Se di ispirazione si vuole parlare, allora si diventi consapevoli che si tratta solo di un momento, e passato quello c’è il lavoro. Si scrive qualcosa, poi magari si cancella, si butta via, per poi ricominciare da capo. Ennio Morricone.
“Io, Ennio Morricone, sono morto”. Inizia così, come l’incipit di un surreale romanzo contemporaneo, un documento che non appartiene a nessun genere di finzione.
È l’inizio del necrologio che il grande maestro ha scritto di suo pugno poco prima di andarsene, lunedì 6 luglio, ricoverato in una clinica di Roma per le conseguenze di una caduta.
Continua, questo scritto, con i ringraziamenti alle persone care: gli amici, i figli, i nipoti, per arrivare a Maria, la compagna di una vita, alla quale dichiara l’amore straordinario e il dolore per il distacco più doloroso.
Infine una richiesta: un funerale in forma privata. Per non disturbare.
Siamo di nuovo nel campo della realtà. Ma la persona che ha lasciato questo biglietto ha tutte le caratteristiche dell’eccezionalità e dell’unicità. E tentare di ripercorrere la sua vita è come perdersi in un appassionante romanzo d’amore, di avventura, dentro un atlante di storia del Novecento, tra le teorie di un saggio sui cambiamenti sociali e culturali del nostro Paese.
Perché Ennio Morricone è stato la colonna sonora di così tante e diverse generazioni da lasciare impressionati. Come impressiona la quantità di generi musicali che egli è stato in grado di attraversare, dalla canzone leggera degli anni Sessanta, alle opere di composizione sinfonica, la musica assoluta, passando per le colonne sonore di film di genere, d’autore, sempre distinguendosi, sempre innovando. Sorprendendo e commuovendo un pubblico multiforme.
Ennio nasce a Roma nel novembre 1928, ma è originario di Arpino in provincia di Frosinone. Figlio d’arte, il padre Mario Morricone è un trombettista che lavora con diverse orchestre. La madre Libera Ridolfi ha una piccola industria tessile. In famiglia ci sono anche le sorelle Adriana, Maria e Franca.
Da bambino la sua ambizione è diventare medico. E anche scacchista professionista. Non studierà mai medicina, ma il gioco degli scacchi lo appassionerà per tutta la vita. La musica, però, è il mestiere di famiglia e Ennio segue una strada già avviata dal padre. “Un giorno mi mise la tromba in mano e mi disse: Io ho fatto crescere voi che siete la mia famiglia con questo strumento. Tu farai lo stesso con la tua. Mi iscrisse al conservatorio al corso di tromba e solo dopo alcuni anni approdai alla composizione: superai brillantemente il corso di armonia e furono gli insegnanti stessi a consigliarmi quel percorso” [De Rosa, Inseguendo quel suono: la mia musica, la mia vita, p. 176]. Così Ennio studia al Conservatorio di Santa Cecilia, si diploma in tromba e poi si perfeziona nella musica corale e nella direzione di coro.
La sua carriera comincia da trombettista, suonando in diverse orchestre, a volte anche sostituendo il padre negli anni della Seconda guerra mondiale. Poi nei night romani, nei locali che nascono con la Ricostruzione, dove gli strumenti a fiato incontrano il jazz. In poco tempo si fa conoscere anche come arrangiatore. È un direttore d’orchestra romano, Carlo Savina, che lo ingaggia inizialmente per scrivere arrangiamenti per alcune produzioni radiofoniche presso la Rai. Servono scritture musicali per l’accompagnamento orchestrale – pianoforte, archi, batteria, organo Hammond – di cantanti che si esibiscono dal vivo durante questi programmi. Non perde una prova Ennio. È una grande occasione per lui, ancora studente di conservatorio, poter assistere al lavoro dei professionisti, ricevendo presto degli apprezzamenti. Scrittura dopo scrittura, matura una tale esperienza da riuscire a realizzare anche quattro arrangiamenti al giorno.
Il nome circola tra i direttori d’orchestra, gli impresari musicali e in breve tempo Ennio ottiene un contratto con la casa discografica Rca italiana che, tra i primi incarichi, gli affida gli arrangiamenti di una raccolta di canzoni della tradizione napoletana e italiana, cantate da Miranda Martino. In questi primi 33 giri emergono subito le idee innovative di Ennio. Come inserire richiami alla musica per pianoforte di Beethoven, e creare arrangiamenti sofisticati che fanno riecheggiare la sua cultura musicale classica.
Sono gli anni ’58-’59, gli esordi del business della canzone. Canzone d’autore, canzonetta di evasione o musica colta? Ennio appare incerto.
Nel ’57 aveva scritto la sua prima composizione, Primo concerto per orchestra, dedicata al suo insegnante di conservatorio Goffredo Petrassi, in scena al Teatro La Fenice di Venezia.
Nel ’56 si era già sposato con Maria e poco dopo era nato il primo figlio. Servivano maggiori entrate per mantenere la famiglia. Ennio comprendeva che vivere di musica d’arte, ispirata ai grandi autori classici, non offriva sufficienti garanzie di guadagno. Meglio la strada della canzone di successo e commerciale, di gran moda agli inizi degli anni Sessanta.
Così si fa coraggio e bussa alla porta del direttore artistico della Rca, Vincenzo Micocci, per chiedere una collaborazione meno saltuaria. Micocci gli commissiona gli arrangiamenti di brani di artisti italiani che diventeranno quasi tutti grandi hit.
Nel ’62 arrangia il 45 giri Pinne fucile ed occhiali/Guarda come dondolo, al quale seguiranno Abbronzatissima e O mio Signore (’63), Hully gully in 10/Sul cucuzzolo (’64) di Edoardo Vianello. Nel ’63 è la volta di Sapore di sale di Gino Paoli.
Lavora con Mario Lanza, con Fausto Cigliano e con Domenico Modugno per cui cura gli arrangiamenti di Apocalisse e Piove (Ciao ciao bambina).
Per Paul Anka, che si presenta a Sanremo nel ’64, musica Ogni volta, che ottiene inaspettati riconoscimenti.
Mai quanto Se telefonando, proposta a Mina nel ’66 su testo di Maurizio Costanzo e Ghigo de Chiara. La musica di Ennio e la voce di Mina producono un risultato sensazionale. “Scrissi il tema di getto – racconta –, senza dargli un valore particolare. Solo più tardi dato il successo che il pezzo aveva ottenuto, mi fermai a riflettere sul perché fosse stato accolto così bene da un pubblico ampio e diversificato” [A. De Rosa, p. 340]. Ma sono gli anni in cui quei prodotti nati per il mercato, se ben confezionati, fanno il botto.
https://youtu.be/ThksCs3U9Hg?t=5
Le canzoni, però, lo annoiano presto. La sua nuova attività ora è la scrittura musicale per il cinema. Non è lui a cercare questo mestiere, è il mestiere che gli si presenta, come un’occasione fortunata dopo un faticoso apprendistato. “A Roma chi orchestrava e talvolta ricomponeva degli appunti scritti da un compositore, trasformandoli in ciò che poi davvero si ascolta in un film, veniva chiamato in gergo negro. Ecco, io svolsi questa mansione per molti anni” [De Rosa, p. 397]. Comincia a collaborare con il compositore Cicognini e scrive la ninna nanna cantata da Alberto Sordi nel Giudizio Universale di Zavattini e Vittorio de Sica (’61),
poi lavora con Mario Nascimbene. Arriva infine Luciano Salce che lo impone come compositore unico per il suo film Il federale (’61). Una dura gavetta per un debutto che sarà decisivo per la carriera nel mondo del cinema.
“Non avrei mai pensato di diventare un compositore celebre di musiche per film. La mia idea al principio era di restare vicino alla strada tracciata dal mio insegnante Petrassi, da Nono, da Berio. Ovviamente sono fiero di quello che ho poi realizzato, ma allora semplicemente non pensavo ad altre eventualità” [De Rosa, p. 397].
Invece le altre eventualità sono la svolta della vita. Il lavoro con Salce si rivela stimolante, perché Ennio si ritrova immediatamente coinvolto negli aspetti più creativi del progetto. Ci si confronta sulle caratteristiche dei personaggi, sulle situazioni, le atmosfere. “Questo mestiere – dirà – presuppone un’analisi del copione e del film: si deve scavare sulle scene, sui personaggi, sulla trama, sul montaggio, sulla realizzazione tecnica […], le storie, lo spazio: tutto è importante per il compositore” [De Rosa, p. 1850].
Da quello scambio nasce l’idea di una musica. Una musica in grado condurre alla rappresentazione di una realtà grottesca e tragicomica, che unisce il dramma all’ironia. Un musica che fonde arte, comunicazione, sperimentazione.
Nel ’64 Ennio inaugura la collaborazione con il regista Sergio Leone: le musiche nate per i suoi film connoteranno per sempre il genere western all’italiana. Leone ha una grande ambizione: “Riscrivere il western accordandolo sia al modello americano che alla commedia dell’arte italiana”, cercando di innovare un genere fortemente in crisi da tempo. Questa svolta comincia da Per un pugno di dollari [De Rosa, p. 506].
Il successo è impressionante. Con le invenzioni musicali, come l’uso della chitarra elettrica distorta, il suono dell’armonica a bocca, il fischio come strumento musicale, Ennio si aggiudica il primo Nastro d’Argento (’65).
Nel ’70 (anno in cui intraprende l’insegnamento di composizione al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone) riceverà il secondo per le musiche di Metti, una sera a cena di Patroni Griffi
Il sodalizio si mantiene per tutta la serie successiva di spaghetti-western: Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo, C’era una volta il West, Giù la testa. Fino all’ultimo film, il gangster-movie C’era una volta in America. Le musiche prodotte per i film di Leone permettono a Ennio di inventare un universo sonoro, in cui strumenti insoliti creano effetti originali, che diventano il marchio di quel nuovo western autoctono, sperimentale anche nel linguaggio. In Per qualche dollaro in più, per esempio, per la prima volta la musica parte da una scena, come suono d’ambiente reale per poi diventare commento esterno, colonna sonora appunto, generando un forte effetto in termini di suspense.
Leone gli chiede musiche con temi facilmente orecchiabili e cantabili, e così è, ma nelle sue composizioni emergono le radici classiche e le contaminazioni dell’avanguardia musicale, con l’uso di strumenti improbabili e di rumori. Così il suono del carillon o l’incipit del coyote in Il buono il brutto il cattivo sono segni riconoscibili di una poetica.
Il tema L’estasi dell’oro è così moderno che saranno in molte rockstar a citarlo.
Del resto, nell’album a lui dedicato We all love Ennio Morricone (2007), interventi di Springsteen, Metallica, Quincy Jones, Céline Dion, Roger Waters, dimostrano quanto quella musica sapesse far dialogare il passato con il futuro.
Ogni regista è una nuova sfida.
Il lavoro per Uccellacci e uccellini di Pasolini, per esempio, si rivela piuttosto complesso. Il regista ha già in mente le musiche che vuole e consegna a Ennio una lista di già esistenti perché siano riadattate. Da Bach a Mozart. Ma quella modalità non piace a Ennio. “Allora faccia quello che vuole”, gli risponde Pasolini, accettando poi le idee proposte. Come i titoli di cosa musicati.
Il regista gli accordava totale fiducia, tanto da proporgli anche la colonna sonora di successivi film come Teorema (’68). Qui Ennio assecondava la richiesta di una musica dissonante e dodecafonica nella quale inserire il Requiem di Mozart.
E poi il Decameron, I racconti di Canterbury, Salò e le 120 giornate di Sodoma.
C’è fermento in questi anni che volgono al Sessantotto. Gli autori si distinguono per una loro visione artistica, ognuno ha il suo modo di narrare la realtà. È un momento di grande fervore creativo ed Ennio vi è immerso. Nel ’66 sia Un uomo a metà (De Seta)
che La battaglia di Algeri (Pontecorvo) a cui collabora, sono al Festival del Cinema di Venezia. Quest’ultimo vice il Leone d’oro.
https://www.youtube.com/watch?v=0Hu3mrTpbug&list=PL0E0821572BAC866D
Nel ’65 accetta di musicare il primo film di Marco Bellocchio I pugni in tasca. Il regista piacentino lo colpisce, ha la sua stessa voglia di percorrere strade non ancora battute. Nel finale l’urlo del protagonista in bilico tra la vita e la morte per una crisi epilettica diventa il prolungamento dell’acuto del soprano che sta cantando al giradischi un’aria dalla Traviata. L’effetto è sbalorditivo, da generare un’atmosfera sospesa di angoscia e di inquieta follia.
Non solo giovani registi sperimentali, ma anche autori affermati richiedono le musiche di Ennio. Che scrive per Bolognini (Arabella, Metello, La villa del venerdì). Sia con lui che con Montaldo il lavoro di collaborazione è disteso, spontaneo, in piena libertà. I due registi si fidano di lui in tutto e per tutto. “Mi rendevano entrambi più responsabile su ciò che proponevo”, dice [De Rosa, p. 1036].
Per Montaldo musica Ad ogni costo (’67), Dio è con noi (’70), Sacco e Vanzetti (’71), Giordano Bruno (’73).
Con le musiche di Sacco e Vanzetti Ennio vince il terzo Nastro d’Argento. Il film ottiene molto successo anche per la voce di Joan Baez che interpreta La ballata di Sacco e Vanzetti. Parte 1:
Parte 2:
e il brano Here’s to you. Quest’ultimo diventa presto un inno pacifista, negli anni della guerra in Vietnam. Un inno intonato nei cortei dove chi partecipava ripeteva la medesima strofa con crescente intensità. Un inno in cui la voce sola diventava un coro. Così il grido di protesta di una persona a poco a poco diventava la voce di una comunità, di un popolo.
“Quel film era un’opera di denuncia contro l’intolleranza e la giustizia del pregiudizio, tematiche che mi stanno a cuore da sempre. Sono fiero di aver dato le musiche e il mio apporto creativo a film come questi: una cosa che mi fa sentire nel presente” [De Rosa, p. 1074].
La libertà, si diceva.
“Ho cercato di perseguire prima di tutto la via della libertà interiore, in quanto compositore, dando il massimo in ogni circostanza, anche quando si trattava di un film meno riuscito” [De Rosa, p. 1092].
Il cinema d’autore offre grandi possibilità espressive, di dare sfogo alle suggestioni. In I Basilischi della Wertmuller (’63) troviamo il famoso fischio di Daisy Lumini che intona arie come Pomeriggio in paese.
Ci sono poi brani struggenti come I Basilischi:
Sminfa paesana
e infine Il tangone:
Con Bertolucci questa libertà si innesca in modo insolito. “Bernardo aveva un modo molto suggestivo di spiegarmi il tipo di musica che voleva: spesso ricorreva ad accostamenti con i colori, cioè a sinestesie, o cercava di descrivere il sapore della musica che aveva in mente” [De Rosa, p. 1111]. Ennio, tra gli altri, lavora a Prima della rivoluzione
e a Novecento.
Per Elio Petri scrive la musica di Un tranquillo posto di campagna e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Che vince l’Oscar come miglior film straniero nel ’71. Le musiche rappresentano perfettamente l’idea di perversità che permea il film, e che si materializza musicalmente in un tango popolare e grottesco che incarna la nevrosi dell’ispettore di polizia siciliano. Sbruffone, corrotto e assassino. “Un tango ambiguo melodicamente e armonicamente, ma al tempo stesso facile da cantare e memorizzare” [De Rosa, p. 1312]. La scelta degli strumenti conduce al mandolino e alla chitarra classica a cui si aggiungono pianoforte e fagotti per ottenere timbri volgari, bassi. Si aggiunge anche il marranzano che richiama il mondo della Sicilia da cui proviene il personaggio. Il risultato rispecchia il proposito di partenza: rendere un’ambientazione torbida e cupa.
Nell’84 Leone torna alla regia con C’era una volta in America probabilmente il suo capolavoro, anche grazie alle musiche che ancora una volta rivelano una funzione fondamentale: “Dovevano dilatare lo spazio e il tempo assecondando la struttura stessa del film, continuamente basata di flashback e flashforward” [De Rosa, p. 1368]. L’effetto di evocazione è sorprendentemente suggestivo.
E commovente, come nel “tema di Deborah”.
Nel ’79 intanto Ennio aveva ottenuto una prima nomination agli Oscar per I giorni del cielo di Terrence Malick. Un regista colto e attento alla musica. Gli aveva richiesto di inserire nella colonna sonora una citazione del Carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns. Ennio ne era rimasto colpito. Come dalla poesia delle immagini, dalla fotografia sofisticata, suggestioni che influiranno sulla sua composizione. Le musiche non vincono, ma aumenteranno il credito di Ennio nel cinema americano.
Infatti, arrivano le collaborazioni con i grandi registi di fama mondiale, come Brian de Palma. Nel suo film Gli intoccabili (’87) la colonna sonora resta impressa per i leitmotiv che si susseguono nella pellicola: il tema di Al Capone, quello della famiglia, quello dell’amicizia dei protagonisti, quello del trionfo della polizia.
Successivamente anche Quentin Tarantino lo coinvolge per le musiche dei suoi film, tra cui Bastardi senza gloria (2009). Qui il regista sceglie di accostare musiche anche già composte da Ennio, reinserendole in contesti completamente diversi di quelli per cui sono state scritte. Il risultato è straniante, disturbante. Ed è esattamente l’effetto voluto.
Tornando all’Italia tra le esperienze che lasciano il segno Ennio rimarca quella con Giuseppe Tornatore che gli offre la possibilità di lavorare su temi che lo interessano. Malena, con cui ottiene un’altra candidatura agli Oscar (2001) è un film che parla di donne discriminate in una società ancora maschilista. Società che le mette in una condizione di inferiorità.
“Utilizzai alcuni procedimenti geometrici e matematici per costruire alcuni passaggi e arpeggi come se si trattasse della meccanicità di quegli stupidi cliché sociali, mentre il tema principale si libera del tutto e se ne va in un altro luogo. Forse vola verso un’utopia, o almeno verso ciò che piacerebbe a me” [De Rosa, p. 1628].
Per Nuovo Cinema Paradiso (’88) la musica emoziona nel “tema dell’amore” che compare nella scena dei baci – il film racconta la storia del cinema attraverso i baci censurati – e in quella dove il protagonista torna nella sua stanza di bambino dopo tanti anni.
Sono brani di grande impatto emotivo che sottolineano i momenti più intensi del film e che permettono il trasporto e l’immedesimazione da parte dello spettatore, tanto necessarie quanto difficili da ottenere. Questi miracoli musicali non possono che nascere da una innata capacità di invenzione, un talento che è dote di natura. Dal nulla genera melodie eterne che a ogni ascolto rinnovano l’emozione.
Perché la musica, se ha dentro la scintilla del genio, trasporta altrove, suggerisce, amplia il senso dell’immagine. È una suggestione non percepita coscientemente, che si fa strada nel vissuto personale, nell’interpretazione di chi ascolta, nello scavo dell’animo. “La musica inventa la profondità poetica del film”, dirà Ennio. [De Rosa, p. 1850].
Così, l’impresa di musicare la Leggenda del pianista sull’oceano (’98) diviene una sfida entusiasmante. Parte dall’indicazione registica di “scrivere una musica che non era mai stata sentita prima” per arrivare al capolavoro della traccia Playing love.
O come On Earth as it is in Heaven dalla colonna sonora di Mission (’86, film diretto da Roland Joffé, vincitore della Palma d’oro al 39º Festival di Cannes), che ha ispirato un numero infinito di versioni in tutto il mondo.
L’universo musicale di Ennio Morricone non si è nutrito solo dello studio appassionato e continuo delle musiche del passato e dei grandi autori accademici, ma anche di stimoli derivati dalle ricerche del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. La musica, qui, è stata esposta, osservata dal di fuori, smontata e rimontata, rinnovata nella sua funzione, ripercorsa nella sua evoluzione storica, riaffermata nei suoi risvolti politici e sociali.
