La partigiana Carmelita Trainini

Una madre e una figlia. La prima sta lì, ferma per ore col freddo che fa, davanti al carcere di Canton Mombello nella speranza di vedere dalle inferriate la poco più che ventenne Carmelita. Sua figlia. La partigiana “Lita”, arrestata dai fascisti. Siamo nei mesi che vanno dal settembre al novembre 1944, durissimi e complicati per la Resistenza italiana (ricordiamo che il proclama Alexander che chiede alle formazioni partigiane la cessazione di ogni operazione su vasta scala è del 13 novembre e creerà non poche preoccupazioni a chi, in montagna o in città sta resistendo ai nazifascisti).

Il carcere di Canton Mombello dove venne imprigionata “Lita”, che sarà poi trasferita a Milano, a San Vittore, dove alcuni raggi erano gestiti direttamente dalle SS

Cosa riserverà il futuro? Riuscirà a uscire da quel carcere, a continuare la lotta? Riuscirà a resistere alle minacce, alle percosse? A rivedere la sua amata famiglia? Mille pensieri si affollano nella mente di “Lita”. Solo su una cosa non ha dubbi: sulla scelta che ha fatto. È quella giusta. «La paura c’è ma bisogna pensare alla salvezza degli altri, di chi era fuori a lottare. Perché se ci ritiriamo che succede?».

È una storia piccola e pure esemplare quella di Carmelita Trainini, nata a Roncadelle il 25 settembre 1922 e morta a Brescia il 26 aprile 2003, esattamente vent’anni fa. Una storia rimasta nascosta per lunghi anni e che grazie alla tenacia, alla passione – ma anche «al destino» dice lei – di Annamaria Del Bono, presidente della sezione Anpi di Roncadelle e componente del comitato provinciale bresciano dell’associazione, oggi è patrimonio condiviso di un territorio.

Partigiana combattente nella 122ª Brigata Garibaldi, Croce al Merito di guerra per attività partigiana (conferita nel 1966), prima donna eletta in Consiglio comunale a Roncadelle dal 1946 al 1951: una vita intensa e piena quella di “Lita”. E che il 25 aprile di quest’anno avrà il suo giusto riconoscimento. Il palazzo comunale di Roncadelle sarà intitolato a lei. Quel giorno sarà affissa una targa all’ingresso del Comune per onorare la sua memoria.

Lo scorso anno nell’ambito delle iniziative per il 25 aprile da Anpi e Spi-Cgil la proposta di intitolazione del Municipio a “Lita”

Per Annamaria Del Bono è il coronamento di una lunga battaglia per restituire a questa combattente per la libertà – a lei e a tutte le donne della Resistenza – il ruolo che le spetta. «Lo scorso anno – racconta Annamaria – una richiesta per intitolare uno spazio pubblico a Carmelita Trainini viene fatta sia dalla sezione Anpi sia dal coordinamento donne dello Spi-Cgil. L’amministrazione di Roncadelle non solo recepisce ma rilancia. Il 28 settembre l’Aula comunale vota all’unanimità una delibera per l’intitolazione del palazzo municipale a Carmelita. Questa decisione permetterà alla nostra concittadina di uscire da quella “massa di ombre”, così come vennero definite da Dolores Abbiati le donne della Resistenza».

Ringraziamo il nipote di Carmelita Trainini per le foto

Il 25 aprile all’inaugurazione della targa ci sarà anche il nipote della partigiana “Lita”. È lui che ha fatto avere all’Anpi delle vecchie fotografie di Carmelita: le immagini ci restituiscono i lineamenti di una ragazza magrissima e dallo sguardo limpido e fiero.

Roncadelle, Festa della Liberazione 2022. Quest’anno il palazzo municipale di Roncadelle sarà intitolato a Carmelita Trainini e una targa all’ingresso del Comune onorerà la sua memoria

Annamaria si imbatte in Carmelita durante una ricerca sulle donne partigiane nel bresciano. «Quando lessi sul suo foglio matricolare “nata a Roncadelle” rimasi di stucco. Da dove saltava fuori quel nome? Per anni mi era stato detto che nella nostra città non c’erano stati partigiani combattenti!». Nessuno a Roncadelle si ricordava di lei, anche perché nel 1948 si era trasferita a Brescia con la famiglia. Annamaria si mette sulle tracce della partigiana conducendo ricerche negli archivi dell’Anpi, del Comune, consultando le carte dell’Istituto storico della Resistenza bresciana e dell’età contemporanea, dell’Università Cattolica, della Fondazione Micheletti, centro di ricerca sull’età contemporanea specializzato nella raccolta e comunicazione del patrimonio materiale e immateriale del XX e XXI secolo.

Negli anni Ottanta e Novanta studiosi di storia orale e studenti bussano alla porta di Carmelita. In una intervista che le viene fatta qualche anno prima della morte racconta così la Resistenza: «Per me è stata una buona esperienza, m’ha formato, m’ha fatto crescere e m’ha fatto capire».

Un esempio di tessera annonaria

È una figlia del popolo, di origini umilissime ma sa leggere e scrivere (e vivrà sempre il cruccio di non aver potuto studiare: lo stesso rammarico che si trova negli scritti di un’altra grande partigiana, e madre Costituente, Teresa Noce). E ha un carattere indomito e battagliero. Fin da bambina, quando si rifiuta di fare il saluto fascista per prendere quel poco cibo – riso, farina di frumento e pasta – che veniva dato con la tessera annonaria: «Bisognava andar là e dire eja, eja, alalà per poter avere qualcosa – dirà in una intervista – e io non lo volevo fare, perché quel cibo non era una cosa che il podestà e i fascisti dessero personalmente, era una cosa che mi spettava».

Entrata giovanissima alla Tempini di Brescia come operaia, Carmelita matura nell’ambiente di fabbrica la sua educazione politica e praticamente da subito inizia l’attività antifascista. In fabbrica girano i volantini della Resistenza: ai padroni e ai capetti fascisti ci vuol poco per capire chi li fa entrare. “Lita” viene licenziata e la famiglia va avanti grazie alla colletta che i compagni fanno ogni mese per chi è rimasto senza lavoro. Intanto diventa una staffetta partigiana, incaricata di tenere i contatti prima con Milano e poi con Bergamo. «Partivo, due volte alla settimana, andavo a prendere degli ordini a Milano e poi li riportavo qui».

E durante uno di questi pericolosi viaggi in bicicletta che viene arrestata nel settembre del 1944 dall’Upi della Guardia nazionale repubblicana. Resta rinchiusa nella prigione di Canton Mombello di Brescia per circa tre mesi. E anche dietro le sbarre mostra di che stoffa è fatta: da una guardia carceraria antifascista viene a sapere che una ragazza arrestata qualche giorno prima, per paura di essere torturata rischia di fare i nomi dei compagni. «Se vuoi ti porto da lei» gli dice il secondino. Carmelita va a incontrarla. Non ha ordini o reprimende per quella donna impaurita, ma comprensione per la sua fragilità: «Fai quello che ti senti. Non puoi fare quello che non senti – le dice – Solo evita di fare i nomi di chi sta fuori. Fai il mio nome, io ormai sono dentro».

Una veduta aerea dettagliata del carcere di San Vittore a Milano (pietredinciampo.eu)

Il 29 novembre 1944, Carmelita Trainini viene trasferita nel carcere di S. Vittore a Milano, il principale luogo di detenzioni per prigionieri politici, partigiani ed ebrei destinati alla deportazione (alcuni raggi del carcere erano gestiti direttamente dalle SS, che avevano il loro quartier generale in città all’Hotel Regina). È gravemente malata, anche per i postumi delle botte che ha preso. Durante il trasferimento da Brescia a Milano il carabiniere che l’accompagna le propone di lasciarla libera: anche lui è consapevole che il regime sta crollando e cerca un posto sicuro dove nascondersi. Lei rifiuta. «Lo potevo fare – racconterà anni dopo – poi ci ho pensato e ho detto no perché se io fossi scappata i fascisti o i tedeschi sarebbero andati a ricattare i miei, o ad arrestare mio padre, mia madre, mia sorella. (…) I miei genitori non dovevano subire, per le mie scelte, così sono entrata in San Vittore».

La guerra per i nazifascisti è ormai segnata. All’inizio dell’aprile 1945, quando mancano una manciata di giorni all’insurrezione del Paese, Carmelita viene processata e scarcerata. Si rifugia in Val Trompia fino alla Liberazione.

Ha sete di giustizia non di vendetta la partigiana “Lita”. Anche quando la vendetta sarebbe sentimento naturale. Nell’estate ’45, mentre passeggia in città con il fidanzato vede due fascisti. Ha un sussulto, «Madonna mia!». Il ragazzo fa per scagliarsi contro i fascisti, ma lei lo blocca: «Lascia stare, quello che han fatto loro, se lo facciamo anche noi diventiamo peggio di loro e non è giusto, allora abbiamo combattuto per chi? Per niente?».

Per la prima volta nella storia d’Italia le donne sono chiamate al voto

Nel 1946 è in lista, per il PCI, nelle prime elezioni amministrative dopo la dittatura. Ecco come anni dopo parlerà di quell’esperienza: «Al pomeriggio vado a votare, vado su con la mia mamma e incontravo le donne, le donne che dicevano “Guarda che abbiamo votato per te”; e io dicevo a mia mamma: “Non crederci, perché il voto è segreto; magari dicono così, tanto per parlare”». Invece viene eletta con tantissimi voti, 984. Resterà in carica come consigliera comunale per tutto il mandato, fino al 1951.

«Allora dico: abbiamo combattuto per qualche cosa, insomma la libertà l’abbiamo ottenuta e la democrazia l’abbiamo: è tutto lì», dice l’anziana partigiana nell’ultima intervista che concederà. Ed è quasi un testamento spirituale il suo.

Annamaria Del Bono ha un affetto quasi commovente per questa partigiana che non ha mai conosciuto. Ricostruire la sua storia lo considera non solo il giusto risarcimento alla combattente “Lita”, ma un salutare antidoto alle miserie del presente.

La presidente dell’Anpi di Roncadelle, Annamaria Del Bono

«È importante che la vicenda di Trainini e delle tante donne e uomini che hanno combattuto per la libertà sia raccontata. Perché se non viene raccontata, se non vive nel presente, se non diventa memoria attiva è come se queste persone non fossero mai esistite. Sono esistite, invece, e hanno agito nel mondo e in qualche modo ci aiutano a riprendere fiato e illuminano il camino nei tempi bui e mediocri che stiamo vivendo».