La Villa del “Fodo” (Walter Billotta 2014) da http://tramedilunigiana.it/it/risorsa/ monumento/stamperia-clandestina-di-redarca)

Ai primi di novembre del 1943 il Clnp (comitato di liberazione nazionale provinciale), costituito da circa un mese nella provincia della Spezia, teneva una importante riunione dove venne a profilarsi la IV Zona Operativa. Comprendeva nel territorio ligure tutta la parte costiera con la statale Aurelia e il passo del Bracco sino a Lavagna, a sud, come confine, il territorio della città di Carrara, tutta la zona montagnosa interna della Lunigiana sino ai passi di Centocroci e della Cisa per sconfinare sul versante reggiano e quello parmense verso la valle del Ceno e del Taro.

Nell’importante riunione i rappresentati dei partiti trovarono l’accordo per porsi come obiettivo immediato il coordinamento e il rafforzamento militare delle bande partigiane sparse nelle varie montagne del territorio, con una prima fase che prevedeva il sabotaggio alle linee di comunicazione così come colpi di mano contro i reparti periferici tedeschi e fascisti per approvvigionarsi di armi e paralizzare le iniziative volte al reclutamento forzato dei giovani.

Nello stesso incontro si decise di incaricare i comunisti, forti delle loro precedenti esperienze, di organizzare al più presto anche la stampa clandestina: negli anni Trenta, i corrieri clandestini del Pcd’I avevano attraversato in varie riprese la frontiera francese per fornire i clichés utilizzati per la stampa clandestina nelle campagne dello spezzino, nel comune di Arcola e a Lerici, dove un piccolo gruppo di tecnici si era esercitato per ben quattro anni, dal 1929 al 1933, con piccole tipografie clandestine munite di ciclostile manuale e macchine da scrivere.

Quasi tutti questi uomini erano stati poi catturati e processati dal Tribunale Speciale pagando con lunghi anni di carcere la loro attività.

La responsabilità dell’operazione stampa verrà quindi presa in carico dallo specialista della stampa antifascista collaudata del lontano 1930: Tommaso Lupi. Primi passi furono la ricerca di un sito d’impianto, la costituzione di una tipografia che doveva servire al Clnp e anche una serie di punti stampa ausiliari ed autonomi in varie località della Regione.

Poiché in quel momento il Pcd’I non disponeva di molto denaro, il contante per l’acquisto di una macchina tipografica professionale fu trovato in modo abbastanza originale, con una colletta a base di giri di poker. Vennero così in breve raccolte oltre seimila lire, consegnate al professor Ennio Carando, insegnante di filosofia al liceo della Spezia. Questi poi lo darà ad Anelito Barontini, già all’epoca uno dei dirigenti del Pcd’I, e a Giovanni Albertini, responsabile dei giovani comunisti, che si occuparono dell’acquisto. La scelta cadde su una grossa macchina dismessa dalla tipografia Zappa collocata in un cortile, in pieno centro cittadino alla Spezia. L’acquisto della macchina passò inosservato, reputato materiale di scarto destinato alla fusione per il recupero del ferro che scarseggiava. Per l’installazione della tipografia venne scelta Villa Volpara, conosciuta dalla popolazione locale come Villa del “Fodo”, un edificio secentesco isolato e disabitato, sul monte Branzi, nella località della Rocchetta di Lerici, messo a disposizione da un facoltoso liberale antifascista.

La macchina tipografica, pesante ben 7,5 quintali, fu smontata in città, celata sotto il fieno di un carro e tirata da un robusto cavallo per i tornanti che conducevano a Lerici su in alto fin nella villa. Colà, per una maggior sicurezza, fu nascosta dentro una grossa cisterna sotterranea posta nel giardino, rimontata con tanto di cassette contenenti i caratteri e una lampada ad acetilene per illuminare l’improvvisato bunker partigiano.

Un cunicolo scavato sottoterra, e ben camuffato, serviva da uscita di sicurezza e da via di fuga, mentre fuori un patriota di guardia durante le operazioni di stampa, a pedalina e dunque abbastanza rumorose, in caso di bisogno avrebbe dato l’allarme battendo con un bastone sul soffitto della cisterna. Infine, poiché al collaudo si era riscontrato un malfunzionamento e la mancanza di alcuni pezzi della macchina, i nostri e tra questi in particolare Anselmo Corsini, provetti meccanici figli delle industrie del golfo, provvedevano alla costruzione dei pezzi mancanti e alle riparazioni necessarie, tanto da renderla perfettamente efficiente in pochi giorni.

Oltre a Tommaso Lupi, vecchia bandiera antifascista, condannato nel 1934 a sei anni di reclusione e confino dal Tribunale Speciale, la squadra della tipografia era composta da altri quattro coraggiosi patrioti lericini: il già ricordato Corsini, Argilio Bertella, Alfredo Ghidoni e Armando Isoppo – che in quei lunghi e pericolosi mesi avrebbero provveduto a svolgere un lavoro complesso di redazione e vigilanza, a reperire le risme di carta tra grandi difficoltà e precauzioni, alle operazioni di stampa e alla diffusione degli stampati senza che mai si verificasse una smagliatura nella rete di protezione erette attorno alla tipografia – e dalle giovani donne staffette che, coraggiosamente e capillarmente, portarono la stampa in ogni angolo delle provincia, facendola arrivare fin sui monti alle formazioni partigiane.

Sorgeva così la tipografia clandestina. Stamperà sino all’agosto del 1944 migliaia di copie de l’Unità, dei giornali partigiani il Combattente e il Garibaldino, appelli del Comitato di Liberazione antifascista provinciale e, poiché Lupi conosceva anche la lingua tedesca, esortazioni rivolte ai soldati tedeschi perché disertassero la guerra di Hitler: i risultati furono concreti.

In quel novembre ’43, mentre iniziavano i sabotaggi alle linee telefoniche e gli attentati ai caporioni fascisti, il Clnp provvedeva alla stampa di appelli da affiggere sopra i bandi militari della Rsi nei quali si invitavano i giovani di leva a combattere nella Resistenza: “Non presentatevi, raggiungete i partigiani”, “Servire i tedeschi è tradire l’Italia”, ecc.

La tipografia clandestina di Lerici fu allora il cuore della stampa spezzina con comunicati che si diffusero in particolare attraverso le fabbriche della città: l’Oto Melara, i cantieri navali a cominciare dall’Ansaldo, la Termomeccanica, l’Arsenale Militare e tutte le officine del golfo. Diverrà il volano che darà il via alla preparazione del grande e riuscito sciopero generale insurrezionale antifascista che, il 1° e il 2 marzo 1944, interessò tutta la provincia, sfidando le minacce e i mitra impotenti delle autorità nazifasciste.

L’importante opera di stampa andò dunque avanti per lunghi mesi e malgrado gli sforzi dei fascisti, le botte e le torture inferte a tanta gente, le autorità repubblichine non riuscirono mai a scoprire o catturare gli artefici della redazione, i responsabili della rete di distribuzione dei volantini, dei manifesti e dei giornali che, in modo clamoroso, informavano costantemente le popolazioni e incoraggiavano alla Resistenza.

Il 10 settembre 1944 venne il momento di abbandonare la stamperia, ma le cause non furono dovute a informatori o alla scoperta da parte dei fascisti. Il comando tedesco della piazza aveva deciso di rafforzare le difese antiaeree e installare una batteria sulle colline sovrastanti Lerici. La scelta cadde sul monte Branzi. I tedeschi vi si recarono per requisire la villa del “Fodo”, ove alloggiare il comando della batteria. Quel giorno al lavoro nella tipografia erano presenti Lupi, di guardia, e Bertella giù nella cisterna intento a stampare. Malgrado la drammaticità del momento, Lupi riuscì ad avvertire il compagno, e qualificandosi poi alla pattuglia come sfollato guidò i tedeschi a un giro d’ispezione nella villa. Questi, soddisfatti, preannunciarono la loro venuta e l’occupazione in tempi brevi.

Ci fu appena il tempo di mettere in salvo tutta la redazione: dal giorno successivo, con la sorpresa e la scoperta della tipografia, i nazifascisti erano infatti ormai in allarme. Ma nonostante i controlli, i posti di blocco e le ispezioni, i nostri riuscirono a filtrare tra le maglie del nemico.

Lupi, Bertella, Isoppo, Corsini si gettarono alla macchia protetti dalla rete antifascista, pronti a salire sui monti.

In montagna c’era già Ghidoni che, sospettato di essere un militante comunista, mesi prima era stato arrestato e torturato: malgrado ciò non aveva parlato e, una volta rilasciato, aveva subito raggiunto i partigiani in montagna ove era stato eletto commissario politico della brigata “Cento Croci”.

Tommaso Lupi, tempo dopo, sarà proposto dal Clnp alla massima carica di commissario politico delle formazioni partigiane della IV Zona Operativa; Isoppo diverrà commissario di brigata della “Gramsci”, Argilio Bertella (Argì) sarà responsabile dei campi di lancio sul monte Picchiara, dove venivano paracadutate armi, cibo e vestiario dagli Alleati; Anselmo Corsini, responsabile dei contatti tra la tipografia e i partigiani in città e sui monti, in montagna entrerà nel Comitato federale bis del suo partito.

Nel dopoguerra Lupi e Isoppo furono sindaci di Lerici, Argì vicesindaco.

La macchina tipografica, distrutta dai tedeschi, purtroppo non poté essere recuperata, fu un peccato perché era una forte e simbolica testimonianza di un’esperienza irripetibile in un momento drammatico della vita nazionale, e importante sarebbe stato celebrarne la memoria, magari con un monumento o un sito museale.

Un’altra grave perdita fu quella dell’archivio del materiale stampato: nascosto nel foro di un muro a secco, andò tutto perduto a causa delle piogge e dell’umidità. Si è riusciti a recuperare alcune copie di una parte del materiale da coloro che avevano rischiato per conservarle; altre, specie quelle degli scioperi del marzo 1944 sono giunte sino a noi dall’Archivio di Stato spezzino; infine alcune dall’archivio personale di Tommaso Lupi.

Per debito di storia é doveroso ricordare un’altra piccola tipografia a ciclostile, installata nel quartiere del Canaletto alla Spezia e l’attività di alcune donne patriote del Fronte della Gioventù che ad Arcola, Vezzano e Sarzana, durante i mesi dell’occupazione rischiarono la vita battendo su macchine da scrivere comunicati per le popolazioni e per la Resistenza.

Al Canaletto, quartiere operaio, la tipografia era collocata nel negozio di zoccoli di Faustino Gelli, artigiano di origine toscana iscritto al Pci clandestino, e dei suoi figli: vi uscirono comunicati destinati alla città, abbandonati spesso sui sedili dei tram, nei locali pubblici; appelli contro la chiamata alle armi dei giovani da parte della repubblica di Salò, appelli ai lavoratori e così via. Dopo gli scioperi del marzo, Gelli verrà individuato, imprigionato e orribilmente torturato: per i postumi del supplizio subito morirà alcuni mesi dopo la Liberazione.

Dunque un ricordo doveroso, una gratitudine imperitura va a tutti questi uomini e donne del nostro levante ligure che si trovarono ad essere attivi protagonisti nella lotta per la libertà nella crisi più paurosa dell’Italia post-unitaria, rappresentando l’avanguardia delle forze sociali e politiche del Paese nella lotta democratica e antifascista. Una pagina di storia per la quale c’è ancora molto da studiare e da scrivere.

Antonio Bianchi, Comitato provinciale Anpi La Spezia