Il gruppo è il primo collettivo di compositori-improvvisatori colti nella storia della musica contemporanea. L’idea nasce nel ’58 da Franco Evangelisti, in occasione di un viaggio a Darmstadt per partecipare a un seminario-concerto di John Cage. Diventa un progetto di improvvisazione collettiva al quale Ennio aderisce dal ’64. Gli offre l’opportunità di muoversi in uno spazio creativo davvero libero. “Potevo finalmente tornare a una sperimentazione musicale più aperta”, una sorta di disintossicazione dalla routine musicale per poter ritrovare stimoli, pratiche inedite. Uscire da tutti gli schemi. L’esperienza collettiva partiva all’uso di strumenti insoliti – anche elettrici come il Sinket – detti “oggetti sonori”, che producevano timbri sconosciuti. Queste combinazioni di suoni venivano registrate, poi riascoltate, commentate, rielaborate dentro un processo creativo continuo.
Ne uscivano riflessioni sulla musica come strumento meditativo, sulla musica come luogo di relazione con il potere, la musica come ponte tra emozione e ragione, tra razionale e irrazionale. Una linfa a cui attingere. Per aprire la composizione a soluzioni alternative, per non fermarsi al consueto. Per evolvere. Lo stesso principio della “doppia estetica”, elaborato da Ennio, è generatore di ulteriori processi di invenzione partendo dalla capacità di combinare procedimenti derivanti dall’esperienza musicale della storia con tecniche moderne [Cfr. De Rosa, p. 2303].
“A volte penso che l’atto compositivo abbia a che fare con l’invenzione di qualcosa di nuovo, che prima di quella necessità creativa del compositore non esisteva. – dirà infatti –. Forse ho avuto bisogno di quest’idea per andare avanti, e non nego che mi stimoli anche ora” [De Rosa, p. 2843].
La sua opera di composizione musicale non si è mai arrestata, lasciandoci musica per orchestra, per fiati, per voci, da camera, sinfonica. Musica assoluta, come lui l’ha chiamata, quella che si ascolta per se stessa.
Vi rientrano composizioni per coro e orchestra come Voci dal silenzio, nata in seguito ai fatti dell’11 settembre. Riccardo Muti la dirige a Ravenna e poi a Chicago. Un’opera contro il razzismo, in ricordo di tutte le stragi della storia umana. “Pensai di includere il ricordo di tutte le stragi della storia dell’umanità. Insieme alla voce recitante, all’orchestra e al coro, pensai di trasmettere delle voci precedentemente registrate. Da quelle degli indiani d’America a Hiroshima alla ex Jugoslavia, fino all’Iraq di oggi e al Sudafrica” [De Rosa, p. 4648].
Oppure come la Missa Papae Francisci (2015), sua composizione dedicata al pontefice italo-argentino.
In esse la musica è un messaggio nella bottiglia, lanciato in un oceano di acque mosse, perché chi lo raccolga sappia fare tesoro delle note di speranza lì incise. E rendere il mondo migliore.
Impossibile elencare la quantità di premi con i quali è stato riconosciuto il valore di questo grande maestro. Si vuole ricordare l’assegnazione del Premio Oscar alla carriera “per i suoi magnifici e multiformi contributi nell’arte della musica per film”, consegnato il 25 febbraio 2007 da Clint Eastwood.
E le parole di un discorso capace di rivelare la grande umiltà di quest’uomo (il non voglio disturbare) e il pensiero costantemente rivolto agli altri:
“Voglio ringraziare l’Accademia per questo onore che mi ha fatto dandomi questo ambito premio, però voglio ringraziare anche tutti quelli che hanno voluto questo premio per me fortemente, e hanno sentito profondamente di concedermelo. Veramente; voglio ringraziare anche i miei registi, i registi che mi hanno chiamato con la loro fiducia, a scrivere musica nei loro film, veramente non sarei qui se non per loro. Il mio pensiero va anche a tutti gli artisti che hanno meritato questo premio e che non lo hanno avuto. Io gli auguro di averlo in un prossimo vicino futuro. Credo che questo premio sia per me, non un punto di arrivo ma un punto di partenza per migliorarmi al servizio del cinema e al servizio anche della mia personale estetica sulla musica applicata. Dedico questo Oscar a mia moglie Maria che mi ama moltissimo […] e io la amo alla stessa maniera e questo premio è anche per lei”.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato martedì 7 Luglio 2020
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