La Kristallnacht, «notte dei cristalli», fu un feroce pogrom nel novembre del 1938 che coinvolse tutte le comunità ebraiche tedesche, sue vittime dirette ed immediate. La filiera organizzativa era chiara. Ad istigarlo fu il ministro della propaganda Joseph Goebbels ma a realizzarlo furono soprattutto le milizie paramilitari delle SA, in ciò attivamente aiutate da alcuni cittadini tedeschi. Il consenso era diffuso, tra le élite così come nella società. La motivazione occasionale, addotta come scusa, era lo «sdegno» e la «rabbia» per il ferimento, e poi la morte, di un funzionario diplomatico tedesco impiegato a Parigi, Ernst Eduard vom Rath, per mano di un giovanissimo rifugiato polacco, di origini ebraiche, Herschel Grünspan. Si trattava per l’appunto di un pretesto, che fu addotto per dare corso ad un’inenarrabile ondata di violenze contro gli ebrei tedeschi.
I fatti
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 il pogrom antisemitico, organizzato da una parte del regime hitleriano contro gli ebrei tedeschi, raggiunse il suo culmine. Si trattava di una finta sollevazione popolare, in realtà organizzata, diretta e fomentata da esponenti del partito nazista, dalle milizie armate in camicia bruna, dalla «gioventù hitleriana» e coordinata dal collerico ministro della propaganda Joseph Goebbels, regista principale delle violenze. Già il 7 novembre, nei territori della Germania e dell’Austria, quest’ultima da pochi mesi annessa al Reich tedesco, così come di quella parte della Cecoslovacchia che stava cadendo sotto il tallone nazista, erano iniziate manifestazioni antiebraiche, culminate in atti violenti fino all’omicidio di civili indifesi. Ad esse si erano accompagnati assalti e poi incendi ai danni delle sinagoghe, dei luoghi di riunione, dei commerci e delle abitazioni ove risiedevano cittadini ebrei. In un cupo crescendo, nelle ore e nei due giorni successivi si arrivò ad una escalation di violenze fino ad allora ancora senza pari. Nella mattinata del 10 novembre, l’intero territorio di lingua tedesca dell’Europa centrale sottoposto alla signoria nazista risultava essere stato attraversato come da una scossa tellurica, con non meno di 400 cittadini ebrei assassinati. Le vittime, calcolando anche quelle dei giorni immediatamente successivi, avrebbero poi raggiunto una cifra complessiva variabile tra i 1.300 e i 1.500 individui, nella quasi totalità maschi. Alla tragedia umana si accompagnavano le distruzioni materiali. Più di 1.400 luoghi di culto ebraici furono saccheggiati, devastati e poi in buona parte bruciati. La medesima sorte toccò ad una grande parte dei cimiteri e agli esercizi commerciali, in una sorta di sabba del vandalismo di Stato.
La notte dei cristalli infranti
L’uso convenzionale dell’espressione Kristallnacht o Reichskristallnacht ma anche Reichspogromnacht («notte del pogrom del Reich») o Novemberpogrom, più comunemente intesa e tradotta come «notte dei cristalli», nacque in quei giorni tra gli stessi nazisti per definire – in termini di massimo scherno per le vittime – l’insieme delle violenze, attraverso il richiamo all’immagine della miriade di vetri e cristalli distrutti dalla furia dei manifestanti, durante le infinite le aggressioni. Nei giorni immediatamente successivi al 9 novembre (data che indicava anche la sconfitta della Germania guglielmina nella Prima guerra mondiale, nel 1918, quando il Kaiser Guglielmo II abdicò, fuggendo in Olanda mentre veniva proclamata la Repubblica) le milizie di partito, coadiuvate della polizia tedesca, si adoperarono per arrestare arbitrariamente almeno 30mila cittadini ebrei, con il duplice obiettivo di intimidire la comunità ebraica, radicalizzando le violenze, ed estorcerne una parte dei beni. Un ricatto che effettivamente riuscì. Degli arrestati, poi deportati nei campi di concentramento, soprattutto nei lager di Sachsenhausen, Dachau e Buchenwald, 700 di essi vi perì, mentre ad una parte restante fu restituita temporaneamente la libertà, a patto che si impegnassero ad abbandonare la Germania. Nel complesso, durante le violenze “popolari”, la polizia non intervenne, limitandosi a vigilare a distanza i luoghi in cui si consumavano i tumulti, affinché, tra quanti non vi partecipavano, non si registrassero feriti. I vigili del fuoco, a loro volta, furono invitati a circoscrivere gli incendi, evitando che si estendessero ai fabbricati e agli edifici “ariani” limitrofi.
I tragici risultati
Non vi furono processi a carico dei vandali e degli assassini se non nei casi, piuttosto rari, di alcune violenze sessuali ai danni delle vittime di sesso femminile. Il capo di imputazione, in questo caso, non era costituito dallo stupro ma dall’«attentato alla purezza della razza» che gli aggressori avevano compiuti ai danni della “nazione ariana”. Le comunità ebraiche tedesche furono obbligate a risarcire il controvalore economico dei danni arrecatigli dagli aggressori, dovendo rimborsare quello stesso Stato tedesco che aveva fomentato le violenze. Al pari della surreale condizione di una persona scippata che deve pagare lo scippatore dei beni che questi gli ha sottratto. Benché la responsabilità politica e morale delle inaudite violenze e degli assassini ricadesse interamente sull’intero regime, una parte dei suoi esponenti non fu direttamente coinvolta nella loro esecuzione, esprimendo semmai disapprovazione non verso gli atti criminali in sé ma per il modo – ovvero il saccheggio indiscriminato – con il quale si erano consumati e conclusi. Nella dinamica dei fatti, così come tra le pieghe della storia, è poi emerso il conflitto di potere che si consumò in quei giorni tra Goebbels, da una parte, ed altri esponenti del regime nazista, come Heinrich Himmler, comandante delle SS e delle polizie tedesche, o Hermann Göring, potente capo dell’aviazione e diretto fiduciario di Hitler. Ancora una volta, l’oggetto del contendere non era la criminosità degli atti ma il fatto, in questo caso, che a prendere l’iniziativa fosse stato un singolo ministro, accusato dai suoi omologhi di bramosia di potere, causando danni sì agli ebrei ma, di riflesso, anche notevoli disagi al resto dei tedeschi. Di Goebbels si disse quindi da parte di costoro che fosse stato un «irresponsabile». La dimensione, a tratti quasi catastrofica, del saccheggio era evidente. Una parte delle élite nazionalsocialiste temeva che ciò avrebbe causato danno al prestigio germanico dinanzi agli occhi del mondo. Come dire: violenze sì, ma non sulle pubbliche piazze. Da subito la Germania dovette confrontarsi con i contraccolpi economici del pogrom, che si rivelarono decisamente seri, essendo stati colpiti gangli vitali delle sue attività, soprattutto di quelle commerciali. Questo, benché sarebbero state le stesse vittime a pagare il conto dei danni subiti, fu un fatto in parte sancito già il 12 novembre 1938, con una conferenza presieduta da Göring, il quale esordì affermando rabbiosamente: «ne ho abbastanza di queste manifestazioni. Non è agli ebrei che fanno torto, ma a me, perché io sono l’autorità responsabile del coordinamento dell’economia tedesca. Se oggi si distrugge un negozio ebreo, se si getta la mercanzia sulla strada, la compagnia di assicurazioni pagherà i danni e l’ebreo non avrà perso niente […] È insensato saccheggiare tutti i magazzini ebrei e bruciarli, perché in seguito una compagnia di assicurazione tedesca sia chiamata a regolare il conto. E si bruciano i prodotti di cui si ha disperatamente bisogno, intere partite di vestiario e altro ancora, e tutto quanto di cui abbiamo necessità. Potrei anche dar fuoco alle materie prime quando ancora non sono state trasformate in prodotti!».
Il bilancio politico
Nel complesso, la partecipazione della popolazione tedesca al pogrom fu molto contenuta se non assente, benché il tutto fosse poi presentato come una spontanea manifestazione antiebraica. Ma l’opinione pubblica si rivelò sostanzialmente assenziente rispetto a quei misfatti, non manifestando alcuna opposizione di fatto. Lasciò che le cose avvenissero. In una miscela di risentimento (contro gli ebrei, visti ora come un pericoloso corpo estraneo rispetto alla “nazione razziale” germanica), di compiaciuto asservimento (alle direttive e alle istigazioni provenienti dagli apparati di regime), di falsa rispettabilità (qualcosa del tipo: “se ce la prendiamo con gli ebrei una ragione ci sarà pure”). Il nazismo si era già sufficientemente radicato in Germania ed era visto da molti tedeschi come un regime duro e spietato ma motivato da fini più che condivisibili; soprattutto, indirizzato a restituire al paese l’«onore», la potenza e la forza perduti con la fine della Prima guerra mondiale. Di sé dava l’idea che avrebbe comunque tutelato gli interessi nazionali. In cinque anni, dalla sua ascesa al potere e dalla trasformazione del suo cancellierato in dittatura, Hitler aveva enormemente consolidato la credibilità personale, e del suo sistema di potere, agli occhi di molti tedeschi. Per proseguire nel suo programma politico doveva però indicare, in misura sempre più spasmodica e radicalizzata, dei nemici, interni ed esterni, contro i quali adoperarsi. Passando, laddove possibile, alla violenza e quindi alle vie di fatto. L’intenzione di arrivare ad una guerra europea era già stata espressa, d’altro canto, da Hitler medesimo ai vertici delle forze armate germaniche. Era solo una questione di tempo, necessitando un’organizzazione non solo militare ma anche civile e sociale adeguata all’obiettivo di scardinare i già traballanti equilibri europei. Su questo, in fondo, molti tedeschi si sarebbero rivelati consenzienti. Così come con l’idea di una «guerra tra concezioni del mondo», un conflitto ideologico tra il bene (la Germania «ariana») e il male (il «giudaismo internazionale», al quale erano attribuite le peggiori nequizie). La «notte dei cristalli», tra il 9 e il 10 novembre, si inseriva in questo processo di feroce progressione verso la catastrofe europea.
Quel che resta del 1938
Il 1938 fu nel suo complesso, per l’ebraismo ma anche per l’Europa ancora libera, un anno tragico, segnando definitivamente la fine delle ultime, residue speranze di un assestamento dell’antisemitismo di Stato dei nazisti su posizioni non troppo estremistiche. Gli ebrei tedeschi, e quelli dei Paesi che sarebbero stati conquistati di lì a non molto dalle truppe tedesche, venivano non solo discriminati ed emarginati ma perseguitati in maniera sempre più aperta e radicale. Quello stesso anno era stato contrassegnato dall’avvio di una lunga politica di espansione territoriale della Germania: l’annessione dell’Austria, l’inizio dello smembramento della Cecoslovacchia, il ripetersi delle pretese naziste su altri territori europei, rivendicati poiché abitati anche da persone di lingua tedesca. La campagna isterica contro gli ebrei si inseriva in questo quadro di patologica enfatizzazione del diritto della “nuova Germania”, tale poiché unità razzista, di stabilire una progressiva, indiscutibile signoria sul Continente. Stavano per smottare i vecchi equilibri geopolitici sanciti dagli accordi di pace del primo dopoguerra e stavano per cadere, con essi, anche i diritti dei popoli.
Claudio Vercelli, storico, Università cattolica del Sacro Cuore
Pubblicato venerdì 9 Novembre 2018
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