liguori” [Lambertini, p. 80].

Peppe Barra racconta la Cantata dei pastori:

L’opera ha grande successo e così cominciano le tournée della compagnia che si sposta in Europa e in America Latina. Vengono effettuate anche le prime incisioni discografiche: Li sarracini adorano lu sole (1974),

https://www.youtube.com/watch?v=VkulIND6Owo&list=PLzH4FjanPkUdTfibGqVS_MKShQ3posCKk

un disco che contiene dieci brani, otto dei quali sono tradizionali con musiche rielaborate da Roberto De Simone. Gli altri sono ’O cunto ’e Masaniello, firmato da De Simone,

e Tammuriata nera, composto 30 anni prima da E. A. Mario e Edoardo Nicolardi.

Di questo brano non si può non riportare la straordinaria versione live successiva di Peppe e Concetta:

Altri dischi decisivi nella ricerca del N.C.C.P. sono: Tarantella ca nun va ’bbona (1975) che contiene brani come Trapanella

e Ué femmene femmene

e 11 mesi e 29 giorni (1977), album di brani in buona parte tradizionali con musiche rielaborate da Roberto De Simone. Tra questi: Italiella.

Eduardo De Filippo rimane così colpito dalle esibizioni della compagnia che la suggerisce a Romolo Valli, direttore del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Il gruppo vi parteciperà in due edizioni, la prima con La cantata di Zeza, la seconda con La gatta Cenerentola.

Quest’ultima è un’opera teatrale in tre atti, scritta e musicata da Roberto De Simon (1976) che si ispira alla fiaba omonima contenuta ne Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, una raccolta di cinquanta fiabe in lingua napoletana edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. De Simone mescola questa con altre versioni, scritte e orali, della stessa fiaba. Anche dal punto di vista musicale, l’opera fonde musica popolare (villanelle, moresche, tammurriate) e musica colta, mentre il testo è in lingua napoletana, ma un napoletano quasi senza tempo. Grande protagonista della gatta Cenerentola è la città di Napoli, città figliastra, vittima del potere di una matrigna perversa e di occupanti stranieri. Ma la storia non è una storia reale, più una rievocazione di leggende, sogni, suggestioni lontane e quasi mitologiche.

De Simone disse: “Quando cominciai a pensare alla gatta Cenerentola pensai spontaneamente ad un melodramma: un melodramma nuovo e antico nello stesso tempo come nuove e antiche sono le favole nel momento in cui si raccontano. Un melodramma come favola dove si canta per parlare e si parla per cantare o come favola di un melodramma dove tutti capiscono anche ciò che non si capisce solo a parole. E allora quali parole da rivestire di suoni o suoni da rivestire di parole magari senza parole? Quelle di un modo di parlare diverso da quello usato per vendere carne in scatola e perciò quelle di un mondo diverso dove tutte le lingue sono una e le parole e le frasi sono le esperienze di una storia di paure, di amore e di odio, di violenze fatte e subite allo stesso modo da tutti. Quelle di un altro modo di parlare, non con la grammatica e il vocabolario, ma con gli oggetti del lavoro di tutti i giorni, con i gesti ripetuti dalle stesse persone per mille anni così come nascere, fare l’amore, morire, nel senso di una gioia, di una paura, di una maledizione, di una fatica o di un gioco come il sole e la luna fanno, hanno fatto e faranno”. [Prefazione all’edizione 1976].

L’opera è un capolavoro. Qui la Scena delle ingiurie dall’edizione di Spoleto,

e l’opera completa nella versione successiva di Media Aetas (1997).

Ma l’esperienza de La gatta Cenerentola tanti dissidi porterà all’interno della compagnia, con scissioni e allontanamenti. L’opera, infatti, verrà presentata al Festival dei Due Mondi di Spoleto come eseguita non dalla N.C.C.P. ma dagli artisti della compagnia Il Cerchio. Ne fanno parte, oltre a Concetta e Beppe Barra, Isa Danieli, Patrizio Trampetti, Virgilio Villani, Giovanni Mauriello, Fausta Vetere, Antonella D’Agostino, Antonella Morea, Francesco Tiano, Franco Iavarone, Annamaria Vaglio, Mauro Carosi. Per quest’opera è De Simone stesso ad affidare a Concetta tre ruoli: la Capera, la Zingara e la Cameriera, in cui lei rivela una mimica straordinaria e il grande talento comico. Concetta è “la mano della cabala, l’ironia della pettinatrice e la verità della zingara, una voce popolare esaltata dalle doti di narratrice e che, proprio per questa capacità, nei ruoli che interpreta, appare come una donna che scioglie i nodi del cunto in un vicolo qualsiasi del Sud” [Mazzitello, p. 114].

Canzone della zingara:

Finale de La gatta Cenerentola.

L’opera è un tale successo che da quel momento verrà rappresentata in tutto il mondo: dal 1976 al 2000 si ripeterà in cinquecento repliche con tournée in Italia, a Zurigo, Francoforte, Edimburgo, Rio de Janeiro, New York, Parigi, Barcellona [cfr. Mazzitello, p. 118].

Quest’opera è davvero la summa della ricerca etnomusicologica e antropologica di De Simone. Mette in scena, infatti, numerose delle tematiche care all’autore nell’idea di farsi portavoce delle istanze popolari. Vi è “il contrasto tra classe popolare e classe dominante, l’accento sulla musica popolare, gli elementi magico-rituali che caratterizzano la cultura popolare e la forza espressiva dei simboli che comunicano queste dinamiche, la coralità che attraversa l’opera” [Mazzitello, p. 38].

Peppe Barra la racconta:

Sempre con De Simone Concetta parteciperà al fianco di Peppe a Mistero napoletano (1977)

e a La festa di Piedigrotta (1978).

E poi all’Opera buffa del Giovedì Santo scritta da De Simone nel 1980. L’opera mette in scena la Napoli capitale borbonica con tutte le sue dinamiche conflittuali a carattere sociale, politico, culturale. “Napoli nel secolo XVIII: una famosa capitale europea, una promessa non mantenuta, una speranza delusa, un’avventura culturale conclusasi con un canto sospeso, vagamente conosciuto attraverso una memoria confusa e lacerata. Insomma, un interminabile e immobile giovedì santo, in attesa di una domenica di risurrezione, destinata a rimanere sempre attesa” [L’Opera buffa del giovedì santo, prefazione, Einaudi, 1999]. Anche in questo caso De Simone parteggia per gli umili: gli studenti orfani che arrivano dalle campagne, i pezzenti, i lazzari, le canterine. Tutti personaggi di matrice popolare, rappresentati nelle loro manifestazioni di subalternità e di rivalsa Concetta vi prende parte nella messa in scena al Teatro Metastasio il 28 ottobre 1980.

Il lavoro con De Simone prosegue anche nell’attività di registrazione in studio. Numerosi sono i dischi incisi da Concetta, da Schiattate gente ’ne (1978) con il figlio Gabriele a Nascette mmiez ’o mare (Derby, 1974), album che prende il titolo dalla canzone omonima inserita. Parole e musica di Roberto De Simone, ispirate alla seicentesca Michelemmà, raccolta nel ‎‎700 da Salvator Rosa.‎ Presente anche nello spettacolo Cantata per Masaniello realizzato da De Simone nel 1988, è una canzone epica che racconta la storia di Napoli con le sue tribolazioni, gli anni di angherie, i soprusi, le guerre, i saccheggi, gli ‎inganni. La sopravvivenza e la resistenza popolare.

Come la donna pezzente, senza dote e senza ‎niente/con la sua sola bellezza, fa il mestiere cattivo ‎‎(la prostituzione) ‎/ così Napoli-nà, sta sempre allo stesso posto (’o puntone, modo antico ad indicare l’angolo dove batte la prostituta) /e sbarca il lunario per la giornata con ’a ‎pusteggia (suonare per ristoranti e bar) e la serenata.

L’album contiene tra le più belle canzoni popolari napoletane come Il Cavaliere e la Morte;

’O Matrimonio d ’O Guarracino, celebre canzone al ritmo di tarantella della fine del Settecento di autore ignoto che narra una vicenda di amori e liti tra pesci.

E poi Madonna Dell’Arco, canto dedicato al culto della Madonna dell’Arco risalente al VX secolo quando, il giorno di Pasquetta un giovane giocando a palla colpì bestemmiando l’immagine di una madonna con bambino (posta sotto un arco romano) che cominciò a sanguinare. Da allora la devozione si è diffusa in tutta la Campania. Presso il comune vesuviano di Sant’Anastasia esiste tuttora il santuario della Madonna dell’Arco.

Il Canto Dei Potatori è, invece, un canto delle classi subalterne.

La Leggenda Del Lupino racconta di Maria che fugge da Betlemme quando Erode mette al bando i bambini sotto i due anni. Cerca riparo sotto un lupino che però non l’accoglie. Così da quell’albero nasceranno solo frutti amari.

Canto Del Filangieri è una canzone popolare che parla di un giovane picciotto rinchiuso al Filangieri, ricovero carcerario di correzione e rieducazione minorile collocato nella zona di San Gregorio Armeno. A parlare in prima persona è un guagliunciello destinato a percorrere una rapida carriera camorristica diventando prima mariunciello, quindi picciuotto ’e malavita, scassinatore ’e primma riga e infine assassino. Strafottente e arrogante di fronte alla legalità. Chi dice ca ’e manette so’ d’ acciaro/a me me pareno bracciali d’oro/Chi dice ca stu carcere è na galera/a me me pare na villeggiatura.

https://www.youtube.com/watch?v=829TjUes3po

Li pallucce è la storia di un ragazzo invitato a salire in camera da una donna per godere delle sue grazie (il giovane ha vinto ai dadi a li pallucce, gioco d’azzardo di strada), ma arriva il fratello della giovane che funge da capofamiglia padre/padrone e lo scaccia.

C’è poi la canzone La ’Nferta

e il più noto O Cippo ’e Sant’Antuono, canto dedicato alla festa di Sant’Antonio Abate che si celebra il 17 gennaio con usanze e riti folkloristici. Tra questi l’accensione di un fuoco in ricordo dell’antica leggenda. Il santo era sceso negli inferi con il suo maialino per rubare il fuoco sacro, che aveva il potere di scacciare malocchio e malanni, per regalarlo agli uomini.

Concetta lavorerà tanto anche in teatro, con Eduardo de Filippo che, come era successo a De Simone, avrà per lei un colpo di fulmine, nel sentirla recitare. Le riserverà dei ruoli in alcune messe in scena di Gennareniello e de Il berretto a sonagli. Sono partecipazioni importanti per la maturità artistica di Concetta. Svariate poi le partecipazioni a trasmissioni musicali radiofoniche e televisive. Recita in alcuni film di celebri registi come Café Express di Nanny Loy (1980); La pelle di Liliana Cavani (1981); Don Chisciotte di Maurizio Scaparro (1983); I soliti ignoti vent’anni dopo di Amanzio Todini (1987). In televisione recita La cantata dei pastori, regia di Roberto De Simone, trasmessa il 24 dicembre 1977, RAI. E in Storie della camorra, sceneggiato televisivo di Rai 1 del 1978 diretto da Paolo Gazzara.

Ma soprattutto tornerà in teatro al fianco di Peppe fondando la compagnia, Peppe & Concetta, imponendosi all’attenzione della critica internazionale. Tra i tanti titoli si ricordano: Scherzo in musica in due tempi (1982), Artisti (1983), Senza mani e senza piedi (1984), Sempresì (1985), Varietà c’est ça (1986), La festa del Principe (1988), Signori io sono il comico (1990), film diretto e ideato da Lamberto Lambertini,

Flic Floc (1992). Nel disco omaggio a Raffaele Viviani Canto a Viviani, Peppe e Concetta ne interpretano diversi brani.

Per il teatro mettono in scena l’opera Pulecenella di Libero Bovio (1921).

Sorprendente il loro Duetto buffo dei gatti (attribuito a Rossini).

A Concetta Barra oggi è dedicato l’intero atrio principale della Scuola Media Statale Antonio Capraro di Procida. Nell’isola c’è anche una strada a suo nome nel quartiere di Terra Murata, dove ha vissuto.

A Procida, poi, presso la storica Piazza dei Martiri, si tiene il Premio Concetta Barra – isola di Procida, (arrivato alla V edizione) con la direzione artistica di Peppe Barra. Nella suggestiva Marina di Procida, porto turistico, avviene la premiazione di esponenti del mondo della cultura, della letteratura, dello spettacolo e della moda. Tra i premiati dell’edizione 2018: Gigi Proietti, Marina Confalone, Enzo Gragnianiello, Giovanna Marini, Silvio Perrella, Sylvain Bellenger, Paolo Giulierini, Rocco Barocco. Dopo la premiazione, la manifestazione si chiude in piazza Marina Grande con il concerto dedicato a Concetta Barra, La Procidana.

Concetta Barra resta nella memoria collettiva come attrice sanguigna e dai tratti marcatamente dialettali, ma soprattutto come impareggiabile cantante e interprete di numerosi testi della tradizione popolare sia napoletana che specificamente procidana. La sua è la storia di una grande passione, di perfetta coerenza e di continue metamorfosi in nome della musica e del teatro. È la storia di un’artista che nasce tale e così resta per una vita intera: “Concetta dalle mille voci, Concetta ilare e patetica, giovane e vecchia, Concetta regina della scena” [Lambertini, p. 31].

Il breve documentario Concetta Barra, menestrello della città antica, custode di una Napoli viscerale e autentica la racconta.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli