In certe giornate autunnali le nebbie avvolgono il paesaggio e anche ciò che è conosciuto ci diventa impraticabile e non riusciamo a vedere a un palmo dal naso. Bisogna attendere che la nebbia si diradi, per effetto di condizioni più favorevoli, per poter avere la visione complessiva di ciò che ci circonda.

Lo stesso effetto chiarificatore assume la documentazione raccolta e pubblicata da Zdravko Likar sulla “Kobariška republika” (Repubblica di Caporetto). La Kobariška republika è un evento di grande rilievo per il Litorale sloveno e, oltre all’organizzazione militare, ne costituì elemento essenziale l’amministrazione civile, l’istituzione di scuole e ospedali. Fondamentale fu inoltre l’appoggio dato alla nascente Resistenza friulana.

Si tratta di un fatto sconosciuto al pubblico italiano, se non a livello locale e/o a singoli cultori, sul quale non si è mai voluto dare l’importanza che meriterebbe nel panorama resistenziale italiano. Le ragioni sono molteplici e da ricercare nei rapporti volutamente mantenuti tesi dal Governo centrale italiano, nel dopoguerra, sulla questione del “confine orientale”, argomento da spendere, e ancora ai giorni nostri accade, per motivi politico-ideologici; su un altro fronte a causa delle “gelosie” riguardanti la primogenitura del fenomeno resistenziale e ancora per motivazioni di carattere nazionalistico.

Fatti questi che, nell’ottica anche del sempre più stretto rapporto con i compagni sloveni dell’ZZB-NOB (l’Associazione dei Partigiani sloveni), le Anpi locali intendono divulgare al più ampio pubblico del resto d’Italia attivandosi per la traduzione dallo sloveno e per la pubblicazione di un libro di Zdavko Likar in Italia.

Vediamo, in poco spazio, gli elementi fondamentali che rendono questa storia interessante per il pubblico italiano e che determinano una sorta di rivoluzione, in senso storiografico, per quanto riguarda la storia del Movimento di Liberazione.

Innanzitutto dobbiamo fare una doverosa premessa riguardo al contesto spazio-temporale che dà rilievo alla vicenda della Kobariška republika.

All’indomani della vittoria della Triplice Intesa, il Regno d’Italia, dopo aver sacrificato sui fronti intere generazioni di italiani (in massima parte contadini) si apprestava a incassare il prezzo del proprio intervento in guerra, ribaltando le precedenti alleanze, spostando i propri confini nord orientali a nord annettendo il sud Tirolo (trattato di Saint-Germain en Laye, 10 settembre 1919) e a est (Trattato di Rapallo, 12 novembre 1920).

Queste due grandi aree geografiche erano – e sono – in gran parte popolate da popolazioni di lingua tedesca, slovena, croata.

Una delle presentazioni del libro sulla “Kobariska republica”; a sinistra il giornalista e storico della minoranza slovena in Italia Giorgio Banchig,  a destra l’autore della ricerca e del libro, l’ex Prefetto di Tolmin (SLO) e storico Zdravko Likar

L’opera “civilizzatrice” italiana non si fece attendere imponendo da subito l’abolizione delle scuole in lingua non italiana, la colonizzazione di ogni apparato, civile, militare e anche, con minori risultati, religioso (numerosi furono i prelati sloveni che orgogliosamente mantennero vivo, clandestinamente, l’insegnamento della lingua slovena) fino ad arrivare all’esproprio dei beni in favore di coloni italiani e al cambiamento coatto dei toponimi e dei nomi di persona arrivando anche a aberranti italianizzazioni.

Si può ben capire il motivo per il quale lo Stato italiano e il fascismo in particolare non fossero ben visti in queste zone. L’opposizione al regime trovò, fin da subito, alleati sul fronte cattolico, socialista e comunista. Non solo gli antifascisti italiani di queste zone (che conoscevano molto bene la realtà) ma anche altri antifascisti, complice anche l’istituto del Confino, entrarono in contatto con la realtà oppressiva del fascismo contro l’etnia “slava” (per i sud-tirolesi le cose “migliorarono” a seguito dell’alleanza tra Mussolini e Hitler).

L’istituzione di campi di internamento per civili sloveni e croati sparsi in più punti della penisola italiana, la creazione di reparti speciali del Regio esercito formati da “alloglotti” sloveni e croati, stanziati in zone depresse del Paese (Sardegna e isole minori, di fatto privi di armamento e dislocati lontano da casa con l’intento di togliere terreno alla forte resistenza partigiana) rendevano palese, anche alla popolazione, l’opera del regime.

L’aggressione, il 6 aprile 1941, da parte dell’Italia e delle altre potenze dell’Asse alla Jugoslavia, il suo smembramento e l’annessione al Regno d’Italia dell’intera provincia di Lubiana (tutti atti contrari al Diritto internazionale) inglobarono altri circa 350.000 sloveni nel territorio nazionale. La reazione jugoslava non si fece attendere e le prime formazioni partigiane armate fecero la loro comparsa. A queste, l’esercito italiano opponeva una strenua caccia e una politica di terra bruciata, con deportazione di civili, spoliazione di beni, incendi di villaggi. Si può quindi ben capire che alla capitolazione dell’Italia, l’8 settembre 1943, si determinò una reazione immediata e oltre all’entusiasmo della popolazione ci fu chi si organizzò per reagire, con le armi, alla imminente invasione nazista (caso emblematico è la Battaglia di Gorizia dove formazioni partigiane italiane e slovene, reparti dell’esercito italiano e popolazione civile si oppongono dall’11 al 26 settembre 1943 all’ingresso delle truppe tedesche).

Caporetto (Kobarid), oggi all’estremo occidente dell’attuale Slovenia (da https://breginjskikotit.files.wordpress.com/2011/01/slo11.jpg)

La storiografia italiana indica come prima Repubblica partigiana in Italia quella di Maschito in provincia di Potenza istituita il 15 settembre 1943 e durata 20 giorni ma, stante la definizione dei confini nazionali in essere fino al 1947, la Kobariška republika, oltre ad essere molto più estesa e duratura in termini temporali, la precedette di qualche giorno e il suo territorio era interamente parte integrante dell’allora Regno d’Italia.

La Kobariška republika fu infatti istituita il 10 settembre 1943 e durò fino all’offensiva tedesca dei primi di novembre del 1943. Per ben 52 giorni il territorio liberato (circa 1.400 chilometri quadrati) popolato da circa 55mila abitanti si organizzò come uno Stato con dei confini definiti e presidiati dalle formazioni partigiane, con una capitale, Kobarid/Caporetto, con autorità politiche votate dai cittadini, con un suo sistema di giustizia, tre ospedali operativi sul territorio e con l’istituzione, per la prima volta dopo l’annessione italiana, di scuole slovene.

I confini della repubblica comprendevano le zone ad etnia slovena delle Valli di Resia, del Torre e del Natisone. L’obiettivo, per gli sloveni, era quello di ricomprendere questi territori nel Litorale sloveno (fu uno dei rari elementi d’attrito tra le formazioni partigiane italiane – che pur parteciparono alla Kobariška republika con una propria formazione – e slovene che più tardi, oltre a partecipare alla Liberazione della Zona Libera del Friuli orientale, dalla fine del 1944 fino alla Liberazione, si trovarono a combattere unite sotto il comando del IX Korpus jugoslavo).

Resta anche indicativo il fatto che le prime repubbliche partigiane d’Italia furono istituite da minoranze linguistiche all’interno dell’allora Regno d’Italia, quella slovena a Caporetto e quella arbëreshë a Maschito segno che verso questi cittadini “minoritari” la repressione fascista fu particolarmente dura.

Il fiorire, quasi un anno dopo, delle Repubbliche e delle Zone Libere nell’Italia del nord occupata dai nazi-fascisti, alimentato dalla prevista imminenza dell’“Offensiva d’inverno”, che avrebbe dovuto liberare definitivamente la penisola (smentita però poco dopo dal Proclama di Alexander), ha preso esempio e forza anche da queste prime luminose esperienze.

Luciano Marcolini Provenza – Anpi Cividale del Friuli (Udine)