Al maestro Arturo Toscanini, che nei giorni più neri dei delitti fascisti, della vergogna d’Italia e della pazzia del mondo, mantenne senza compromessi gli ideali di Mazzini e di Garibaldi e con fede immortale anticipò l’alba del Secondo Risorgimento Italiano.
Gaetano Salvemini e Giorgio La Piana
Sono due autorevoli esponenti della Mazzini Society, associazione antifascista a cui anche Toscanini aveva aderito, a scrivere questa dedica nelle prime pagine di un libro, What to do with Italy, che si interrogava sul futuro dell’Italia dopo la liberazione dal fascismo.
Perché Arturo Toscanini, di cui si celebra quest’anno il 150° anniversario della nascita, vanto della città di Parma che gli ha dato i natali, cresciuto in una famiglia di umili origini, è tra quanti seppero raccontare al mondo la storia di un’Italia vincente, patria della musica e soprattutto della libertà conquistata combattendo contro ogni forma di dittatura. A lui, non solo si deve la realizzazione di una incredibile riforma del teatro lirico che, grazie al suo intervento, acquistò in credibilità e alta professionalità. A lui si deve, soprattutto, l’essere stato un punto fermo, il non aver mai ceduto ai soprusi, alle minacce, alle vigliaccherie, opponendosi con ogni mezzo a quel governo fascista che lo voleva sottomesso.
Toscanini, infatti, figlio di un uomo che aveva combattuto insieme a Garibaldi per l’Italia unita, ha sempre tenuto fede all’imperativo paterno e a un’idea di patria libera e democratica.
Parma lo vede nascere il 25 marzo 1867 negli anni di un’Italia anch’essa bambina. Un’Italia contadina, povera, analfabeta. Il padre, Claudio, è artigiano: un sarto. Avventuroso e ribelle per natura. La madre Paolina, più riservata, ama le cose semplici. In famiglia è lei a mantenere l’ordine.
Parma è una città che ama la musica: ci sono bande musicali in ogni quartiere, c’è il Teatro Ducale nato per iniziativa di Maria Luigia d’Asburgo. Alla guida dell’orchestra niente di meno che Niccolò Paganini. In teatro, Toscanini ci andrà per la prima volta a quattro anni, ad ascoltare Un ballo in maschera, opera di Giuseppe Verdi. L’imprinting.
Non ci mettono molto i genitori e i maestri a capire che quel bambino ha un talento tutto suo: memorizza i suoni, adora gli strumenti musicali, impara in fretta. A nove anni è già ammesso al Conservatorio di Parma. Studia con il maestro Leandro Carini.
“Studiavo il violoncello che non amavo – dirà – e lo studiavo per rendere felice il mio professore che vedeva in me molto di più di quel che ero – ma avevo una sete inesausta di conoscere, di sapere la musica – tutta la musica!” [P. Melograni, Toscanini, p. 16].
Una sete inesausta è quella che gli farà ottenere il massimo dei voti, la lode, un premio come miglior diplomato. E una impressionante carriera internazionale.
Appena diplomato, Toscanini è subito scritturato, in tournée, alla volta del Brasile. La favorita di Donizetti che viene eseguita nel teatro di San Paolo, però, ottiene scarsissimo successo: i cantanti chiedono che il direttore d’orchestra venga immediatamente sostituito. Ma nessuno si vuole azzardare. Ch’al vaga su lu Toscané! – la battuta di un orchestrale parmigiano – si racconta sia la molla che convince il giovane Toscanini, supportato da tutti gli orchestrali, a prendere la situazione in mano. Lui è l’unico a conoscere l’opera a memoria, per quel suo talento prodigioso, per aver aiutato più volte i cantanti a studiare le parti.
“Se volete, ci provo”, dice. Poi sale sul podio, niente frac, con indosso il consueto abito da orchestrale. Un nuovo direttore, in quel momento, era nato.
Nel 1895 è alla direzione stabile del Teatro Regio di Torino. Ed è qui che mette in atto una fondamentale operazione di rinnovamento del teatro.
“Toscanini – scrive Eugenio Montale – è stato l’uomo che più di ogni altro, sul finire del secolo XIX e nei primi decenni del XX ha contribuito a elevare il livello del teatro musicale italiano, mutando e trasformando radicalmente una situazione di fatto che sembrava ormai inguaribile e immodificabile” [P. Melograni, Toscanini, p. 42].
Fino a quel momento gli allestimenti erano abbandonati alle scelte indiscriminate di cantanti e direttori che intervenivano sulle partiture, tagliando, modificando, reinterpretando parti a loro totale arbitrio. Toscanini non ha dubbi: occorre tornare alle versioni originali. Ripulire, recuperare ciò che i compositori hanno lasciato scritto.
I cantanti, poi, devono essere anche attori, credibili nelle parti che interpretano, ed essere disciplinati: studiare assiduamente. Le luci, le scene, e i costumi, inoltre, occorre siano curati al dettaglio, esattamente come la musica.
Gli orchestrali devono essere selezionatissimi, perché solo i migliori possono suonare in orchestra. Una selezione severa di cui è Toscanini stesso a occuparsi. Basta ascoltare alcune sue prove per capire quanto ci tenesse alla loro migliore resa musicale, anche a costo di riprenderli duramente. Nelle prove del Coro delle zingarelle da La Traviata di Verdi:
e durante le prove di un’opera di Strauss:
Poi l’orchestra, come quella che Wagner aveva ideato a Bayreuth, deve sparire infossata in un “golfo mistico”, una buca profonda che la nasconde agli occhi dello spettatore, incantato dal suono che arriva da quel luogo misterioso. E dalla scena che diventa protagonista. Vietato, quindi, alle signore del pubblico, indossare cappellini voluminosi che impediscano la visuale.
Proibito entrare a spettacolo iniziato. E addio alle luci accese, lo spettacolo si gode al buio: ciò che conta sono le scene, i cantanti e la musica, non certo gli abiti, i gioielli, le scollature delle signore o le tresche che accadono nei palchi. Basta anche con i bis che interrompono il continuum dell’opera spezzandone la magia.
Così il melodramma diventa un grande spettacolo e a Toscanini interessa solo l’eccellenza.
Infatti, da Torino al grande Teatro alla Scala il passo è breve. Artefice di questa operazione è niente meno che Arrigo Boito, librettista di Giuseppe Verdi. Anche qui a Toscanini vengono riconosciuti ruoli e funzioni che vanno al di là della direzione d’orchestra: ottiene il diritto di compilare i programmi, scegliendo cantanti, orchestrali e scenografi. Stabilisce il numero delle prove. È perfino regista dei propri spettacoli.
La Scala è il più grande teatro italiano, ma il pubblico non è sempre pronto ad accogliere le innovazioni di Toscanini che, per esempio, propone opere moderne come il Pelléas e Mélisande di Debussy, che non viene capita, anzi fischiata.
Ma non importa, Toscanini non è uno che si fossilizza in un luogo, e ha in animo di fare nuove esperienze. In quel momento si prospetta la possibilità di far conoscere il prestigio del teatro e della musica italiana in quel Nuovo Mondo che Antonín Dvořák aveva esaltato nella celebre sinfonia.
L’approdo al Metropolitan di New York avviene anche per merito di Otto Kahn, presidente della società che ha in gestione il teatro, primo ebreo in tutti gli Stati Uniti incaricato di presiedere una tale istituzione culturale.
La stampa newyorchese non ci mette molto a capire quanto il livello musicale del Metropolitan si sollevi grazie a Toscanini: “Ha una strenua forza, un dominante potere, una forte autorità, innumerevoli risorse. Stringe nelle mani tutti gli elementi dell’esecuzione”, scriverà il New York Times. “Senza uomini siffatti la musica è priva di vita”, dirà il New York Tribune [P. Melograni, Toscanini, p. 75].
L’America acclama Toscanini e ne riconosce il grande talento. Eppure l’Italia, per lui, è ancora molto vicina. Il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908 è un’occasione per organizzare proprio al Metropolitan un concerto benefico. Il primo di una lunghissima serie di cui Toscanini sarà ideatore, promotore oltre che direttore. A favore dei bisognosi, degli orfani, dei soldati al fronte quando l’Italia sarà in guerra.
Nel 1915, infatti, l’Italia dichiarava guerra all’Austria, un anno dopo l’inizio della Grande Guerra europea. Si illudeva, il governo italiano, di arrivare a Vienna in poco tempo e chiudere quel conflitto alla svelta. Ovunque si respirava un clima di euforia. Combattere contro gli austriaci significava completare gli ideali risorgimentali garibaldini che avevano spinto anche il padre di Toscanini ad unirsi all’«eroe dei due mondi» nella lotta contro lo straniero.
Così Toscanini, tornato in Italia, combatte con gli strumenti che possiede: organizza concerti di beneficenza. Poi decide che ciò non basta. Occorre incitare i soldati italiani con le sue musiche eseguendole il più possibile vicino a loro. Andrà al fronte di Monte Santo, rifiutando anche un contratto in America pur di non abbandonare quei soldati. Alla fine di ogni pezzo è lui ad alzare un grido: “Viva l’Italia!”. I soldati esultano, nessuno li ha mai incoraggiati in quel modo.
Per questo suo impegno, poco dopo Toscanini verrà convocato davanti a una brigata di bersaglieri e riceverà una medaglia d’argento.
“Mi sento sopraffatto da questo segno d’altissimo onore – dirà – e che parmi di non avere meritato. Cosa si poteva fare di più umile, di più semplice che portare un po’ d’armonia, un po’ di musica sul Monte Santo, tra quei cari soldati che l’hanno conquistato!” [P. Melograni, Toscanini, p. 97].
A conclusione della guerra Toscanini si ritrovava senza più risparmi, attonito come la maggioranza degli italiani che avevano creduto in una rapida soluzione del conflitto. Che invece era durato quaranta mesi, con un numero indicibile di morti e un’Europa dilaniata.
L’attività musicale ricomincia alla Scala e Toscanini dirige una nuova orchestra di cui è l’artefice. Ma l’Italia, in poco tempo, è di nuovo vessata da un clima di violenza.
Alle elezioni politiche del 1924 il “listone” capeggiato da Benito Mussolini ottiene una marea di voti. Il deputato socialdemocratico Giacomo Matteotti dichiara l’esistenza di brogli elettorali. Pagherà con la vita quella denuncia. Con la presa di responsabilità politica, morale e storica di quanto successo, Mussolini inaugurava in Italia la fine delle libertà e l’instaurazione di un regime.
Toscanini non tardò molto a mostrare la sua ostilità verso la politica e gli atteggiamenti di Mussolini. Con il progetto di recarsi alla Scala per la prima di Turandot, il 25 aprile 1926, questi aveva richiesto che Toscanini anticipasse l’opera suonando la canzone Giovinezza, inno trionfale del Partito Nazionale Fascista, cosa che il maestro rifiutò categoricamente.
https://youtu.be/MgqTL3x9sxg?t=10s
Il 5 gennaio 1926 Toscanini volava in America a dirigere la New York Philarmonic. Farà tappezzare la Carnegie Hall di bandiere italiane, a tenere alto il nome del suo Paese, così svilito e umiliato. Gli verrà chiesto di suonare di nuovo Giovinezza al Teatro di Bologna il 14 maggio 1931. Quella sera sarebbero stati presenti il ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano e il sottosegretario all’Interno Leandro Arpinati. Toscanini, di nuovo, rifiuterà.
Questa volta, ad attenderlo in teatro, un assembramento di giovani fascisti che avevano premeditato un’aggressione. Toscanini da qual momento rinuncerà a dirigere nell’Italia mussoliniana. A partire da quella data e fino alla caduta del regime avrebbe diretto solo orchestre straniere e si sarebbe comportato da straniero in patria.
Ma questo era niente, una tragedia ben più grave stava calando sul mondo intero.
Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler diventava cancelliere del Reich. A Toscanini fu chiesto di firmare un messaggio per protestare contro l’allontanamento dei musicisti ebrei dai loro incarichi. Toscanini chiese e ottenne di risultare come primo firmatario. Smise anche di partecipare al festival di Bayreuth che tanto amava, chiudendo così, ogni contatto con la Germania.
In America lavora duramente, e il lavoro sembra essere l’unica cosa che lo distrae dal clima di nefandezze che sta colpendo l’Europa: “Lavoro lavoro – scriverà alla moglie Carla dall’America –. È l’unico modo per rendere possibile la vita e dimenticare le sue miserie…E lavorerò continuamente, sempre fino a che renderò l’ultimo respiro. Ho ancora tanta vitalità. E il lavoro non mi pesa” [P. Melograni, Toscanini, p. 143].
Le notizie che arrivano dall’Italia sono sconfortanti: Mussolini sta per dare il via alla guerra d’Abissinia (3 ottobre 1935).
Invece, lui viaggia in Palestina a dirigere un’orchestra ebraica, l’Orchestra sinfonica di Palestina.
Nel 1937 il fisico Albert Einstein gli scriverà parole di immensa stima: “Sento il dovere di dirle quanto La ammiri e La veneri. Lei non è soltanto l’impareggiabile esempio della letteratura musicale universale. Anche nella lotta contro i criminali fascisti Lei si è dimostrato uomo della massima dignità” [P. Melograni, Toscanini, p. 154].
In questo documentario How Toscanini Fought Hitler’s Persecution of the Jews, ben si raccontano anche le vicende dell’impegno con l’orchestra palestinese:
https://www.youtube.com/watch?v=GYUMj4Hci8g
Il 12 marzo 1938, intanto, ha luogo l’Anschluss: le truppe tedesche occupano l’Austria, che non esiste più. Toscanini rifiuta di dirigere a Salisburgo, occupata da Hitler.
In Italia il 1° settembre 1938 vengono adottati una serie di provvedimenti antisemiti. Dall’America, continuando incessantemente a dirigere, Toscanini scriveva: “Procuro di non leggere i giornali e ignorare più che posso l’infernale tragedia che incombe su questa povera umanità, ma non posso ignorare i delinquenti che l’hanno preparata in questi anni. L’odio mio per questi briganti – mostri – delinquenti non ha limiti” [P. Melograni, Toscanini, p. 171].
Anche l’America poi entra in guerra: il 7 dicembre 1941 i giapponesi attaccano la base navale americana di Pearl Harbor. Le stazioni radio, quel giorno, per dare la notizia, interrompono un concerto diretto da Toscanini.
Ma nel novembre 1942 i sovietici lanciano una grande controffensiva a Stalingrado mentre gli anglo-americani sbarcano in Sicilia nel luglio 1943. Il 25 luglio Mussolini veniva arrestato. Il conflitto, però, non era ancora terminato.
Una produzione americana, la United Films, farà di Toscanini il protagonista di un cortometraggio che celebrava il ruolo degli antifascisti italo-americani durante la seconda guerra mondiale. Si concludeva con la rappresentazione di una speciale versione dell’Inno delle Nazioni di Giuseppe Verdi. Allo spartito verdiano, che includeva i motivi di tre inni nazionali: l’Inno di Mameli, La Marseillaise e God Save the King, Toscanini aggiungeva The Star-Spangled Banner e l’Internazionale (in onore degli USA e dell’URSS, Paesi fondamentali per la battaglia contro il nazifascismo) e modificava alcune parole dell’Inno di Mameli, adattandole alla situazione contemporanea: “O Italia, o patria mia”, ad esempio, diventava “O Italia, o patria mia tradita”. Il concerto, diretto da Toscanini con la Nbc Symphony Orchestra, Jan Peerce come solista e i coristi dal Westminster Choir College, verrà radio-trasmesso il 31 gennaio 1944 e riproposto dal vivo il 25 maggio 1944 in uno spettacolo di beneficenza per la Croce Rossa al Madison Square Garden di New York:
Ma l’impegno antifascista di Toscanini è instancabile: in una lettera a Franklin Delano Roosevelt, che non verrà mai spedita, ma sarà pubblicata come editoriale sulla rivista Life, vista la preoccupazione che gli Stati Uniti potessero sostenere il re e Badoglio, compromessi con il regime mussoliniano, Toscanini scriveva: “Sono un vecchio artista e fui tra i primi a denunciare il fascismo al mondo. Io ritengo e credo di poter fungere da interprete dell’anima del popolo italiano, quel popolo la cui voce è stata soffocata per più di vent’anni ma che, grazie a Dio, proprio ora sta gridando per la pace e la libertà nelle vie e nelle piazze d’Italia, sfidando tutto, persino la legge marziale” [P. Melograni, Toscanini, p. 185].
L’Italia doveva poter combatte a fianco degli alleati contro gli odiati nazisti.
Poco dopo sarebbe arrivata la notizia dell’armistizio.
L’8 maggio 1945, il giorno in cui la seconda guerra mondiale terminava in Europa, Toscanini festeggiava l’evento a New Tork dirigendo la Quinta Sinfonia di Beethoven con la Nbc Orchestra. Dirige altri concerti di beneficienza per enti assistenziali italiani, per gli orfani, per i mutilati di guerra.
Torna in Italia nel 1946 mentre si sta organizzando il referendum con cui gli italiani avrebbero dovuto scegliere tra monarchia e repubblica. Dirige emozionanti concerti alla Scala.
L’eccezionale documento visivo, sfortunatamente muto, del concerto della Scala dell’11 maggio 1946
Poi vola di nuovo in America, indaffaratissimo, all’età di ottant’anni. L’anno successivo scopre l’importanza della televisione, che trasmette i suoi concerti. Ne intuisce le straordinarie potenzialità, piuttosto che i pericoli. Questo ha permesso che le sue ultime direzioni restassero visibili per sempre. Come il Guglielmo Tell di Rossini, 15 Marzo 1952 alla Carnegie Hall di New York City:
o come La cavalcata delle Valchirie, dall’opera Le Valchirie di Richard Wagner, con la Nbc Orchestra, 1948:
https://www.youtube.com/watch?v=9RpDhX2CHLE
Ma non ha ancora smesso di viaggiare e di portare nel mondo la sua arte. Una grandiosa tournée nel 1950 dall’Atlantico al Pacifico non può che lasciare stupefatti, ieri come oggi.
Il 25 marzo 1954 il maestro invia una lettera di dimissioni alla Nbc Orchestra e dichiara la scelta di deporre la bacchetta. Morirà il mattino del 16 gennaio 1957 poche settimane prima di compiere novant’anni. Il giorno dopo tutta l’America lo piangeva commossa.
Eugenio Montale scriverà: “Quando la salma del Maestro fu portata a Milano, la stampa di tutto il mondo dedicò allo scomparso il più commovente omaggio che mai, a memoria d’uomo, fosse stato tributato a un musicista italiano” [P. Melograni, Toscanini, p. 218].
Una vita trascorsa instancabilmente dentro la musica, da un’orchestra all’altra, da un Paese all’altro, dall’Europa all’America, dalla nave all’aereo. Nei teatri più famosi del mondo. Impossibile elencare le opere, le sinfonie, i concerti che Toscanini ha diretto nell’arco della sua carriera. Sia di autori italiani che stranieri, un immenso patrimonio musicale ha conosciuto il tocco della sua bacchetta. Tra i tanti capolavori la Sinfonia No. 9 di Beethoven con la Nbc Symphony Orchestra del 3 aprile 1948:
e l’Ouverture de La forza del destino di Giuseppe Verdi:
https://www.youtube.com/watch?v=VYaqcYAYrqw
Ha girato il mondo, Toscanini, ma ha sempre fatto ritorno in Italia, la patria di cui ha difeso i valori antifascisti: con la musica, con le prese di posizione, con le rinunce. Sacrificando, sfidando, animato dalla forza delle proprie idee. Con lui ha viaggiato l’immagine di un’Italia a testa alta, costruita attraverso il lavoro, la fatica e l’estrema professionalità. Che ha insegnato al mondo il mestiere dell’arte, fatto di talento, impegno, dedizione totale. La stessa che Toscanini ha profuso affinché nel suo Paese restassero vivi gli ideali della libertà, della democrazia, il rispetto delle differenze e dei diritti degli ultimi, il rifiuto delle dittature, sempre.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato mercoledì 5 Aprile 2017
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