“Ho messo ad asciugare i calzini sulla tv”, scrive alla moglie Tony Vallelonga, detto Lip, nel film Green book di Peter Farrelly, vincitore dell’Oscar 2019. La frase prosaica del buttafuori divenuto autista di un pianista afroamericano per un lungo viaggio nel sud degli Stati Uniti ne inquadra in un lampo il carattere e la fisionomia. Altro lampo è lo scambio di occhiate fra lui e il domestico indiano del musicista. Sono di fronte ai bagagli da caricare sull’auto. L’indiano lancia uno sguardo di comando: (raccatta le valigie !) e l’altro gli risponde con altra occhiata decisa (fallo tu!). Basterebbero questi due brevi momenti per qualificare l’opera del regista ben più di una commedia spiritosa. Così come il titolo riferito alla guida per viaggiatori con l’elenco dei locali riservati ai neri. Riassume tutta la discriminazione del Sud. I flash indovinati, insieme ad altre significative sequenze e fotogrammi, costruiscono un racconto sociologico del razzismo a 300 gradi che conferisce al percorso on the road un rimando allegorico alle problematiche di oggi. Siamo nell’America degli anni 60 ma pensiamo a una coda che si trascina ancora, coi sovranisti, coi Ku klux Klan, gli antisemiti, il populismo nazionalista dell’america first di Trump e con la disuguaglianza diffusa in tutto il pianeta. I protagonisti, il pianista Don Shirley (Mahershala Ali) e il buttafuori (Viggo Mortensen) di origine calabrese, sono coinvolti in una corvée impegnativa, l’uno come cliente, l’altro come conducente dell’auto. Ne nasce una storia che passa dalla chiusura iniziale all’amicizia. È una storia vera, ispirata alla vicenda di Tony Lip, pseudonimo di Frank Anthony Vallelonga, padre di Nick Vallelonga, uno degli sceneggiatori del film, e di Donald Shirley, nato a Pensacola, Florida, pianista e compositore noto fin dal 1945 per i suoi concerti classici e jazzistici.

I due compagni di viaggio sono lontani per cultura, modi, abitudini. Distaccato e sdegnoso l’afroamericano, rumoroso e ciarliero il buttafuori di origini italiane che ha perduto il lavoro per la chiusura del locale e si è offerto come conducente. Immersi in una panoramica che tocca luoghi rischiosi e persone che non hanno ancora digerito la fine della discriminazione razzista, devono superare anche le reciproche diversità e pregiudizi. Nelle soste in paesi del profondo sud, dove per contratto deve presentare i suoi concerti di élite, il musicista, aduso agli agi newyorkesi, dovrà affrontare la logica della segregazione e degli stereotipi. Pernottamenti in squallidi alberghi per gente di colore, insulti e provocazioni di buzzurri da far west nei pub e dispregio di gestori di ristoranti “bene”. Malgrado il self control, Shirley deve accusare il colpo. Il suo difensore è proprio quel plebeo dal linguaggio dialettale, a cui consiglia di ridurre il nome Vallelonga in Valle. Sarebbe più leggibile per i ricconi provinciali ma Tony, fiero dei suoi natali, respinge la proposta. Sarà cafone ma è anche orgoglioso.

Il regista Peter Farrelly

È un uomo pratico, sa risolvere situazioni pericolose. Sa come agire in ambienti mafiosi e violenti, coi poliziotti corruttibili, usando sia le maniere duttili che la forza. Libretto verde in mano (consegnatagli dagli organizzatori del tour) scova gli alloggi trasandati, aperti ai neri dove nessuno farà storie. Lui, il dipendente, può dormire ovunque mentre Don dovrà sottostare alle infami regole dei bianchi.

Cosa farebbe il pianista senza di lui in quel Sud ostile e nemico? Perciò lo vediamo a poco a poco spogliarsi della sua impettita superiorità, mentre i circoli eleganti dell’Indiana, Iowa, Kentucky, Alabama lo accolgono più per vanità che per la sua arte.

In realtà egli è un uomo solo che spesso si rifugia nell’alcool e ne paga le spese. Ma Tony lo salva. Scoprendo la sua omosessualità, dopo che è colto sul fatto accanto a un partner in una piscina, non lo giudica, ma cerca di aiutarlo. Sa di essere per altri motivi “nella stessa barca”, si considera più “nero dei neri”. Non lo chiamano forse “mangia spaghetti”? Il razzismo ha molteplici bersagli.

Tony capisce i drammi della negritudine e dell’omofobia, ma ha ben presente anche quelli di classe. Contesta a Don i suoi privilegi a New York, il lussuoso appartamento sopra la Carnegie Hall mentre egli è costretto ad arrabattarsi per la famiglia. È colpito però dal suo talento artistico e lo segue incantato al piano. Don gli ha spiegato lo scopo della sua tournée nel sud: dimostrare la grandezza di un interprete nero nella musica classica, Chopin, Beethoven. Non accetta di essere relegato nel jazz.

La comprensione tra i due fa passi avanti. Don introduce un po’ di poesia nelle lettere di Tony alla moglie Dolores (Linda Cardellini). Gli detta frasi toccanti. Tony lo ricambia cercando di aprirlo a nuove esperienze. In una scena esilarante si batte per vincere la sua riluttanza verso il pollo fritto del Kentucky.

Farrelly può contare su due splendidi attori. Mahershala (Oscar 2019 per il migliore attore) e Mortensen sono grandi interpreti doppiati bene in italiano da Pino Insegno e Alberto Angrisano. Tutt’uno con le parti, ci offrono un’immagine verosimile dell’impatto fra verve meridionale e gelida raffinatezza. I due vengono entrambi da esperienze movimentate. Il primo nato a Oakland in California da genitori divorziati, padre ballerino e performer, madre, ministra di culto battista, trascorre un’infanzia difficile. Poi diviene giocatore di basket e in seguito sceglie la recitazione e il teatro. Il debutto in tv è una nuova tappa seguita dal cinema, dalla notorietà con il primo Oscar in Moonlight (2016). La sua teoria è: fare le cose una alla volta. Verranno tutte bene.

L’altro nasce a New York da genitori giovanissimi, madre americana e padre danese che poi si separano, e trascorre la prima infanzia fra il Venezuela, la Danimarca e l’Argentina. Qui impara l’italiano da parenti e amici. Il ricordo dei dialetti gli servirà in Green Book. È anche pittore, poeta, fotografo musicista, editore. Poliglotta, parla inglese, spagnolo, danese, francese. In Danimarca ha fatto il camionista, il cameriere, l’ambulante.

Eccoci al finale. Il solitario Don esce dal suo palazzo e si presenta a casa di Tony nel Bronx con la bottiglia natalizia. La scena in mezzo alla modesta e chiassosa famiglia può sembrare buonista, ma è un segno emblematico. Il mondo di oggi ha tanto bisogno di umanità e di conoscenza, contro l’ignoranza e i preconcetti che sono alla base del razzismo. Il film accompagna lo spettatore verso il punto d’arrivo della tolleranza e fraternità con leggerezza sorridendo e pensando: ecco il merito del film.

Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice