Maurizio Cattelan, La Zeta di Zorro

Nel 1965 gli Who cantavano The Kids Are Alright, brano tratto dall’album intitolato My Generation, disco fondativo per la storia del rock e dal fortissimo impatto generazionale. Ma sorge spontanea la domanda: e come se la passano, invece, i ragazzi del 2020? Sono la Generazione Z, i post-millennials, la iGeneration. Fratelli minori dei Millennials (con cui, però, non hanno molto da spartire), figli della Generazione X cresciuta tra grunge e boyband, apertamente in contrasto con i baby boomer: tracciare un identikit della generazione Z non è impresa semplice. Ecco un abbecedario-prontuario per conoscere meglio gli adolescenti di oggi, partendo dalla A e arrivando alla Z identificativa di questa generazione, nel tentativo di diradare la nebbia mistificatrice che li circonda.

Analfabetismo funzionale. O analfabetismo di ritorno, è un fenomeno che interessa una grossa fetta della popolazione italiana: lo scorso anno è stato stimato che fosse circa il 28% della popolazione a non comprendere testi complessi, mentre nella fascia 16-24 anni, questo fenomeno interessava quasi un giovane su dieci. Un range di età, quest’ultimo, molto problematico anche per il fenomeno NEET (Not in Education, Employement or Training): ragazzi che non hanno proseguito gli studi (non sono pochi i casi in cui si parla addirittura di abbandono scolastico) e che non sono coinvolti in un percorso formativo o lavorativo. Naturalmente, l’orizzonte che profilano dati di questo tipo è altamente preoccupante: una presenza massiva di individui low-skilled (dalle basse competenze e privi o quasi di strumenti culturali) riverbera le sue conseguenze anche in ambito lavorativo, culturale e politico, generando, di fatto, esclusione sociale.

Bullismo. Il rapporto Istat presentato nel 2019 alla commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza fotografa una situazione abbastanza preoccupante, in cui, ad episodi di bullismo “tradizionale”, si affianca il cyberbullismo, che sfrutta le nuove tecnologie per veicolare messaggi offensivi ai danni delle vittime. Tuttavia, i dati di bullismo e cyberbullismo sono pressoché sovrapponibili: l’88% di quanti raccontano di aver subito offese e vessazioni a mezzo social network o sistemi di messaggistica istantanea, infatti, riporta di aver subito le stesse discriminazioni anche di persona. A partire dal 2010, il numero di vittime di atti persecutori perpetrati da coetanei è più che raddoppiato nella fascia di età al di sotto dei 14 anni, mentre è quasi triplicato nella fascia 14-17 anni. Discriminazioni, queste, che spesso avvengono anche su base sessuale e razziale: e si tratta di un fenomeno che diventa sempre più preoccupante, con l’aumento esponenziale di casi di cronaca nera legati al bullismo in tutte le sue forme.

Crisi economica. È il background sociale e culturale in cui gli adolescenti di oggi sono nati, che ha anticipato un periodo di ristrettezze economiche e di incertezza lavorativa (infatti, non sono stati pochi i genitori che, nel decennio scorso, hanno perso il lavoro). Tuttavia, se da una parte la crisi ha contribuito a ridisegnare delle priorità, dall’altra, l’incalzare della tecnologia ha imposto necessità che la crisi non ha potuto arginare, tecnologia in primis. Lo scenario in cui sono nati e al quale, in un modo o nell’altro, si sono adeguati gli zoomers risulta eterogeneo e caratterizzato da priorità “nuove” e fenomeni come il fast fashion e l’e-shopping capillarmente diffuso che, se da una parte rappresentano la quotidianità, dall’altra si stagliano come i mostri da combattere.

