Stanotte portano via la mia Gusta, in Polonia, a “lavorare”. Ai lavori forzati, a morire di tifo […]. Ogni sera canto per lei una canzone che ha amato: parla di un’erba verde azzurra, d’una steppa piena di leggende gloriose, di combattimenti partigiani, d’una donna cosacca che lotta accanto agli uomini per riconquistare la libertà.

Julius Fucik, eroe della Resistenza cecoslovacca, impiccato a Berlino il 2 febbraio 1943

 

La canzone resistenziale è una canzone che nasce “in mezzo agli avvenimenti, autentica chanson de geste […], essa stessa azione, gesto eroico e fatto storico”. Così la definisce Massimo Mila nella presentazione al disco Canti della Resistenza Europea 1933-1963, a cura di Sergio Liberovici e Michele Luciano Straniero, una raccolta delle canzoni scritte e cantate nei paesi in lotta di tutta l’Europa durante la Resistenza. Un altro dei fondamentali contributi che Cantacronache ha lasciato nella storia del canto popolare.

Una canzone che racconta fatti avvenuti nei giorni stessi delle occupazioni, delle lotte contro l’invasore. Che racconta di uccisioni, stermini, rastrellamenti. E di azioni di contrasto, di strenua difesa da parte dei partigiani contro l’orrore. Partigiani, partisans, partizani, partidarios, partizany, partyzanci, partizánok, partisanen. Loro, protagonisti di imprese vissute con lo stato d’animo di chi sapeva sarebbe andato a morire. Loro che, un momento prima della battaglia, ricordano gli affetti, la famiglia lontana, ma hanno la certezza di stare dalla parte del giusto. Così, questi canti sono tuttora validi. A distanza di tanto tempo servono allo scopo per cui furono scritti, ovvero sostenere la lotta per la libertà. I testi, ancora, fanno riflettere sulle sofferenze patite dai partigiani e dalle popolazioni, ma anche sul coraggio e la forza morale che ha sempre animato questi uomini e donne. Perché la libertà è stata una conquista lunga e dolorosa che ha richiesto immani sacrifici. Una conquista raggiunta anche cantando. Insieme, in coro, nel battaglione. Cantando l’angoscia, la disperazione e anche la gioia. Dalla Spagna come dall’Unione Sovietica, dalla Grecia alla Francia, una voce si è levata per tutta l’Europa.

A partire dai canti ebraici, eccola.

“Passano le ore. La folla è raccolta nel silenzio, nella speranza, nella fame, nella pietà per se stessa. Un gruppo di combattenti canta a voce bassa; è una canzone di disperati” [testimonianza di Cywia Lubetkin, opuscolo del disco Canti della Resistenza Europea].

Il 4 giugno 1942 il quartiere ebraico di Cracovia veniva invaso dai tedeschi che davano la caccia all’ebreo casa per casa. “La spedizione punitiva durò un mese intero. Dal 18 aprile al 16 maggio 1943 […]. Ma per molte settimane ancora, dopo quel giorno di maggio gli ‘uomini delle macerie’ tennero impegnati i reparti tedeschi. L’ultimo ‘resistente’ del ghetto fu stanato nel mese di dicembre: era una ragazza di 15 anni, e parva quasi un’apparizione soprannaturale” [opuscolo, Canti della Resistenza Europea].

I pochi superstiti fuggiranno attraverso le fogne verso le foreste nei dintorni, costituiranno brigate partigiane chiamate “Vendicatori del ghetto” o “Difensori del ghetto”. Moriranno tutti in combattimento. Una partigiana di Cracovia, Justa Drenger, così lasciava scritto: “Non siamo noi soli che ci ribelliamo. In ogni paese c’è un seme di ribellione. Basta far scoppiare la rivolta in un Paese perché il fuoco divampi in tutta l’Europa. Ed allora anche noi saremo un anello di una grande catena, una fiamma nell’enorme incendio che purificherà tutto il mondo” [Opuscolo, Canti della Resistenza Europea].

La nostra città brucia, canto ebraico, parole e musica di Mordehai Gebirtig, è composto nel 1938, prima dell’invasione tedesca della Polonia e dell’inizio del conflitto. Nel corso della guerra diventerà l’inno dell’Organizzazione ebraica di combattimento, cantato dai combattenti dei ghetti di Cracovia e di Varsavia. La piccola città è, infatti, il ghetto in lingua jiddish. Quel ghetto che distrutto, bruciava e quel ghetto in cui, Gebirtig, verrà colpito alla nuca da un militare delle SS.

Al fuoco, fratelli, al fuoco!/La nostra povera città è in fiamme!/Un vento furioso e maledetto /Sibilando alimenta il rogo./Tutto intorno brucia.

In Austria, Fratelli delle città è scritto sull’aria di un canto popolare tirolese, inserita anche da Beethoven nel finale del suo primo concerto per piano (1796). La melodia verrà poi ripresa negli anni successivi con testi ogni volta diversi, ma sempre con intento rivoluzionario.

Il testo parla della vergogna provata dagli austriaci per quell’odiosa invasione, l’Anschluss, da parte dell’esercito nazista, avvenuta il 12 marzo 1938. Poneva fine all’indipendenza dell’Austria, ora provincia del Reich tedesco. Così, fin dal 1940 il movimento clandestino cominciò a organizzarsi con attività di propaganda nelle fabbriche, con agitazioni sindacali anche tra i militari della Wëhrmacht, l’esercito nazista. Centinaia di antifascisti austriaci decisero di combattere anche nelle Brigate Internazionali in Spagna e a fianco dei partigiani cecoslovacchi. Cantavano:

Fratelli delle città e voi dei villaggi e delle miniere,/e voi fratelli del Sud, dell’Ovest e del Nord/e dell’Est,/il sole ci sorride!/Venite con noi nelle foreste e nei campi,/impugnando le armi e giurando/di combattere fino all’ultimo respiro,/finché l’Austria sia libera dalla vergogna!

In Belgio giovani e meno giovani organizzavano la Resistenza armata a partire dall’occupazione tedesca del 1940. Si erano creati movimenti come il Front de l’Indépendance et de Libération, la Légion Belge, il Mouvement National Royaliste. Una Resistenza che non cedette mai e che continuò fino alla completa liberazione del Paese, avvenuta il 4 febbraio 1945.

Il Lussemburgo veniva invaso il 10 maggio 1940. Un referendum chiedeva alla popolazione di scegliere se fare parte del Terzo Reich. Il 96% rispondeva di no, ma il territorio verrà annesso comunque nel 1942. I Lussemburghesi reagiranno immediatamente con scioperi e organizzando la Resistenza armata, in molti riuniti nel gruppo dei Combattenti per la libertà del Lussemburgo. Il 10 settembre 1944 il territorio verrà liberato dagli Alleati.

In questi territori si intonava il Canto di Breendonck (Chant de Brendonck), composto nel 1942, parole e musica di Anonimo. Brennendonck è una roccaforte militare nei pressi di Anversa e fin dall’inizio dell’occupazione tedesca venne adibita a campo di concentramento per i colpevoli di attività eversive contro gli invasori.

Sotto i colpi e tra le miserie/Soffrono duramente i forzati dell’onore./Lottano, muoiono,/ma né la morte/né l’orrore/avranno ragione della fiamma/che arde nei loro cuori./Braccati giorno e notte/Dall’odio dei nazi/Trasciniamo la vita/Come un peso crudele./Ma per questo il domani sarà migliore.

Tra quelli reincisi da Cantacronache, la voce è di Margot Galante Garrone.

In Bulgaria si canta Una nebbia spessa è scesa, parole di Slavtcho Transki su un’antica melodia popolare. L’autore fu anche comandante di un distaccamento partigiano attivo nei dintorni di Tran. Racconta di una battaglia in cui, in uno scontro sanguinoso, persero la vita due suoi compagni. Ma ancora in tanti sarebbero caduti, quel sacrificio era necessario per porre fine al fascismo.

La lotta armata del popolo bulgaro era cominciata già nel 1923 con un colpo di stato militare che aveva posto fine all’avanzata delle sinistre. Nelle varie fasi della Resistenza ci furono, infatti, vittime che in alcune famiglie appartenevano ad almeno tre generazioni diverse. La melodia della canzone è molto antica, risale all’epoca delle lotte degli haiduti, contadini riuniti in bande che combattevano per difendere i villaggi da soprusi e angherie.

Una nebbia spessa ha avvolto/la montagna Bokovska,/la pianura di Ianitch/e questa nostra capanna di pastori./Cadremo ancora a centinaia/ma riusciremo a seppellire il fascismo./La lotta sarà dura e sanguinosa,/ma la libertà sarà nostra.

https://www.youtube.com/watch?v=Xri9RJw6v94&t=14s

In Bulgaria si canta anche Ehi, Balcani! composta dalla regista Tchenchèva nel 1943 per una compagnia teatrale, ma ben presto adottata dai partigiani, con modifiche al testo, come canto di lotta e di liberazione.

Protagonista è un giovane risoluto, disceso dai Balcani, cioè dai monti della catena di Stara Planina che attraversa il Paese, per combattere. Ha il fucile in mano e comanda un gruppo di eroici partigiani. È grazie a loro che questa terra tornerà libera dall’oppressore. Le prime formazioni partigiane si formavano nel 1941e nel 1942 già erano radunate in massa nel Fronte Patriottico. Nel ’43 le bande armate disseminate sulle montagna davano vita all’Armata Popolare di Liberazione con un comando unico. Così cantavano i partigiani:

E dietro di lui vennero i partigiani/Con le bandiere al vento/E liberarono tutto il paese, /le città, i villaggi! Questo è il canto della libertà/Che il popolo ha fatto suo./Ehi, Balcani, terra nostra!

https://www.youtube.com/watch?v=_XycRNNHFxo

Bulgaro è anche Un partigiano si prepara alla lotta, parole e musica di Anonimo.

In questo canto un giovane partigiano saluta la sua famiglia e va alla guerra. Qualche tempo dopo alla madre viene comunicato, tramite una lettera, che il figlio ha perso la vita. La donna, però non versa una lacrima, alza la testa con fierezza perché è stata lei a insegnare al figlio la dedizione alla patria.

Un partigiano si prepara per la lotta/butta il fucile sulla spalla e se ne va;/«Addio mamma, addio papà,/addio cara sorellina/vado alla lotta spietata,/là dove si muore, là da dove non si torna».

https://www.youtube.com/watch?v=MSn0slh5pNA

In Cecoslovacchia si canta Gli slavi si sono ribellati, musica e parole di Anonimo. I temi sono crudi ma la musica ha un tono leggero, come è tipico del folklore boemo.

La canzone racconta di un popolo che si è ribellato al fascismo locale, alla prepotenza della classe dirigente ceca, alla tirannia hitleriana. I cecoslovacchi hanno reagito con le armi e con un’attività clandestina che si è intensificata a partire dall’invasione tedesca il 15 marzo 1943. Questa ha sancito la fine della Cecoslovacchia, trasformata in Protettorato. Ma il popolo non si è mai arreso, ha combattuto, ha rischiato, ha sopportato anche la prigionia. Come Julius Fučick che, dalle carceri di Praga, così scriveva alla moglie: “Da anni, da lunghi anni vivo sottoterra, con la sorte delle radici. Radici brutte, giallastre, circondate dall’oscurità e dalla putredine, che tuttavia reggono sulla terra l’albero della vita. Nessuna procella scalzerà l’albero le cui radici sono salde. In questo è il loro orgoglio. E anche il mio” [Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, p. 167]. I partigiani combattevano per ridare al paese la libertà, anche a costo di pagarla col sangue, anche attraverso scontri cruenti e sanguinosi come quello che portò all’uccisione del capo di servizio di sicurezza delle SS a opera di due partigiani cechi. La reazione fu un orribile sterminio.

Gli Slavi si sono ribellati,/sono scesi in lotta/ed ora per il mondo/risuonan le parole:/vogliamo la libertà,/che s’avveri la profezia/che mai più saremo schiavi/nella nostra patria.

Tra i canti resistenziali francesi più noti c’è sicuramente il Lamento del partigiano conosciuta anche come La complainte du partisan, parole di Barnard, musica di Anna Marly, che la canta. A lei, il generale De Gaulle consegnerà il titolo della Legion d’Onore per le benemerenze ottenute durante la Resistenza in virtù delle sue composizioni musicali. La Resistenza francese non fu solo un fatto militare ma un’affermazione culturale, espressione dei valori fondanti una società libera e moderna. Un movimento attorno al quale gravitarono personalità di spicco del mondo della letteratura, della musica, delle arti, dell’insegnamento universitario i quali diedero un forte apporto all’affermazione di tali principi: “Questi valori – disse André Philip, professore di diritto all’Università di Lione – erano sia dei valori universali centrati sul rispetto della persona umana, sia dei valori francesi esprimenti in una forma peculiare – quella dell’intelligenza chiara e lucida – questo rispetto della persona” [discorso pronunciato a New York il 7 novembre 1942, opuscolo Canti della Resistenza Europea].

La canzone ripercorre i pensieri di un giovane partigiano che riflette su ciò che ha perso: compagni di viaggio, combattenti come lui, una famiglia. Ma non si rassegna, sa che la sua vita è la lotta e con quella lotta un vento che soffia riporterà la libertà:

Il nemico era in casa mia,/mi dissero di rassegnarmi,/ma non ho potuto;/e ho ripreso le armi.

Questa la versione cantata da Anna Marly:

Qualche tempo dopo la reinterpreta Leonard Cohen, riadattandola in The Partisan.

Più recentemente lo ha fatto  la cantautrice francese Emily Loizeau. [https://www.youtube.com/watch?v=GEHpYn3sGwk]

Francese è anche Il canto della Liberazione, conosciuto anche come Le chant des partisans, parole di Maurice Druon e Joseph Kessel, musica di nuovo di Anna Marly che originariamente lo interpreta.

L’invasione del territorio francese iniziò il 10 maggio 1940 per ordine di Hitler. Il comando francese tentò di risalire verso il Nord, ma chiuso dalle contemporanee avanzate da Belgio, Olanda, Lussemburgo, in poco tempo venne completamente sbaragliato. In solo quaranta giorni di quella che venne chiamata drôle de guerre, la strana guerra, una delle principali potenze europee crollava miseramente, lasciano la gran parte del territorio nelle mani dei nazisti, con un debole governo installato a Vichy, libertà politiche distrutte, svilimento generale.

Il canto è un incoraggiamento a combattere per i partigiani, nonostante la fatica, la sofferenza, il rischio di morte quotidiano.

Infatti, ben presto, il 18 giugno 1940 De Gaulle parlava alla radio di Londra e invitava la Francia a contrastare l’invasore: “La fiamma delle Resistenza francese – disse – non deve spegnersi e non si spegnerà mai”. [Opuscolo, Canti Resistenza Europea]. Per la prima volta veniva utilizzato il termine Resistenza per designare l’imperativo a contrastare l’oppressore. Da lì in poi verrà ripreso dalla stampa clandestina rimbalzando tra le radio di tutti i paesi in lotta fino a rappresentare negli anni successivi la generale lotta antifascista.

Ohé, partigiani,/operai e contadini,/alle armi!/Stasera il nemico/Saprà il prezzo del sangue/E delle lacrime./Occorre combattere con i fucile, le granate, la mitraglia. Combattere e cantare: “Cantate, compagni,/nella notte la libertà/ vi ascolta!

Quelli del Maquis, parole di M. Van Moppes, musica di F. Chagrin è una canzone che inneggia ai partigiani del Maquis, in territorio corso, luogo fitto di sterpaglie dove si riunivano gruppi di resistenti clandestini. La canzone ricorda anche diverse altre formazioni militari. Oltre a quelli del Maquis, infatti, si formarono in Francia il gruppo dei Franchi Tiratori e Partigiani Francesi costituitosi nell’estate del ’41 e il gruppo FFI, le Forza Francesi dell’Interno, il cui operato viene richiamato nel testo. Dopo sanguinose lotte e conflitti, scioperi e azioni di rappresaglia il 18 agosto 1944 esplodeva l’insurrezione a Parigi. I Tedeschi si ritiravano mentre gli alleati entravano nella capitale il 15 agosto 1944. Il 5 settembre 1944 il generale De Gaulle, capo di tutta la Resistenza, entrava nella Parigi liberata.

Sono quelli del Maquis,/quelli della Resistenza,/sono le F.F.I./è l’armata di Francia,/contro nazisti e miliziani,/senza discorsi e senza smargiassate,/battendosi duramente, battendosi bene/dalle foreste alle barricate./Sono quelli del Maquis,/quelli della Resistenza, sono quelli del Maquis,/giovinezza della patria.

In Germania il Canto del Fronte unico (Einheitsfrontlied) è una delle canzoni più famose del movimento operaio tedesco, scritta da Bertold Brecht e composta da Hanns Eisler. L’ interpretazione più nota è quella di Ernst Busch. Dopo l’ascesa al potere di Hitler nel gennaio 1933, la situazione per i movimenti di sinistra in Germania si deteriorava pesantemente. L’antagonismo tra il partito socialdemocratico e il partito comunista aveva diviso a lungo la sinistra tedesca. Dopo che i nazisti bandirono entrambe le parti e i sindacati nell’estate del 1933, molte persone, tra cui Bertold Brecht, concepirono l’idea che solo un fronte unito di socialdemocratici e comunisti poteva combattere contro il fascismo. Nel 1934, su richiesta del regista Erwin Piscator, Bercht scrisse Einheitsfrontlied, chiedendo a tutti i lavoratori di unirsi al Fronte unito degli operai di Arbeiter-Einheits. La canzone è stata eseguita l’anno successivo nella prima Olimpiade musicale internazionale tenutasi a Strasburgo da un coro di 3.000 lavoratori.

Noi siamo contro la guerra, il fascismo e la miseria,/vogliamo batterci per la libertà e il pane./Serriamo le file , marciamo uniti/ per sconfiggere insieme il comune nemico./Il Fronte Unico è pronto a marciare;/chi ha in mente di dividerci si tolga di mezzo!/A chi marcia con noi per le città e le campagne/porgiamo le nostre armi fraterne.

Chiedono di mio padre, parole di Hans Drach, musica di Gerda Kohlmey, racconto di un giovane che si chiede se il padre, partigiano, tornerà mai più a casa. Il giornale riporta la notizia che è stato incarcerato e che sarà impiccato. La madre lo piange. I compagni riferiscono che sono stati militari nazisti dei reparti d’assalto ad ucciderlo senza nessun processo. Ma quella morte non sarà vana, altri proseguiranno nella strada verso la riconquista della libertà.

Chiedono di mio padre, ma non verrà più a casa./Lo braccano con i cani,/forse l’hanno scovato – /non verrà a casa mai più.

L’interpretazione di Gisela May, attrice e cantante del Deutsches Theater di Berlino:

Versione più recente delle edizioni Il gallo rosso

Ci sono poi un paio di canti tedeschi dedicati ai soldati che andarono a combattere la guerra di Spagna. Tedesco è In terra di Spagna, parole di Ludwig Renn, musica di Hans Eisler, originariamente cantato da Ernst Bush. La canzone ricorda gli antifascisti tedeschi che si batterono contro la dittatura di Franco. Molti di loro rimasero uccisi nei pressi dell’Escorial, radunati nel battaglione Thaelmann, composto di volontari tedeschi. Ciò avvenne nel 1937. Nello stesso anno Eisler compose questa musica a Madrid e il canto risuonerà anche tra le fila della Resistenza in Germania.

In terra di Spagna/C’è come un rifugio/Dove riposano i nostri compagni./Sul bordo del fossato/–là dov’era il posto di guardia –/Hanno ucciso un amico./È caduto nel sangue/Ma nella nostra mente/Non c’è mai stato né vi sarà mai dubbio./È alla libertà,/è alla gioia/ che vanno i nostri pensieri.

E poi La colonna Thaelmann, Die Thälmann-Kolonne, parole di Karl Ernst, moglie di Paul Dessau, musica di Paul Dessau, interpretata da Ernst Busch che fece parte della XI Brigata Internazionale nella difesa della Repubblica spagnola. La canzone inneggia proprio al battaglione Thälmann composto di tedeschi emigrati che combatterono in Catalogna. In origine una colonna poi trasformata in battaglione infine incorporata nella XI Brigata Internazionale, venne dedicata al segretario generale del partito comunista tedesco Ernst Thälmann, incarcerato in Germania dai nazisti, sepolto vivo per 11 anni nel carcere di Bautzen e poi fatto uccidere da Hitler a ‎Buchenwald nel 1944. Il canto venne composto a Parigi nel 1936, durante la guerra di Spagna.

Il cielo della Spagna dissemina le stelle/Sopra le nostre trincee./Già il mattino saluta di lontano./Presto si scenderà di nuovo in campo./La patria è vasta./Ma noi siamo pronti./Noi lottiamo e vinciamo per te: libertà.

In Grecia risuona Avanti, Elas!, parole di Sofia Mauroidi-Papadaki, musiche di Nikos Tsakonas. Canzone che inneggia all’Esercito Popolare Greco di Liberazione formato nel settembre del 1841, la più importante organizzazione della Resistenza greca. Fu Mussolini a invadere la Grecia nel 1940, ma il popolo greco, che si batté strenuamente, riuscì a fermare l’invasione italiana in poco tempo. Solo l’intervento tedesco permise ai fascisti di portare a termine l’occupazione. Numerosi soldati si rifiutarono di accettare la resa e continuarono a combattere, e anche il popolo con ogni mezzo tentò di fermare l’arrivo dell’invasore. La notte del 30 maggio 1941 due giovani studenti riuscirono a salire sull’acropoli e a sostituire la bandiera nazista con una nazionale. Fu il primo atto forte e visibile della tenacia della Resistenza che divenne un simbolo in tutta Europa [Battaglia, La seconda guerra mondiale, p. 155]. Di lì a poco si formarono tanti nuclei di combattenti antifascisti che liberarono ampie zone del territorio nazionale. I Tedeschi reagirono con feroci azioni di rappresaglia ma la Resistenza si estendeva radunando nella lotta grandi azioni di massa che fecero fallire i piani degli eserciti fascisti.

Una canzone è la tua vita/Quando ti getti nella mischia/E l’eco della tua voce risuona/Sui pendii e nei campi, Elas, Elas!

Nella Macedonia Occidentale si canta La schiavitù, parole e musica di Anonimo. Inno che si diffuse presto in tutta la Grecia richiamando alla lotta per la libertà tutte le popolazioni della zona:

Macedoni, Peloponnesiaci,/Epiroti, Tessali,/Rumelioti, Traci, Cretesi,/è la patria che vi chiama.

In Jugoslavia si canta All’assalto! (O Na Juris!), parole di Tone Selikar e musica di Karol Pahor. Canzone composta nel novembre ’43 per i partigiani della VIII Brigata Slovena Levstik operante nei dintorni di Lubiana. In questo gruppo si arruolarono molto musicisti, poeti, compositori che crearono numerosi canti di lotta partendo dalla canzone popolare rivoluzionaria jugoslava. All’assalto! inneggia i partigiani alla riscossa scacciare gli invasori e per la riconquista della libertà. Dopo l’8 settembre accesi furono i conflitti tra il comando tedesco e l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia situato sulla costa adriatica. Si voleva impedire ai partigiani di attivare contatti con le forze anglo-americane in Italia.

All’assalto, all’assalto, all’assalto,/fratelli oppressi venite con noi,/conquistiamoci da soli la libertà!/Attraverso la fame e il dolore,/ per una vita migliore!

Sofferenza, musica e parole di anonimo, è una canzone dedicata a Mile Popordanov, eroe partigiano macedone, territorio della Jugoslavia meridionale, occupato dagli eserciti collaborazionisti bulgari e albanesi nel 1941 quando cominciarono i conflitti armati della resistenza macedone.

Iddio ti perdoni Mile Popordanov! / Mile Popordanov è morto per il suo popolo/ Mile Popordanov è morto per il suo popolo: /è morto per il popolo, per la Macedonia.

La mitragliatrice, parole di Vladimir Nazor, musica di Natko Devcic è un canto molto diffuso tra i partigiani croati. Lo stesso autore, considerato tra i maggiori poeti jugoslavi viventi all’epoca, abbandonò Zagabria per unirsi alle truppe partigiane. È un’ode alla mitragliatrice, da cui il partigiano mai si allontana, più affidabile di una qualsiasi donna:

Mi lascia Caterina, e anche Angela e Rosa/Ma la mia mitragliatrice non m’abbandona mai:/voglio sposarmi con lei, nel più fedele dei matrimoni./Purché mi canti il traca traca traca trac trac

Sul monte Konjuh, parole e musica di Anonimo, il canto racconta gli aspri combattimenti avvenuti sul monte Konjuh, nel cuore della zona mineraria della Bosnia. Un partigiano, minatore del villaggio di Husino sta per essere seppellito dai compagni. Qui da sempre ci sono rivolte di proletari, di minatori in sciopero che perdono la vita. In questa zona i tedeschi sferrarono contro i partigiani della Serbia offensive di carri armati. Si costituirà la Brigata Proletaria dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia composta soprattutto di operai. Sulla tomba del partigiano morto nascerà un bosco di foglie rosse.

Sul monte Komjuh il vento fischia, bisbiglia,/le foglie mormorano tristi canzoni;/sulla vetta sventola una bandiera/rossa del sangue dei proletari.

Versione rock rivisitata.

https://www.youtube.com/watch?v=Ps-9GkxRUX4

Dalla Bulgaria proviene Stormirono le fronde dei salici, Rozszumiały się wierzby płaczące, parole di Roman Ślęzak su musica popolare. Un canto nato nel 1942 in risposta alla richiesta lanciata dalle autorità clandestine a musicisti, scrittori, poeti affinché collaborassero alla causa della Resistenza creando inni di lotta.

Era il 1° settembre 1939 quando l’esercito tedesco attaccava la Polonia di sorpresa, dando inizio alla seconda guerra mondiale nella forma della guerra-lampo. Benché i polacchi opposero le loro brigate di cavalleria, in meno di un mese vennero sconfitti e il 27 settembre Varsavia cadeva.

