Oum Kaltoum

Sapeva cantare con il sangue,

le ho insegnato a cantare con il cuore. Ahmed Rami

 

Nella terra fertile del Nilo, l’Egitto, Fāṭima Ibrāhīm al-Biltāgī nasce povera, donna, contadina, in una patria da sempre dominata da potenze straniere. Ma la sua voce, che arriva lontanissimo, ascoltata il tutto il mondo arabo e poi in occidente, viene dal passato: è la voce degli antichi schiavi che hanno guadagnato la libertà, cantando.

A lei si devono grandi battaglie per l’emancipazione delle donne del suo Paese che si sono battute a fianco degli uomini per dare all’Egitto un futuro di indipendenza e di vita democratica.

Lei è la voce che interpreta il Corano. Lei è un’ambasciatrice, sostenitrice di Nasser, leader del panarabismo. Soldatessa al servizio dell’Egitto per riempire le casse dello Stato svuotate dalle guerre. Lei è la voce degli arabi, popolo che vuole vedere unito. Lei è Oum Kaltoum, dal nome della terza figlia del Profeta, “colei che può”. Thuma, per gli abitanti del suo villaggio, ovvero la “bambina aggrappata alle povere vesti della madre”.

La sua vita è un secolo di grandi cambiamenti politici e sociali nella storia dell’Egitto; un secolo di musica, anch’essa rinnovata, per parlare alle persone del tempo, dentro e fuori dal mondo arabo.

Come una figura leggendaria, la sua data di nascita è ignota. Si sa che viene al mondo nel 1904 mentre suo padre, Ibrahim el Beltagui, Imam del villaggio di Ṭamāy al-Zahāyra, nella moschea sta recitando alcune pagine del Corano. Nasce femmina, anche se lui desiderava un maschio.

Ibrahim, poverissimo, è garante delle tradizioni maschili e guardiano della fede. Ma sua madre, Fatima Maligui, si batte affinché la figlia diventi la più istruita del piccolo borgo sul delta del Nilo. La determinazione che le trasmette rende Thuma così motivata da riuscire nel tempo, con il lavoro, la fatica e la lotta, a forgiare il proprio destino. Fatima non ha paura della povertà della sua vita, della durezza del lavoro nei campi, ma disprezza l’arroganza dei proprietari delle terre del villaggio per i quali fatica tutto il giorno insieme a sua madre. Fatima conosce la dignità del lavoro che trasmette alla figlia. Anche lei, già molto piccola, scende con le donne ai campi, affonda le mani nella terra mentre il sole le brucia la schiena. Intanto canta, per rasserenare sua madre, sua nonna e la sorella maggiore. Il suono della sua voce sembra quello di un usignolo. Ha anche un incredibile orecchio musicale perché in poco tempo ha imparato i canti che il padre insegna al fratello maggiore Khaled e che intona durante le celebrazioni. Lei non osa cantare davanti agli uomini. Una sera, infatti, il padre, che la sente, la picchia: una femmina non ha il diritto di cantare. Ma lei non si dà per vinta e ottiene di poter seguire il fratello alla scuola coranica del villaggio. Un po’ alla volta il padre accetta di portarla con lui, al villaggio, nei dintorni, per cantare.

Il suo canto, sopra quello del fratello, del cugino e del padre che ormai si accontentano di fare il coro, è stupefacente. I primi ascoltatori non possono che lodare quella magia. La voce di una bambina, travestita da beduino. Sono il padre e il fratello a volerla così. Perché è sconveniente che una femmina si esibisca in pubblico. E che mostri quello straordinario talento. Superiore a quello dei maschi.

In poco tempo in tutta la regione si sparge la voce di questa compagnia che si esibisce con la piccola cantante.

A casa dell’amica Aïcha, la figlia del sindaco, Thuma ascolta per la prima volta una voce. Esce dal fonografo, un oggetto misterioso che lei non ha mai visto. L’uomo che possiede quella voce, esiste veramente? si domanda. I parenti di Aïcha conservano tutti i dischi di Abu El Ala Mohamed, il più grande cantore del mondo arabo. Thuma non riesce a smettere di ascoltarlo. Poco dopo diventerà la sua guida.

Al tempo della Prima guerra mondiale la bambina diviene consapevole del pesante tributo che paga il suo Paese. Basta una parola a definirlo: colonizzazione.

Thuma vede i giovani lavoratori arruolati, gli asini requisiti e i campi di cotone sostituiti dai campi di grano per alimentare l’esercito britannico. Gli inglesi prendono il sangue e il sudore dei giovani arabi e le donne cantano della loro sventura.

A dieci anni, non può non vedere che per sua madre è sempre più difficile calmare la fame delle sue figlie, con la farina che è raddoppiata. Per manifestare il suo desiderio di lotta, insieme alle altre donne, lei canta: Mi sei caro, voglio tornare nel mio paese. Il mio paese, oh mio paese…

La guerra non arresta lo scorrere della vita quotidiana. Thuma si fa sempre più bella, tanto che un giorno un uomo di un villaggio vicino viene a chiedere la sua mano. Offre ettari di terra, ma la ragazza deve rinunciare al canto. Lei rifiuta, non ne vuole sapere di smettere. Per il suo villaggio, a sedici anni, lei è “L’usignolo del Delta”. Nobili, ricchi commercianti la richiedono per cantare alle loro feste. In una di queste l’accompagna al liuto Zakaria Ahmed. “L’avvenire di tua figlia può essere molto importante – confida al padre –. È un peccato che un talento così sorprendente resti chiuso in questo piccolo villaggio. Non la puoi imprigionare qui. Occorre che lei vada al Cairo per studiare e fare il suo apprendistato”. Penseranno lui e lo sceicco Abu El Ala Mohamed a organizzare il viaggio e la sistemazione, nella città meticcia dalle mille opportunità. Lei non può cantare senza conoscere la poesia, la cultura della sua terra e del mondo. E si batterà, con l’aiuto di Fatima per poterlo fare. Anche contro suo padre. L’uomo non accetta che sua figlia possa subire influenze occidentali, per lui le loro tradizioni si esprimono solo attraverso i canti folkloristici, quelli di Sayyid Darwīsh che racconta così bene la vita quotidiana del mercante di latte o del portatore di acqua [Y. Saïah-Baudis, Oum Kalsoum, l’etoile de l’Orient, p. 35].

Il Cairo, poi, in quel momento, è terra di violenti scontri.

L’Egitto infatti è sconquassato dalle lotte per l’indipendenza dall’Inghilterra. Saʿd Zaghlūl, leader del Wafd, partito dei nazionalisti egiziani, chiede l’indipendenza già nel 1918.

I britannici lo incarcerano a Malta, ma questo causa solo manifestazioni di violento dissenso e moti di piazza in tutto il Paese. Il 9 marzo 1919 scoppia la prima rivoluzione in Egitto. Le proteste partono dal Cairo e si propagano dappertutto. Il bilancio di tre settimane di moti è di più di ottocento egiziani uccisi. I britannici decidono allora di liberare Zaghlūl.

L’11 aprile il Wafd partecipa alla conferenza di pace di Parigi per chiedere l’indipendenza dell’Egitto, ma è amaramente disilluso dall’atteggiamento degli Stati Uniti che si mostrano convinti sostenitori dell’idea di mantenere il Protettorato britannico nel grande Paese arabo e africano.

Zaghlūl incontra di nuovo i britannici a Londra, ma i negoziati si risolvono in un fallimento. I moti popolari scoppieranno ancora una volta, con più di un centinaio di nuovi caduti [Cfr. P. Minganti, L’Egitto moderno].

Nel frattempo, nel 1923, con l’interessamento di una famiglia benestante garante del viaggio, il fratello Khaled, il padre e il cugino acconsentono a che Thuma vada al Cairo. Loro, naturalmente, si preoccuperanno che la ragazza canti vestita da maschio e che la sua strada sia sempre rischiarata dalla luce del profeta.

Il Cairo dal principio è stupefacente: Thuma resta colpita dalle luci sempre accese nelle vie come in un giorno di festa. Ma all’arrivo il suo aspetto delude Azzedine el Hatai, il ricco commerciante che ospita la famiglia. La ragazza è una paesana, rozza e vestita da beduino. Quando intona la Fatiha, però, la prima sura del Corano, gli occhi delle persone supplicano perché lei continui: Nel nome di Dio clemente e misericordioso…

Zaghlūl continua a promuovere azioni per l’Egitto libero: “Gli inglesi sono arrivati in Egitto per denunciare l’ingerenza ottomana – dice –. Hanno preso il pretesto della Guerra mondiale per difenderci, ma devono essersi sentiti così bene da noi da non parlare più di ripartire. Dopo Muhammad ʿAli Pascià, noi non siamo stati governati che da stranieri. L’Egitto appartiene agli egiziani” [Y. Saïah-Baudis p. 49].

È in seguito a un’intensa pressione popolare, mossa dalle parole del “padre del popolo” che i britannici accettano di porre fine al Protettorato. Si tratterà in realtà di una decisione puramente simbolica, dal momento che essi manterranno uno stretto controllo dei dicasteri degli Esteri e della Difesa.

Il Cairo (da https://viaggi.corriere.it/africa/il_cairo/)

Il nome di Zaghlūl, però, risuona ovunque: nei bar, per le strade. Thuma ha messo tutta la sua giovane passione per la causa nazionale, in quel nome. La sua condizione di povera contadina musulmana le fa detestare gli invasori inglesi. Lei conosce le canzoni che raccontano il vero Egitto, la sua storia di povertà, le tradizioni che vengono da un passato antico e mitico. Sono le canzoni di Sayyid Darwīsh, vigorose, con parole che inneggiano il popolo a non subire la presenza degli occupanti stranieri, le parole che sanno tradurre lo spirito del popolo.

Intanto le lezioni di canto e di poesia danno i loro risultati.

Ibrahim si rende conto che sua figlia lo ha superato nell’arte della salmodia. Ma continua a imporle le sue volontà, tra cui indossare abiti maschili durante le esibizioni. Le cantanti che mostrano anche solo le loro braccia vogliono distogliere l’attenzione degli ascoltatori. Impone anche che sua figlia canti senza accompagnamento musicale. La sua sola voce è strumento di Dio.

Ma i suoi maestri, Zakaria Ahmed e Abu El Ala Mohamed, le insegnano canzoni d’amore come Perché sono innamorato.

Pensano che attraverso di lei si possa far nascere una nuova canzone, più moderna e ritmata. Una canzone che dia voce a quelle dei poeti egiziani che sono stati a Parigi come Ahmed Rami, e che hanno studiato i grandi autori classici come Omar Khayyam. La voce di chi cerca nella cultura egiziana le basi di un modernismo orientare. Di chi vuole attuare una rivoluzione, la Nahada, per rinnovare la poesia, la musica, il romanzo, la filosofia, la politica e l’Islam.

Gli eventi della politica egiziana vedono ancora protagonista Zaghlūl che, nel 1924, prende parte alle elezioni sotto il simbolo del partito Wafd e le vince con una schiacciante maggioranza. Diventa Primo ministro ed è l’eroe di tutti.

Una sera, alcuni amici invitano il poeta Rami ad ascoltare Thuma, ormai Oum Kaltoum, al Theatre de la Pelote basque. Sa che lei interpreta le sue poesie, ma mai avrebbe pensato di restare così impressionato dalla forza con cui le canta. Canzoni come Io mi sacrificherei per mantenere il suo amore per me o Pensami. [https://www.youtube.com/watch?v=oDrPsZxk-WM] Vuole assolutamente conoscerla. Circondata dal padre, dal fratello e da Abu El Ala Mohamed, suo maestro, lei è molto emozionata. “Il mio più grande onore – le dice Rami – è che tu possa continuare a cantare le mie canzoni […] Io spero che tu scriva per me – risponde lei –. Sarei davvero onorata di poter cantare il nostro più grande poeta romantico” [Y. Saïah-Baudis, p. 60]. Così Ahmed Rami, Abu El Ala Mohamed in poesia, Zakaria Ahmed e Mohamed El Kasabji in musica, i migliori professori del Cairo, sono al lavoro per Oum Kalsoum. Le poesie di Rami, che ha studiato letteratura francese alla Sorbona, sono forse troppo elaborate, esprimono temi sublimi con un linguaggio colto per un pubblico non istruito. Ma lui è il più grande poeta egiziano che scrive parole per lei, che per lungo tempo ha avuto come pubblico la gente semplice del suo villaggio. Cercherà parole meno ricercate per raccontare quei temi. Ogni giorno le insegna nuove poesie, le dischiude un mondo di parole e di pensieri sconosciuti: le poesie diventano canzoni che parlano d’amore e di passione. Il fratello le grida di vergognarsi, per il suo comportamento sconveniente e indegno. Anche il padre appare contrariato. Odia gli uomini di spettacolo e gli intellettuali perché le stanno attorno, perché l’hanno guastata facendole cantare canzoni indecenti che, invece di esaltare Dio, parlano di amore carnale. Sono uomini senza valore e dignità, senza un pensiero religioso. Con loro parla solo di soldi, delle ricompense che devono alla figlia. A lei è proibito.