Digitale. Gli Zoomers sono la prima generazione composta interamente da nativi digitali e lo confermano anche le statistiche: nel 2018, in Italia, l’85,8% dei ragazzi tra 11 e 17 anni di età utilizzava quotidianamente uno smartphone e il 72% lo utilizzava per accedere a internet, contrariamente al poco più del 56% del quadriennio precedente. Ma le riflessioni in merito travalicano i numeri: adolescenti e pre-adolescenti evidenziano un considerevole attaccamento ai social network, evidenziando non di rado la F.O.M.O. – Fear Of Missing Out, la sensazione di spaesamento dovuta al fatto di essere temporaneamente disconnessi. Inoltre, così come gli altri utenti adulti, i più giovani sono, a tutti gli effetti, dei prosumer, produttori attivi di contenuti online che si rivelano molto utili nel processo di profilazione delle aziende (dei colossi, in modo particolare, come Facebook e Google), ma, forse, non c’è abbastanza consapevolezza di questo ruolo.

Estetica. Gli ultimi dieci anni sono stati particolarmente determinanti nel ridefinire i confini di una bellezza… senza confini. Dalle discriminazioni perpetrate ai danni di individui sovrappeso e obesi, per arrivare a una bassa statura, ai capelli afro o all’eterocromia degli occhi si è passati a un clima di accettazione ed esaltazione delle peculiarità estetiche. Complici anche campagne di sensibilizzazione istituzionali e di grandi marchi (principalmente nel campo beauty e dell’abbigliamento), la differenza sta gradualmente abbandonando l’accezione di difetto in virtù del significato di unicità, abbracciando la definizione inclusiva di body positivity.

Fridays For Future. La grande manifestazione di mobilitazione che sensibilizza sulle conseguenze degenerative dell’inquinamento e dell’utilizzo indiscriminato di materie prime e risorse fossili. Attualmente, in sedici mesi di attività, ha coinvolto 228 Paesi, oltre 7000 città per un totale di circa 13 milioni di partecipanti. Sul sito ufficiale di FFF è possibile avere un impatto visivo, direttamente sulla cartina, delle città che aderiscono agli scioperi settimanali, quelle che partecipano ai raduni mensili, le attività gemellate nel nome della lotta ai cambiamenti climatici (e fa riflettere vedere come Russia e Cina, due delle superpotenze maggiormente responsabili dell’inquinamento globale, aderiscano poco o niente a queste iniziative). Questo, che si profila come l’evento più significativo e l’argomento più discusso da giovani e giovanissimi, ha sicuramente il grande merito di aver acceso i riflettori su una tematica urgente a livello globale, assegnando ai figli il compito di “educare” i genitori.

Letter G, alphabet from clouds in the sky. 3D rendering

Greta Thunberg. Se si dice Generazione Z, non può non venire in mente Greta Thunberg, probabilmente l’esponente più conosciuta che, con i suoi Fridays For Future ha mobilitato suoi coetanei da ogni parte del mondo, sensibilizzando una larga fetta di popolazione sul tema del cambiamento climatico. Si tratta, probabilmente, del simbolo più fulgido di ciò che di buono (ma, per molti, anche di controverso) sta accadendo in questo periodo e sta coinvolgendo direttamente i più giovani. Paradossalmente, una delle più grandi mobilitazioni a livello mondiale degli ultimi tempi, viene condotta da chi non gode neppure del diritto di voto. Posto che, comunque, gli effetti benefici e i principi genuini della protesta ambientalista possono (anzi, dovrebbero) interessare e toccare tutti nel profondo, fa riflettere che il movimento sia grandemente costituito da adolescenti e abbia come rappresentante la 17enne svedese. Nato a metà 2018 con il nome di Skolstrejk för klimatet, l’appuntamento si è poi trasformato in Fridays for Future, rendendo Thunberg una tra le relatrici più ascoltate ed efficaci, nonché uno dei bersagli preferiti di detrattori e complottisti. Insomma: a tutti gli effetti, un’icona pop.

Influencer. Alla stregua degli youtuber (di cui si parlerà più in basso), riferimento di molti adolescenti sono gli influencer, sorta di opinion leader da social che mostrano l’allettante prospettiva della monetizzazione online. Abiti firmati, auto lussuose o prestigiose partnership con brand internazionali sono la ricompensa per aver saputo utilizzare gli insegnamenti del digital marketing, applicandoli alla propria persona. Ed ecco avvicendarsi account che gareggiano nel mostrare uno stile di vita sempre al top e ostentare continuamente felicità e benessere: diventando, di fatto, ispirazione per migliaia di emuli che ne assorbono il codice comunicativo e ambiscono ad aumentare i propri follower in modo spropositato.

M12ano. Ovvero, semplicemente, Milano. Sfondo di un brano di Tha Supreme, trapper italiano già affermatosi come generazionale. Probabilmente non gli si può dare il merito di aver fondato una nuova lingua, ma senza dubbio si è fatto portavoce di qualcosa ben più articolato e profondo di uno slang, che mescola calchi dall’inglese, neologismi e codici alfanumerici, per raccontare gli ultimi scampoli di adolescenza in un modo (apparentemente) oscuro ai “grandi”. L’alchimismo linguistico è quello che contraddistingue questa generazione, animata dal desiderio di lasciarsi leggere solo da chi può davvero accedere a un sistema di decodifica, a una Stele di Rosetta capace di oltrepassare il necessario e vitale “gap generazionale”. Ma la fama, si sa, porta i suoi risvolti negativi, al punto che l’oscuro linguaggio post-trap di Tha Supreme è ormai palese anche ai genitori più apprensivi, e frasi come Swisho un blunt, a swishland/Bling Blaow come i Beatles, criptico riferimento alle droghe leggere, è trattato più come una filastrocca che come un vero endorsement verso l’utilizzo di sostanze stupefacenti. Un dadaismo del XXI secolo ben pettinato e ormai irreggimentato nei confini di una cameretta, ma non subalterno ad altri fenomeni analoghi (nelle intenzioni, meno nella forma) del passato. Meglio non commettere l’errore di stilare classifiche morali sulla base della proiezione generazionale, di gerarchie dei generi musicali e di costume o della nobiltà culturale, genuina o puramente di facciata, sbandierata da questo o quell’artista; sarebbe un errore ingenuo, tanto quanto lasciare incustodito un diario segreto o un iPhone senza il codice di accesso. Il grunge, il punk e – per andare ancora più a ritroso – il rock’n’roll non possono esercitare una preminenza culturale nei confronti di un genere neonato. Altrimenti, si rischia di fare la misera figura di chi apostrofava «Questa non è musica, è rumore!». Inoltre, c’è da considerare che Tha Supreme e i suoi epigoni (così come i suoi immediati predecessori) rappresentano un gusto mediamente diffuso, abbastanza imperante, interessante perché foriero di un nuovo codice linguistico, ma, certamente, non raccontano in toto una realtà generazionale che, ancora una volta, risulta più articolata rispetto a facili e sbrigative etichette.

Nativi digitali. La Generazione Z è, a tutti gli effetti, la prima nata e già immersa nella tecnologia. La presenza di device di qualsiasi tipo (smartphone, smart tv, tablet, computer, console per videogiochi) nella vita quotidiana, però, non è sinonimo di un miglioramento della qualità della vita. Infatti, pensando agli esponenti più giovani della Generazione Z, i bambini in età prescolare, non sarà difficile individuare la situazione-tipo di un genitore che grida al miracolo informatico perché «ha 3 anni, ma sa usare il tablet meglio di me». Naturale, i bambini si basano sul riconoscimento dei loghi: non si tratta, quindi, di un’acquisizione di consapevolezza, di un’informazione di tipo qualitativo, ma di un gesto meccanico, che porta a premere il dito sull’icona corrispondente all’app desiderata. Quindi, bambini ingozzati di una tecnologia coatta, di cui nemmeno i somministratori possiedono gli strumenti: e ciò rischia di aprire scenari molto preoccupanti, come una sempre maggiore diffusione dei disturbi del linguaggio e dell’udito.

Ok boomer. È l’espressione al momento più identificativa di questa generazione. I boomer sono i baby boomers, nati a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nel pieno del boom economico, nemesi degli adolescenti in merito a molteplici tematiche: il cambiamento climatico, la flessibilità del lavoro, le posizioni politiche, l’utilizzo e la consapevolezza dei social network, solo per dirne alcune. In illo tempore si disse che nel partito del “leave” Brexit fosse stato determinante il voto degli anziani euroscettici. Ebbene, quello che era un retaggio piuttosto vago, si è tramutato in un preciso target, necessario a sublimare lo scontro generazionale. L’identikit del boomer-tipo è: simpatie sovraniste e antieuropeiste, ottusità, utilizzo sconsiderato dei social (Facebook, soprattutto), condivisione indiscriminata di fake news e immagini dall’incerto gusto estetico con cui si augura un superlativo assoluto del troppo semplice buongiorno o si offrono caffè digitali ai follower. Il dibattito acceso che ha portato più volte le due parti a scontrarsi è stato giocato, appunto, sulle tematiche a cui gli zoomers risultano particolarmente sensibili: primo tra tutti, il cambiamento climatico, additato come una grande bufala dalla controparte complottista, che si affida a sedicenti esperti per dimostrare che le motivazioni non sono di matrice antropica. Il confronto si riduce a considerazioni paternalistiche che individuano nei Fridays For Future solo una scusa per non andare a scuola. Nel momento in cui queste controversie social giungono in un vicolo cieco in cui il più adulto fa sfoggio della sua ottusità incontrovertibile, quet’ultimo viene apostrofato con un “Ok boomer”, rassegnato e compendiario di una serie di sostantivi molto poco lusinghieri.

Post-millennials. È uno degli appellativi alternativi attribuiti a questa generazione che, agli occhi di tutti, appare colorata e determinata, soprattutto se paragonata alla grigia e sfocata generazione dei Millennials, troppo magmatica per contesto culturale ed economico, troppo variegata e stratificata per individuare obiettivi e problemi da poter definire genuinamente generazionali.

Questioni di genere. Una tematica estremamente delicata, che coinvolge tanto il gender gap (la disparità di trattamento e retribuzione tra uomo e donna), quanto le importantissime tematiche legate alla disforia di genere e all’universo LGBTQ+. Gli adolescenti si rivelano molto sensibili alle questioni di genere: nel 2018, più di un post-millennial su 3 diceva di conoscere individui che preferivano essere appellati in modo “neutro”, senza riferimenti a pronomi maschili o femminili, mentre circa il 60% degli intervistati lamentava l’assenza della voce “Altro” in aggiunta a “Uomo” o “Donna” nei moduli online o nelle pagine di iscrizione ai social network.

Tik Tok. È il nuovo social che ha soppiantato Snapchat nelle preferenze degli adolescenti e ne riprende il format, implementando durata e fruibilità dei contenuti pubblicati. Il concept è: brevi video (rigorosamente con orientamento verticale) che hanno come unico scopo quello di intrattenere e divertire. Sono disponibili effetti di layout, filtri, strumenti rapidi e intuitivi di montaggio e soprattutto tracce audio. Canzoni che gli utenti possono aggiungere ai propri video per dare un effetto caricaturale, o dialoghi di film che possono sovrapporre al lip-sync per un effetto playback o, ancora, tormentoni virali, spezzoni di interviste che hanno fatto il giro del web, frasi iconiche dell’era social. E non è raro imbattersi in questo genere di video in cui gli utenti scimmiottano i discorsi di Matteo Salvini, che pure su questo social si è affacciato in modo abbastanza farsesco. L’obiettivo è, da una parte, quello di rendere tutto pop, persino l’ex Ministro degli Interni che bercia «È colpa di Salvini» con il suo solito vittimismo che, purtroppo, non fa altro che generare simpatia. Ed eccolo, appunto, il secondo obiettivo: empatizzare con gli utenti, diventare anche solo il punto di riferimento per contenuti social che, con slogan e motti ripetuti all’infinito, sanciscono definitivamente la morte del dibattito in favore di una popolarità sfrenata, un culto narcisistico della persona, prima ancora che dell’uomo politico. Certo, non è il caso di pensare a ipotesi distopiche o complottistiche: l’utenza di Tik Tok non si convertirà interamente in elettorato pro-Salvini, è naturale, ma il tentativo del leader della Lega (riuscito, senza dubbio) di puntare a una captatio benevolentiae per ingraziarsi il pubblico adolescenziale c’è. E ne è conferma la recente notizia sul voto in Emilia Romagna, in merito al quale pare che la Lega abbia sostenuto ingenti sponsorizzazioni di svariate migliaia di euro per post con target i teen-ager di quella regione su cavalli di battaglia come Bibbiano. Ma Tik Tok è anche il modo per veicolare messaggi rilevanti e passibili di censura in alcune regioni del mondo: lo scorso novembre, l’attivista 17enne Feroza Aziz, simulando un tutorial per usare un piegaciglia, ha parlato ai suoi coetanei del massacro perpetrato ai danni di una minoranza musulmana in Cina, attirando l’attenzione di tutti i media per il suo modo di condurre una lotta ideologica nell’era digital.

Viaggiare. In un periodo storico in cui l’Erasmus è stato ben digerito (se non, addirittura, anche coercitivamente espulso, se si pensa alle recenti risoluzioni del parlamento britannico), il concetto di confini è ormai appannaggio di luminari che arrivano direttamente dalle caverne brandendo una clava. Il viaggio – per studio, lavoro o svago – è la dimensione più naturale entro cui si muovono i post-millennials, abituati a interfacciarsi quotidianamente con la pluralità culturale e, dunque, a pensare in modo naturalmente cosmopolita.

Youtuber. Sono figure di riferimento per schiere di adolescenti che si rivolgono a questi nuovi guru per saperne di qualsiasi cosa. La fiducia riposta negli Youtuber è tale che, stando a un sondaggio condotto da Google, il 37% dei follower di questo fenomeno aspira a diventare famoso con i video. Ma di cosa si occupano gli youtuber? Degli argomenti più disparati: dalla tecnologia ai videogiochi, passando per il make-up, la musica e la comicità e per arrivare a tematiche di attualità. Una quantità di contenuti davvero considerevole che, fortunatamente, riesce a diventare anche spunto di riflessione contro discriminazioni razziali, sessuali ed estetiche.

Z Semplicemente, come generazione Z. Una generazione che si staglia già come una delle più determinanti e centrali degli ultimi decenni, ma che non manca di portare con sé suggestioni e contraddizioni. È possibile, ad esempio, un parallelismo tra il movimento no global, culminato nel G8 di Genova del 2001, e gli aderenti ai Fridays For Future? Questa generazione, sorretta da una consapevole incoscienza, avrà una sua Waterloo, in cui i sogni e gli ideali per cui si è mobilitata e ha lottato si disgregheranno con un forte impatto? Ci sarà un evento che segnerà il crollo delle illusioni o, al contrario, gli esponenti della Generazione Z assisteranno a un evento della portata del crollo del Muro di Berlino? Una generazione che, come Giano, mostra due facce, tra loro in aperto contrasto: l’impegno sociale contro il disimpegno social, la post-politica contro le simpatie nazionaliste redivive, l’inclusione attiva contro il cyberbullismo, le stories che durano 24 ore e un obiettivo ambientalista orientato al lungo termine. Tutto percorso dal fil rouge, volatile quanto determinante, sempre presente e ben visibile, del digitale: capace di essere strumento, anch’esso controverso e subalterno, di aggregazione offline e di manipolazione strategica. E allora c’è da chiedersi: cosa resterà di questa Generazione Z? Probabilmente, se l’incidenza antropica sul clima e i disastri ambientali lo permetteranno, lo scopriremo tra qualche anno.

Letizia Annamaria Dabramo