Un momento della cerimonia

I nove martiri partigiani fucilati a Pordenone il 14 gennaio 1945 sono stati ricordati alle “Casermette” di via Molinari, il luogo dove hanno patito torture e sofferenze, in una commemorazione fatta dai resistenti di oggi. Infatti dall’iniziativa, forte, è arrivato il messaggio che oggi è partigiano chi aiuta profughi e richiedenti asilo e chi, negli ospedali, spesso in condizioni di emergenza, combatte la guerra contro la pandemia.

Cristina Gattel durante il suo intervento

Durante l’evento ha preso la parola Cristina Gattel, infermiera “partigiana” in prima linea, nella guerra contro il covid, assieme a tanti altri colleghi e medici: “Il nostro lavoro – ha spiegato – è una scelta professionale e di amore per gli altri. Crediamo a ciò che è scritto nella Costituzione: tutte le persone hanno diritto alla salute”.

È stata poi la volta di Lorena Fornasir, figlia del comandante partigiano Ardito, “Ario”, e della partigiana Antonietta Moro, “Anna”, che in un passaggio molto toccante della sua orazione ha detto: “Sappiamo nomi e storie dei nove partigiani torturati alle Casermette e fucilati in via Montereale. Tanti altri hanno subito la stessa sorte per mano dei nazifascisti. Alle Casermette molte donne partigiane hanno sopportato sadiche torture da parte della brigata nera. Nei campi di sterminio nazisti, gli esseri umani – ebrei, partigiani, civili, uomini, donne, bambini – erano numeri. Chi rimaneva senza scarpe, dopo lenta agonia, moriva. Questa storia si sta ripetendo. Parlo per esperienza a nome di tutti gli aderenti all’organizzazione di volontariato Linea d’ombra. I disperati che cercano, fuggendo dalle guerre, di arrivare in Europa, lungo la linea balcanica, vengono privati di scarpe, giacche e indumenti pesanti, soprattutto dai poliziotti croati, come capitava alle vittime dei campi di sterminio nazisti, per poi essere cacciati indietro verso la Bosnia. Siriani, iracheni, afghani, muoiono come le vittime dei nazisti, muoiono congelati”.

In primo piano, Fornasir durante il suo intervento. Dietro a sinistra, Gian Andrea Franchi. A destra, Gattel e il musicista Lorenzo Corai

Gian Andrea Franchi, che da Trieste alla Bosnia, assieme a Fornasir e ai volontari di Linea d’ombra soccorre i richiedenti asilo della rotta balcanica, ha ricordato come le mancate accoglienze dei profughi in Italia e in Europa abbiano trasformato il Mediterraneo in un immenso cimitero di richiedenti asilo.

Uno dei cimeli esposti nel Museo della deportazione di Pordenone

I nove martiri partigiani del 14 gennaio 1945 sono stati ricordati uno a uno durante la cerimonia: Rinaldo Azzano “Dante”, 23 anni, Olivo Chiarot “Leo”, 22 anni, Medaglia d’Argento al VM alla memoria, Pietro Pigat “Tom”, 29 anni, Elli Vello “Fulmine” 20 anni, Giacobbe Perosa “Sgnappa”, 32 anni, Agostino Mestre “Pedro”, 22 anni, Croce al Valor Militare alla Memoria, tutti originari di Azzano Decimo; Ferruccio Gava “Tigre”, 23 anni di Prata, Edoardo Ruffo “Edo”, 18 anni di Zoppola, Davide D’Agnolo, 21 anni di San Martino al Tagliamento. Con loro, lo stesso giorno, furono trasferiti al carcere di Udine altri 21 partigiani detenuti nella prigione cittadina del “Castello”. Sei furono in seguito fucilati a Tarcento e Tricesimo, gli altri non tornarono mai più dai campi di sterminio nazisti.

Deposta la corona, l’intermezzo musicale di Lorenzo Corai ha introdotto gli interventi di rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni del territorio, tra cui non poteva mancare la voce degli eredi dei partigiani pordenonesi. Si sono susseguiti: Andrea Cabibbo, assessore di Pordenone, Lorella Stefanutto, vicesindaca di Azzano Decimo, comune che conta sei dei nove martiri, e Francesca Papais, sindaca di Zoppola.

Il discorso di Loris Parpinel dell’Anpi di Pordenone

Tra i presenti Carlo Spagnol, sindaco di Sacile, e Nicola Conficoni, consigliere regionale. Joshua Honeycutt ha portato il saluto dei Federalisti europei, Patrizia Del Col ha parlato per l’Aned, mentre il presidente provinciale Anpi, Loris Parpinel, ringraziando tutti gli intervenuti, ha auspicato che al più presto le Casermette di via Molinari diventino un luogo di memoria attiva. della Resistenza contro il nazifascismo e delle deportazioni nei campi di sterminio.

Sigfrido Cescut