I teatri, le sale da cinema richiedono i concerti della giovane egiziana. I direttori se la disputano. Il Bosphore, il Ramsès, il Fouard. Il direttore delle edizioni Odeon, M. Baroudet, le propone di incidere un disco. È tempo che lei dismetta gli abiti da beduino per indossare vestiti adatti a lei. Che la sua immagine in copertina sia accattivante e che la rappresenti per quello che è.

“Io sono donna – dice a suo padre – e ora che comincio ad avere successo non ho più bisogno di indossare abiti da uomo per giustificare il mio talento. Abu El Ala Mohamed, il più grande maestro di musica, mi ha scelta come unica erede della sua arte. Rami, il più grande dei nostri poeti, scrive solo per me. Mostrarmi come una donna non mi toglierà nulla ed eviterà ridicoli sarcasmi” [Y. Saïah-Baudis, p. 67].

Rami le scrive Se perdono, una canzone nuova e diversa, specchio di un tempo di cambiamenti, di voglia di correre dietro al progresso, di inventare un nuovo linguaggio, di essere indipendenti: Se perdono/E ignoro la tua durezza/ Come liberarmi/ Del tuo ricordo…

Lei la interpreta in modo sublime. Così è deciso, il disco si farà. Con la sua voce e con gli strumenti.

Al suo primo concerto con accompagnamento orchestrale a Baghdad compie un gesto rivoluzionario: scioglie i nodi del fazzoletto che le copre la testa, la kefiah, e canta mostrando la sua capigliatura nera. Il pubblico l’acclama: l’ama come femmina, l’ama con l’accompagnamento musicale, l’ama con un repertorio più moderno. Le donne la ammirano, è esempio di libertà, di emancipazione. Se perdono vende quindicimila copie in tre mesi. Record assoluto. Oum Kalsoum è colei che unisce il canto classico a melodie moderne, colei che sa fondere tradizione e rinnovamento. Rami si consacra totalmente a lei. Le scrive L’ amavo senza che nessuno se ne accorgesse e Lascia quelle lacrime per i miei occhi, profondamente innamorato.

In poco tempo Oum Kalsoum passa dalla posizione di allieva a quella di direttrice. Lei sceglie i testi, taglia i versi e li riscrive, cambia il ritmo delle canzoni, diventa produttrice di se stessa. A ventisette anni ottiene il suo primo libretto d’assegni, scrollandosi di dosso la tutela paterna.

Intanto Zaghlūl, presidente del parlamento egiziano, nel 1926 è costretto a presentare le proprie dimissioni, schiacciato dalle forti pressioni del re e dalla intollerabile presenza della potenza coloniale britannica. Muore l’anno successivo. Chi prenderà il suo posto affinché il popolo egiziano possa tornare ad alzare la testa? Oum Kalsoum vuole fare la sua parte: Rami e Kasabji devono scrivere una canzone che lodi Zaghlūl. “Saad non è morto per l’Egitto – grida lei nella sala di un teatro strapieno –. La preghiera più dolce è cantare per lui. L’Egitto è il nostro più grande amore” [Y. Saïah-Baudis, p. 82]. Così, i canti d’amore diventano canti di guerra. E dopo aver intonato Se Saad viene a mancare all’Egitto sente levarsi un vento di fervore e determinazione. Lei non ha mai ricevuto una tale ovazione. Il popolo è tutto con lei: Se Saad viene a mancare all’Egitto /Conserva la dimora nella memoria /La sua gloria nelle canzoni… [Sélim Nassib, Ti ho amata per la tua voce, p. 69].

Oum Kalsoum compie azioni di forte ribellione contro il sistema sociale: è la prima donna a dirigere una famiglia di musicisti. Da lei ci si può solo aspettare che riformi la musica araba e che continui a sorprendere il pubblico con il suo genio. Dall’estero in tanti cominciano a osservarla e gira la voce che in Egitto sia viva l’arte della politica ma anche quella della musica.

Zaghlūl

Nel 1932, cinque anni dopo la sua morte, la presenza di Zaghlūl “Salvatore del popolo” è ancora viva. Tuttavia, il compito del suo successore, Mustafa el-Nahhas Pacha, è molto pesante. Il Wafd detiene la maggioranza dei seggi all’Assemblea, ma in realtà non è così potente. Questi nazionalisti di maggioranza nell’Assemblea hanno scarso controllo su un re molto attaccato alle potenze che dominano l’Europa e l’Egitto. Le crisi sono molteplici, la carestia minaccia, la popolazione del Cairo aumenta drasticamente, la voce di chi difende il popolo fatica a emergere. Come quella di Hoda Chaarawi con il suo movimento femminista e i suoi due giornali.

Oum Kalsoum si esibisce due volte al mese nei teatri e nelle sale da concerto, ma presto partirà in tournèe in Siria, in Libano, in Libia. Al suo arrivo a Beirut, accolta come un’ambasciatrice dell’Egitto, è orgogliosa nel vedere quanto gli arabi di un’altra regione la riconoscano come sorella di sangue. “Oum Kalsoum è l’ultima delle cantanti come Mohammed è l’ultimo dei profeti – dicono –. Dopo di loro nessuno potrà mai eguagliare” [Y. Saïah-Baudis, p.103].

Nel 1932 è anche atteso il primo congresso di musica araba e il re Fouad spera di beneficiare delle ricadute di questo grande evento artistico.

Ci saranno musicologi di tutti i Paesi. I più grandi musicisti d’Europa e del mondo arabo sono invitati a confrontare la loro arte e unire le rispettive tradizioni. Il mondo ascolterà lo spirito e la voce del Cairo. Il talento di Ahmed Chawki, “il principe dei poeti”, appena mancato, si rivelerà a tutti e Oum Kalsoum sarà la regina dello spettacolo. È l’incarnazione del risveglio della musica araba, della vera canzone egiziana. Ma l’evento crea dibattiti ancora prima di iniziare: “I tradizionalisti rimproverano ai modernisti di voler vendere il mondo arabo all’Occidente; mentre i modernisti sostengono che il miglior modo di preservare la tradizione sia di integrarla in un insieme più vasto” [Nassib, p. 85]. In ogni modo, tra i tanti brani in programma, la stampa attende quello di Oum Kalsoum. Lei si presenta in abito bianco di paillette, diamanti come orecchini, collana e spilla, con i capelli raccolti in un alto chignon, un po’ di matita sugli occhi e il rosso sulle labbra. Canta Ti ho amata per la tua voce, poesia di Rami. Tutti parlano di lei.

Ma il successo vero arriva quando in Egitto la stazione radio Masr comincia a trasmettere. Oum Kalsoum comprende subito che questa tecnologia le può permettere di accrescere il suo pubblico. Lei è certa che la sua gente adorerà questa “scatola” che canta e che parla di tutto, tutto il giorno.

Così quando si inaugura la Voce del Cairo, l’unica radio che si ascolta fino alle frontiere del Sudan e dei paesi del Medio Oriente, lei canta Ti ho amata per la tua voce. Il direttore le propone la formula di un concerto in diretta dallo studio, tutti i primi giovedì del mese. Lei accetta a condizione che il suo recital sia trasmesso nelle ore con il massimo ascolto. “Attraverso questi due concerti mensili – le dice il direttore – tu diventerai la voce del Cairo in Egitto, la voce dell’Egitto nel mondo arabo, la voce degli arabi ovunque”. Nel 1934 lei è l’artista più trasmessa dalla Radio Nazionale Egiziana. La gente, per ascoltarla, si raduna nei locali che diventano sale da concerto. [Y. Saïah-Baudis, p. 110].

Nel 1936 il re muore. Eppure, il suo popolo non piange. Stanco dell’instabilità del regime, indebolito dalla povertà, spera nel suo successore, Faruq. È giovane e si dice che sia un riformatore, che voglia cambiare le cose e ridare potere al Wafd. Il popolo lo incoraggia con il voto. Così il Wafd raccoglie una larga maggioranza in Parlamento. Mustafa el-Nahhas Pacha ridiventa Primo Ministro e si torna a sognare l’indipendenza. Gli inglesi continuano a mantenere in vigore la difesa militare del Paese e la protezione del canale di Suez, ma non comandano più l’esercito egiziano e non controllano più le società straniere.

Mustafa el-Nahhas Pacha

Oum Kalsoum non ama la nobiltà, ma non può che cantare per il nuovo re. Come il suo popolo lei sogna un Paese totalmente libero per ogni uomo e per ogni donna. Per lui canta Il regno è nelle tue mani un poema di Ahmed Chawki, rendendo così omaggio al Victor Hugo dell’Egitto e presentando i suoi onori al re.

“Tu incarni l’immagine di tutto un popolo che lotta contro la dominazione straniera – le dice Fritz Kramp che le propone di essere l’eroina di un suo film –. Il tuo pubblico si aspetta questo. Nel film Nachid el Amal tu sarai una giovane donna che lavora, lotta per il suo Paese, conservando le sue radici e i veri valori grazie ai canti tradizionali”. Oum Kalsoum si lascia convincere: “L’arte non è solo creazione di armonie – dice – deve veicolare un ideale”. La gente ha bisogno che lei regali loro un sogno: “Le canzoni accendono i cuori e riattivano le menti – le dice Kramp –. Grazie alle canzoni, i guerrieri conquistano, i titani vengono domati, i ricchi sono più ricchi e i poveri più felici”. Perché le cantanti hanno un ruolo importante: possono aiutare il loro popolo a ritrovare l’orgoglio di una patria libera e indipendente [Y. Saïah-Baudis, pp. 129-130]. [https://www.youtube.com/watch?v=rQy-GA-Lz5U]

Passando anche attraverso una riforma della musica: trasformare l’architettura antica e rigida della musica araba in un’opera moderna che parli agli uomini del tempo.

Alla fine del 1939 nel Wafd avviene una divisione e si crea un nuovo partito. Mustafa el-Nahhas Pacha non è più in carica, e si teme una dominazione straniera che sta cercando di imporsi nel Paese. Come emblema porta la camicia nera.

A settembre 1939 l’Egitto rompe le relazioni diplomatiche con l’Inghilterra che è appena entrata in guerra. Non è più una nazione colonizzante, ma gli inglesi riprendono il controllo militare. La guerra degli altri si installa dentro il Paese e le truppe armate sono dappertutto. Gli italiani attraversano il confine e si scontrano con i britannici. Con la guerra in casa, la paura regna sovrana. I teatri chiudono, i pochi spettacoli attirano meno gente. Solo Oum Kalsoum continua a riempire le sale. La radio diffonde la sua voce che la gente vuole ascoltare, aumenta a ogni concerto.

Ma la situazione politica ed economica degenera e gli inglesi reinsediano Mustafa el-Nahhas Pacha al seggio di Primo Ministro perché ristabilisca l’ordine. Il giovane re Fouad, che si diceva fosse riformatore, è sopraffatto, il partito nazionalista è compromesso e collabora con i britannici. Addio ai sogni di riforme e di libertà. La speranza sopravvive solo negli intellettuali che pensano ancora sia possibile costruire un sistema ideale. I poeti parlano dell’Egitto nelle loro poesie, Oum Kalsoum canta Dio per scacciare il torpore degli spiriti.

E il poema Chiedete al mio cuore, sempre di Chawki, cantato da lei, si trasforma in un inno di lotta. Lei “diventa regale, diventa la sacerdotessa. Indossa ai suoi concerti la Stella del Nilo. È la prima volta che una donna riceve una decorazione così alta” [Y. Saïah-Baudis, p.148].

Vista la sua fama e il grande successo, nel 1947 viene scelta come protagonista del film Fatima.

La fine della guerra è anche la fine della dominazione inglese nel mondo arabo. Il movimento nazionalista comincia a sollevare il problema della completa indipendenza dalla Gran Bretagna. Ne consegue l’organizzazione di un’opposizione decisa al regime dispotico e corrotto del re Faruq, finché nel luglio del 1952, con un colpo di Stato diretto dal generale Muhammad Nagīb e dal colonnello Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, il sovrano viene dichiarato decaduto e nel 1953 lo stesso Nagīb viene proclamato presidente della repubblica. È un momento di grande esaltazione popolare, vissuto come lotta contro la tirannide di un governo straniero e occupante. Gli ufficiali del Consiglio della Rivoluzione gridano alla folla che ha invaso le strade del Cairo che l’invasore non detterà più legge in Egitto, il contadino non lavorerà più per il padrone fannullone, l’operaio avrà maggiori diritti, il Paese sarà finalmente libero.

Rami scrive per Oum Kalsoum una canzone che glorifica questa rivoluzione, La voce della patria: l’Egitto che è nel mio cuore e sulle mie labbra, lo adoro con tutta l’anima e il sangue…

“Adoro la vostra voce – le dice lo stesso Nasser –. Vorrei che continuaste i vostri sforzi perché siete il legame che ci unisce al popolo e questo non deve essere spezzato”. Allora lei canterà per la sua gente, sarà la voce di tutti gli arabi [Y. Saïah-Baudis, p178]. Voce degli arabi è la nuova radio, così potente da raggiungere Baghdad e Casablanca, fino a Damasco, che fa risuonare la sua voce. E con essa la rivoluzione, che parla alla gente in ogni luogo e momento, superando confini, attraversando regimi, da fratello a fratello. Non più egiziani, ma arabi.

Oum Kaltoum canta Il ritiro durante l’evacuazione degli inglesi per glorificare il coraggio di chi ha combattuto contro gli invasori. Canta Ya Gamal Ya Methal El Wataneya per Nasser, esempio di patriottismo. Dopo il discorso in cui egli annuncia la sua decisione di nazionalizzare la Compagnia del Canale di Suez, la canzone, che celebra la vittoria, diventerà un inno nazionale: Grazie a Dio, è da tanto, o mia arma/ Mi sei mancata nella battaglia/ Parla e di’ che sei in ascolto… [Nassib, p. 191].

“Il nuovo Egitto – dirà Nasser – sta nascendo per distribuire le ricchezze a tutti. Le donne, uguali agli uomini nella nuova costituzione, sono chiamate a collaborare per lo sforzo comune, a loro è accordato il diritto di voto” [Y. Saïah-Baudis, p.179].

La voce di Oum Kalsoum si innalza su tutti i paesi arabi ed è come una grande preghiera collettiva.

Che dall’Egitto si propaga ovunque. Alla serata commemorativa per la morte di Kennedy la “Stella d’Oriente” verrà invitata a cantare Tu sei la mia vita.

 

Il Time e l’Observer di lei diranno che è la catalizzatrice del mondo arabo, capace di radunare attorno a una radio milioni di persone. Si esibirà a Parigi, nel più importante teatro della città, l’Olympia. Il suo cachet è il più alto di tutta la storia del locale. La stampa la paragonerà a Maria Callas, a Edith Piaf rimarcando la sua forza nell’essere la voce che parla al popolo.

Come fa in L’amore per la nazione: Torneremo al mattino dopo una notte buia / Torneremo nelle pianure vicino al deserto, come il Profeta.

Amore per la patria, amore per la libertà, amore terreno, amore spirituale, l’amore in tante declinazioni attraversa le sue canzoni. Come in Quale amore.

“Ho sentito nella vostra voce – le scriverà Charles de Gaulle – le vibrazioni del mio cuore e del cuore di tutti i francesi” [Y. Saïah-Baudis, p. 249].

La rivoluzione, intanto, mostra le sue crepe: il grande decollo dell’Egitto ancora non si vede, la gente è esasperata dagli slogan e dalle mancate promesse. Gli scioperi degli operai si moltiplicano, come le manifestazioni degli studenti. La voce di Oum Kalsoum è lì a cullare tutto quel malessere, il sogno infranto dell’unità araba. La guerra dei sei giorni, 5-10 giugno 1967, è un disastro di morti e feriti, di città rase al suolo. Di fronte all’accusa che alcuni giornali le lanciano di essere stata l’oppio dei popoli, Oum Kalsoum alza la testa: viaggia paese per paese, città dopo città, ovunque c’è stata la sconfitta, a cantare la speranza per la sua gente. E dove va organizza collette, guida gruppi di donne a soccorrere i soldati feriti, porta conforto, lancia messaggi di emancipazione: “Toglietevi il velo, mie sorelle, noi siamo la forza produttrice della nostra società, noi possiamo tenere la testa alta e nuda” [Y. Saïah-Baudis, p. 271].

La morte di Nasser è un colpo terribile: “L’eroe è morto – dirà – e l’eroismo è finito.  Io canterò per lui alla radio per onorare un’ultima volta la sua memoria” [Y. Saïah-Baudis, p. 267]. Canterà Ya Gamal Ya Methal El Wataneya due giorni dopo la nomina del nuovo raïs, Anouar ed Sadate.

In questi anni si dedica a diverse tournée nei Paesi arabi in Libia, in Libano. É a Tunisi, in Kuwait Ovunque canta: Siamo dei fedayn/ Moriremo piuttosto che cedere/ Nessuna tregua nella lotta /Più petrolio e più canale/ Nemico mio, non vedrai il mio mare/ Né la mia terra, né il mio cielo/ Siamo dei fedayn [Nassib, p. 230].

La sera in cui viene data notizia della grave crisi renale che l’ha colpita tutti pregano perché lei possa ritrovare la salute. Il Presidente Sadate dispone che un aereo sia pronto a decollare per andare alla ricerca dei migliori specialisti. I vecchi paesani di Ṭamāy piangono e chiedono di poterla vedere. Oum Kalsoum muore il 3 febbraio 1975. Il marito, il medico Hassan Hafnaoui, lo annuncia pubblicamente. Dappertutto si levano voci di sconforto, ma anche di speranza: “Lei vivrà nel cuore di noi tutti – dicono -. Sarà presente in noi grazie alla sua voce. Lei sarà nel Nilo, nelle piramidi, nella bandiera della nazione. Lei sarà ovunque” [Y. Saïah-Baudis, p. 287]. Una delegazione dal mondo intero arriva a celebrare il suo funerale, una folla impressionante accoglie il feretro, con gli onori che si riservano a un capo politico. Il poeta Rami scriverà la sua elegia: Figlia dell’Egitto, simbolo della sua fedeltà, il dono più caro tu l’hai fatto al Delta.

Di lei resta certamente la grande opera di rinnovamento della società, della cultura e della musica del suo Paese: “Oltre a interpretare le forme più rigorose della canzone in arabo letterario, la qasida derivata dai modelli dei grandi poeti classici dell’Islam – scrive Paolo Scarnecchia – Oum si è dedicata a generi innovativi più agili, generalmente in arabo colloquiale, come dawr, a carattere semi-improvvisativo, taqtuqa, considerata come la canzone leggera tra le due guerre, e munulug, una sorta di canzone narrativa nella quale la musica aderiva liberamente al significato del testo privilegiando l’effetto drammatico” [Nassib, p. 257].

Si racconta che ai suoi concerti – lei cantava poemi epico-lirici che duravano tra i 30 e i 60 minuti con una lunga introduzione strumentale – il pubblico restasse così affascinato dal timbro della sua voce, da cadere in un delirio di rapimento estatico. E che le notizie politiche importanti fossero mandate in radiodiffusione prima dei suoi concerti.

Del resto, lei, la “Sfinge eterna”, la “Stella dell’Oriente”, Oum Kalsoum, signora senza figli, ma madre di tutto l’Egitto, ha levato il suo canto in tutte le regioni d’Egitto e in tutto il mondo arabo. “Ha cantato per celebrare la fusione tra Siria ed Egitto, per il crollo della monarchia irachena, per la sottratta Palestina e per le donne libiche. Ha cantato per gli uomini che lavoravano negli sperduti cantieri del deserto, per i contadini divenuti operai, costruttori e soldati. Ognuno poteva in quella voce sentire la propria sofferenza, il proprio passato, il proprio presente, la propria patria. Ognuno poteva, in quella voce, sentire se stesso” [Anwar Chadli, La cantante Oum Kalthoum: “Stella dell’Oriente”, arabi.it].

Il documentario Oum Kalthoum l’astre de l’Orient

Il documentario Oum Kalthoum ou le règne d’une grande diva

La biografa Ysabel Saïah-Baudis racconta Oum Kalsoum

 

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli