Francesco Di Bella

Detenuti, tossicodipendenti, precari, chi, in altre parole, vive ai margini. È questa l’umanità che con grande potenza emotiva raccontano i 24 Grana, il gruppo musicale della scena underground di Napoli, presto divenuti simbolo del cantautorato di protesta intimista, di moti interiori esistenziali e debolezze, tra dub e rock, reggae ed elettronica in un ritratto senza tempo di vite della città, come nel canto disperato della repressione di Kanzone su un detenuto politico o di Patrie Galere, il cui video è stato girato nell’ex reparto criminale dell’ospedale psichiatrico di Volterra, il più grande in Italia. Uno stile che li ha portati a collaborare con l’importante esponente dell’alternative rock statunitense, Steve Albini, nella produzione dell’album La stessa barca del 2011.

Moneta di rame ai tempi di Ferdinando I d’Aragona

Gli ultimi, si diceva, come quella moneta di scarso valore adoperata durante il regno di Ferdinando I d’Aragona da cui hanno preso il nome, che ne sottolinea tanto il legame con la tradizione artistica partenopea quanto la vicinanza a una condizione sociale e dell’anima che al denaro dà poco valore.

Lorenzo Orsetti “Orso”, lottava contro lo Stato Islamico. È stato ucciso in Kurdistan

E poi la partecipazione all’album collettivo Her dem amade me – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti, dedicato a Lorenzo Orsetti Orso, attivista militante morto in Kurdistan nel 2019, uno dei simboli della resistenza contro lo Stato Islamico per la liberazione dei popoli del Nord Est della Siria, i cui proventi sono devoluti al centro Alan’s Rainbow di Kobane, per dotarlo di un ambulatorio pediatrico a lui intitolato.

Abbiamo intervistato Francesco Di Bella, voce e chitarra del gruppo, oggi, dopo il loro scioglimento, profondo cantautore che continua ad esplorare l’animo umano.

Tra le molteplici sfaccettature umane, anche antifasciste, rivisitando Canto allo Scugnizzo di Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò che ci riporta alle Quattro Giornate di Napoli del 1943 e Orso, dedicata a Lorenzo Orsetti.

Il momento della Liberazione e l’antifascismo in particolare sono sempre stati un nostro interesse importante. La prima è una canzone che racconta quasi come se fosse un documento diretto, anche se in realtà è postumo, era una musica troppo appetibile per non essere inserita nel nostro repertorio. Come tante cose belle, tanta musica che a Napoli sono lì, in attesa di essere prese, l’abbiamo raccolta e declinata a nostro modo. La seconda commemora Lorenzo. Ricordarlo significa continuare la sua lotta in favore della giustizia sociale.

Come gruppo e come cantautore, avete sempre veicolato istanze politiche provenienti dal basso. Qual è, secondo lei, il legame tra musica e movimenti sociali?

Siamo nati in un incrocio magico di musica e politica che è stato quel periodo degli anni Novanta in cui le istanze che raccoglievamo abbiamo cercato di metterle in musica. Sicuramente essere nati all’interno dei movimenti studenteschi, nei centri sociali, nelle università, ha influenzato molto la mia lente e la mia prospettiva sulle cose. Quando dico la mia lente, intendo dire dove sono andato a cercare le storie da raccontare e l’ho fatto nelle periferie delle città dove ci sono fabbriche occupate o dismesse, il precariato, l’abbandono, sacche di disagio di ogni tipo. Oggi può sembrare scontato parlare di periferia nelle canzoni, ma 25 anni fa non lo era. Erano dei topic importanti da divulgare e questo grazie a informazioni raccolte sul campo, durante i cortei, le assemblee e in tutti quei momenti di collettività che nutrivano sia l’artista che l’uomo.

Negli anni avete raccontato e denunciato la vita nelle carceri. Oggi sono ancora più disumane con sovraffollamento e suicidi drammaticamente in aumento.

È un piccolo segnale che avevamo colto già un po’ di anni fa grazie alle piccole fanzine che circolavano all’interno del movimento, delle assemblee in determinati centri sociali. C’era una spia d’allarme che oggi si sta rivelando una piaga. Le condizioni di trent’anni fa non erano diverse è cambiato il numero di detenuti che oggi sono in crescita. L’aspetto peggiore secondo me è la disumanizzazione che avvolge lo spirito in generale. Anche le immagini che vediamo tutti i giorni ci rendono indifferenti. Abbiamo la presunzione di credere che a casa nostra non possa succedere e crediamo a chi ce lo racconta, mentre invece non è così. Basta vedere come vengono trattati i migranti alla prima accoglienza.

Nella canzone Aziz racconta la prospettiva di un bambino migrante che “non ha il coraggio di guardare negli occhi questo Paese che non sente”. Cosa pensa delle politiche migratorie in Italia e in Europa?

Vivo in un quartiere dove c’è una grande umanità, ci conosciamo tra vicini di casa e vedo passare i primi arrivati, so chi sono, cosa fanno. Tenderei quindi a dire di non preoccuparsi di loro ma di chi organizza il loro traffico e dei modi in cui vengono trattati, dei traumi che queste persone si portano. Il pericolo non sono loro.

“Ai più che hanno mostrato indifferenza, sarò brevissimo nel ricordare che non può esistere una nuova fratellanza senza dividere la torta da mangiare. Non voglio un mondo che nasconda le miserie della gente, ma che vuol sembrare bello”, scrive Di Bella in L’Attenzione, un testo che miscela politica e amore e che mostra con forza e urgenza il suo sogno di fratellanza.

Mariangela Di Marco, giornalista