I cittadini polacchi catturati vennero inviati in Germania, sterminati, chiusi nei lager. I primi gruppi di partigiani si formano nell’ottobre 1939, tra questi il Servizio per la Vittoria della Polonia e la Unione della Lotta Armata. Poco dopo, nel 1942 verrà fondata la guardia popolare che si trasformerà in esercito popolare a cui facevano capo tutte le forze politiche di sinistra. Una lotta di Resistenza che impegnò anche esercitine formazioni contadine e tutte misero in atto una “lotta per la vita condotta da tutto un popolo che i nazisti avevano condannato alla schiavitù e allo sterminio” [Opuscolo Canti Resistenza Europea].

Stormirono le fronde dei salici,/la ragazza piangeva amaramente:/alzò gli occhi lucenti di lacrime/a guardare la dura sorte del soldato.

Il cuore nello zaino, parole e musica di Michal Zielinski, è scritta nel 1944 e cantata particolarmente durante l’insurrezione di Varsavia che ebbe inizio il 1° agosto 1944. Si concluderà nel novembre con la distruzione a tappeto della città da parte dell’esercito tedesco. Varsavia, distrutta, sarà liberata solo il 17 gennaio 1945. La canzone racconta di un partigiano che non teme di affrontare la guerra e i suoi orrori, ha un cuore di riserva, quello di una giovane innamorata dal cui petto si è staccato per seguire l’esercito in guerra.

Un cuore innamorato/si staccò con dolore/dal petto d’una giovane/e volò dietro all’esercito./Il soldato marciava;/vide il cuore sulla strada, e n’ebbe pietà,/lo raccolse, lo mise nello zaino/e proseguì la marcia./Canto questa canzone,/quest’unica canzone per te, ragazza./Forse è in ansia anche il tuo cuore innamorato,/forse in segreto ami, /e piangi di notte disperata./Canto questa canzone, /quest’unica canzone/per te, ragazza.

La Spagna produce numerosi canti. Tra questi Dimmi dove vai, bella Morena, parole e musica di Anonimo. Canzone raccolta in Spagna e pubblicata nel libro Canti della nuova resistenza spagnola a cura di Sergio Liberovici e Michele Luciano Straniero, sequestrato in Italia poco dopo la pubblicazione di Einaudi, nel 1961, e reperibile solo in Francia e Spagna. La canzone è divisa in due parti. La prima, composta delle prime due strofe, appartiene alla fase della guerra del 1936-’39 e racconta la rivolta dei minatori delle Asturie, incarcerati e brutalmente resi prigionieri nel carcere di Oviedo, poi fucilati. Qui, nell’autunno del 1934, ebbero inizio le prime fasi della guerra civile spagnola. Le strofe successive sono più recenti, posteriori alla guerra. La canzone, dunque, realizza un collegamento tra il racconto della guerra antifascista e quello della Resistenza spagnola.

Vado al Carcere Modello – dice la bella bruna cui si rivolge la canzone –/a vedere i comunisti/che son stati messi dentro/da questo governo fascista.

La versione di Rolando Alarcon

https://www.youtube.com/watch?v=8YkIwR2pUrw

Gallo nero e gallo rosso, parole e musica di Anonimo, canzone della Resistenza spagnola, scritta qualche tempo dopo, nel 1963.

Nella canzone, il combattimento tra i galli, peraltro spettacolo ancora molto in voga in alcuni paesi dell’America Latina, rappresenta lo scontro tra il fascismo e le forze democratiche. Il gallo nero è il fascismo spagnolo e internazionale incarnato da Franco, mentre il gallo rosso è simbolo di tutte quelle forze che combatterono per la difesa della Repubblica spagnola e che appoggiarono la Resistenza spagnola. Risale al luglio 1936 il primo atto di aggressione fascista contro le truppe spagnole che si ribellarono. La Repubblica venne eroicamente difesa tanto che i fascisti entrarono a Madrid solo a guerra finita, nel 1939 quando la Repubblica era già morta:

Gallo nero, gallo nero,/gallo nero io ti avverto:/non s’arrende un gallo rosso/se non quando è già morto.

Colomba della pace, parole e musica di Anonimo, canto della Resistenza antifranchista spagnola posteriore alla guerra civile, datato al 1963 riprende la simbologia antichissima della colomba come portatrice di pace.

Ci giudicano e condannano/in nome della pace/ogni volta che chiediamo, colomba,/giustizia e libertà.

https://www.youtube.com/watch?v=9KW219o5jw0

Alla memoria del compagno J. Grimau, parole e musica di Anonimo, pubblicata nel 1963 in Canti della nuova resistenza spagnola, è una tra le canzoni più note della Resistenza antifranchista spagnola. Racconta di Julian Grimaud, militante del Partito comunista spagnolo dal 1936, tra i più attivi nella difesa della Repubblica, sia come soldato che come funzionario del governo. Per trovarlo la polizia franchista dovette ricattare la famiglia di un compagno di partito. Venne arrestato una mattina su un autobus a Madrid. Picchiato a morte venne gettato da una finestra della Direzione generale della Sicurezza per simulare un omicidio. Ma non morì e venne richiuso nell’ospedale penitenziario di Yeserias. Fu condannato a morte da un tribunale militare, sentenza eseguita due giorni dopo la condanna nel cortile del penitenziario.

Ho saputo del delitto una mattina;/il mio dolore ha il colore del sangue umano./Solo nubi e piombo furono presenti:/Juliàn Grimau, fratello, ti assassinarono, ti assassinarono!/Da questa terra non potrà più crescere un fiore/che non porti il segno di questo dolore./Dal dolore del popolo nasce il mio canto:/corde della chitarra, siate compagne del nostro pianto!

Dall’Unione Sovietica proviene Nebbie, mie nebbie, parole di Michail Vasilievic Isakovskij, musica di Vladimir Grigorievic Zacharov. La canzone racconta di uno scontro armato con le forze naziste. Chi canta sa che alla fine dello scontro lo straniero non farà mai più ritorno a casa. L’invasione hitleriana era iniziata il 22 giugno 1941 mentre si formavano bande partigiane che si muovevano secondo la tattica sovietica, alle spalle del nemico, organizzando azioni di sabotaggio. “Bisogna formare reparti di partigiani a cavallo e a piedi – diceva Stalin – creare gruppi di distruttori per lottare contro le unità dell’esercito nemico, per scatenare la guerra partigiana ovunque e dappertutto, per far saltare i ponti, le strade, per danneggiare le comunicazioni telefoniche e telegrafiche, per incendiare i boschi, i magazzini. Nelle zone occupate creare condizioni insopportabili per il nemico e per tutti i suoi complici” [Opuscolo Canti della Resistenza Europea].

Giorno e notte le burrasche partigiane /rombano sulle teste dei banditi./Non ritornerà a casa, lo straniero non richiesto,/la sua dimora non vedrà più./Oh nebbie, mie nebbie!/Oh, mio paese natale!

Interpretazione di un coro femminile:

Terribile è Canzone di Zoia (Cosmodemianskaia), parole e musica di Anonimo.

Zoia era una giovane di diciassette anni, di Mosca, che faceva parte di una organizzazione di giovani comunisti e nel novembre 1941 andò volontaria coi reparti partigiani. Fu catturata dai tedeschi e impiccata nel villaggio di Petriscevo. Il canto è un inno a questa giovane eroina:

Ragazza con un colbacco logoro,/tagliava i fili, incendiava i ponti./Il reparto è orgoglioso della sua partigiana/la Zoia, del Komsomol, da Mosca./Tu sei morta, ma fra il popolo/come un eroe vivrai in eterno!/E noi giuriamo, cara Zoia, che sui fascisti ti vendicheremo!

Guerra giusta, canzone scritta nel 1941 mentre iniziava l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il più ingombrate degli ostacoli all’instaurazione di un dominio nazista in Europa. Il 22 giugno i nazisti ne invadevano i confini con 190 divisioni, aerei della Luftwaffe. Il popolo russo, benché impreparato all’offensiva imprevista seppe resistere all’urto, dando il via alla grande guerra partigiana che si concluderà con la liberazione di tutta l’Europa orientale e con la presa di Berlino da parte dell’Armata Rossa il 2 maggio 1945.

Alzati, immenso paese,/alzati per la lotta mortale/contro l’oscura forza del fascismo,/contro l’orda maledetta! Che un nobile furore/ribolla come l’onda:/è in marcia la guerra popolare,/la giusta guerra.

Sacred war, cantata dal Coro dell’Armata Rossa.

 Numerosi, seppure qui non riportati, sono poi i canti provenienti da paesi come il Portogallo, la Romania, l’Ungheria, la Danimarca, l’Albania dei quali restano le registrazioni discografiche e i testi. Per i canti italiani, invece, si rimanda all’articolo di Patria Indipendente Cantavano i partigiani.

E lo ripeto ancora una volta: abbiamo vissuto per la gioia; per la gioia siamo andati a combattere e per la gioia morremo. Il dolore non sia mai legato al nostro nome”. Julius Fucik, 19 maggio 1943.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli