Ai lettori di Patria lo avevamo anticipato: è stato realizzato e pubblicato per i tipi della Viella edizioni “La Costituzione, 70 anni dopo”, il volume a cura del presidente emerito dell’Anpi, Carlo Smuraglia, che ha raccolto gli atti dei sei seminari tematici e i contributi del gruppo di lavoro e di illustri giuristi sulla mancata attuazione della Carta fondamentale della Repubblica Italiana. Se l’intento, annunciato nel 2016, all’indomani della vittoria referendaria, era promuovere una riflessione pubblica, il proposito sembra aver raggiunto lo scopo. Si è capito fin dalla presentazione ufficiale del libro alla Camera dei deputati. Il 17 aprile infatti, nella prestigiosa sala del Cenacolo, davanti a una platea altamente qualificata, le riflessioni degli oratori hanno dimostrato che proprio il non pieno compimento del Dettato è responsabile di molte criticità del nostro tempo e delle crescenti preoccupazioni sul futuro democratico del Paese. Aperto dal saluto del Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, l’incontro ha proposto i ragionamenti di Carla Nespolo, presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia; Giovanni Maria Flick, giurista, presidente emerito della Corte Costituzionale; Gianfranco Pasquino, professore Emerito di Scienza Politica all’Alma Mater Studiorum di Bologna e Carlo Smuraglia, A moderare il convegno Altero Frigerio, direttore di RadioArticolo1.
«Mantenere vivo il dibattito sui temi che riguardano la Costituzione è necessario – ha esordito l’on. Roberto Fico –, soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni, affinché abbiano consapevolezza del contesto in cui la Costituzione fu elaborata e di quanto occorre ancora fare per attuarla pienamente. Anzitutto – ha proseguito la terza carica dello Stato – a pochi giorni dal 25 aprile bisogna ricordare che la Repubblica e la sua Costituzione nascono dalla Resistenza e si fondano sul ripudio del fascismo». Il presidente della Camera ha sottolineato come la Costituzione abbia segnato «l’atto di nascita dello Stato democratico in cui viviamo, fondato sull’inviolabilità dei diritti umani, sul riconoscimento dell’uguaglianza e della libertà di tutti i cittadini, come pure sui doveri inderogabili della solidarietà». Sono conquiste «non scontate, che vanno coltivate, condivise e protette quotidianamente». Condividendo il bilancio della disapplicazione degli art. 1-2-3-4-9 e 54 della Costituzione, scelti a campione dal gruppo di lavoro coordinato dal presidente Smuraglia, Fico ha auspicato una discussione pubblica anche sull’art. 42 e sui beni comuni. E dall’Italia all’Europa il passo è breve: «Ho potuto constatare personalmente, partecipando la scorsa settimana alla Conferenza dei presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea, che si è tenuta a Vienna, quanto sia forte in questi Paesi la tentazione di spingere le rivendicazioni nazionaliste e sovraniste, sino al punto di negare in certi casi i principi e i valori comuni. La difesa della nostra Costituzione passa dunque oggi – ha concluso Fico – anche per una difesa del nucleo essenziale dell’identità e del costituzionalismo europeo. Che può certamente essere arricchito e sviluppato ma non violato né ridotto a mera dimensione economica».
Concluso l’intervento, il presidente della Camera ha preso posto in sala, seguendo con grande attenzione fino al termine del seminario-presentazione, tutti gli altri contributi. Al pari delle altre persone presenti a palazzo Valdina: tra loro, il costituzionalista Alessandro Pace; il presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso, Franco Ippolito; il ten. col. Nicola Bertoncini del Gabinetto del ministero della Difesa; l’esponente sindacale della Cgil nazionale Giordana Pallone, delegata dal segretario nazionale Landini; rappresentanti delle associazioni della Resistenza e dell’antifascismo quali Enzo Orlanducci, presidente dell’Associazione nazionale Reduci e Prigionieri (Anrp); Spartaco Geppetti, presidente dell’Associazione perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia); Angelo Sferrazza, vicepresidente dell’Associazione partigiani cristiani (Anpc); componenti della segreteria e del comitato nazionale Anpi; oltreché un nutrito numero di parlamentari.
La parola è quindi passata alla presidente nazionale dei partigiani d’Italia, Carla Nespolo. Che ha voluto sottolineare l’importanza per le istituzioni della Repubblica di riconoscere nella Resistenza e nella lotta all’occupazione nazifascista l’origine della nostra democrazia: «L’Italia – ha illustrato Nespolo – è sempre il Paese di cui, nel 1946, parlò il presidente del Consiglio De Gasperi alla Conferenza di Parigi, quando alle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, a difesa del nostro Paese che per quattro dei sei anni del conflitto era stato alleato di Hitler, disse: “noi siamo uno dei Paesi europei che ha avuto la più grande Resistenza”. E proprio dalla Resistenza è nato l’onor di Patria di cui oggi tanti parlano «molti anche a sproposito, ma noi non dobbiamo mai dimenticare che la Patria nasce dal popolo e dalla sua capacità di reazione e di ribellione alla violenza, al totalitarismo e al razzismo», ha detto la presidente Anpi. Se l’Europa, ha ammonito Nespolo non vuole dissolversi «deve cambiare e proseguire in un cammino di pace e di fratellanza tra popoli». Così l’Italia, se vuol difendere la sua identità storica, deve ripudiare ogni intolleranza e fascismo e applicare pienamente gli intenti dei Padri costituenti: «Dalla bellissima Costituzione italiana prese ispirazione anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo». Eppure è la Carta meno attuata d’Europa: «Ero una giovane parlamentare quando con grande fatica riuscimmo a far approvare la parità di salario tra uomini e donne – ha rammentato la presidente Anpi. Era il 1976, erano passati ben ventotto anni dalla promulgazione dell’articolo 3 della Costituzione. Ministro del lavoro, non a caso, era una donna, e non a caso una partigiana: Tina Anselmi. «Riusciremo a far crescere la democrazia se faremo camminare anche la Costituzione sulle gambe della conoscenza», ha esortato Nespolo. La presidente Anpi ha poi riferito della consegna al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, delle 300mila firme raccolte dal coordinamento di 23 associazioni “Mai più fascismi, mai più razzismi”. «Nel nostro Paese c’è un’emergenza fascista – ha denunciato Nespolo –. Sono ormai quotidiani gli episodi di intolleranza, di violenza e di razzismo, radice di ogni fascismo». Dunque è urgente e necessaria l’attuazione attuazione piena della XII disposizione della Costituzione e insieme delle leggi Scelba e Mancino. «Chiediamo con forza anche un ruolo univoco della magistratura e di tutte le istituzioni – ha concluso Carla Nespolo –. È una speranza doverosa alla vigilia del 25 Aprile ma è soprattutto un impegno morale».
Constatare la non attuazione della Costituzione è dimostrare la sua straordinaria attualità: le argomentazioni del presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, tra coloro che hanno offerto un grande contributo al libro “La Costituzione, 70 anni dopo”, hanno preso avvio dal significato del 25 Aprile e del 2 giugno, due date emblematiche che riassumono una lotta di popolo. «L’Italia – ha detto Flick – ha dovuto combattere non solo l’invasore nazista ma anche affrontare un’altra lotta, forse la più difficile, quella contro vent’anni di regime fascista». La Resistenza non è stata uno scontro tra comunisti e fascisti, ma un plurale sentire: «Sono grato – ha precisato Flick – ai Presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano per aver saputo liberare la Costituzione dal rischio di doverla considerare monopolio di una parte politica». La Resistenza, da cui è nata la Costituzione, è stata al contrario una lotta corale di tutto il popolo italiano: dei militari che si rifiutarono di combattere con i nazisti e per questo in 600mila venero deportati; dei Caduti di Cefalonia; degli studenti che andarono a combattere in montagna e nelle città; dei contadini e degli operai. Le Lettere dei condannati a morte della Resistenza, nelle loro sgrammaticature, perché eravamo un popolo di analfabeti, lo attestano in modo formidabile. E sulle speranze di un futuro migliore per i figli di quelle persone semplici, comuni, è nata la Costituzione. Flick ha poi disaminato le gravi conseguenze odierne dell’inattuazione della Carta, utilizzando come cartina di tornasole l’articolo 3, sulla pari dignità sociale. Il primo profilo di discriminazione è l’antisemitismo, che scivola a volte anche nell’antisionismo, ha rilevato il presidente emerito della Consulta: «Nessuno avrebbe immaginato che qualcuno oggi, quando la genetica ha definitivamente demolito il concetto di razza, potesse tirar fuori i Protocolli dei Savi di Sion, ignobile libello stampato dalla polizia zarista ai primi del Novecento per dare una veste politica alla persecuzione della Comunità ebraica. L’articolo 3 della Costituzione prende atto invece delle atrocità compiute in nome della razza, anche in Italia con le leggi razziali del 1938, oltre che in Europa».
Il secondo profilo di discriminazione, di sopraffazione, riguarda le donne: «In questi 70 anni – ha rimarcato Flick – abbiamo avuto il merito di una Costituzione che, anche attraverso la Corte costituzionale, ha cercato di promuovere la parità tra uomo e donna. Nonostante tutto, oggi la condizione della donna è l’emblema di una profondissima differenza culturale tra gli uni e le altre e l’emergenza è rappresentata dal femminicidio». La terza situazione di disvalore, di diseguaglianza, di non identità è quella del migrante: «Quando la Costituzione venne scritta i nostri nonni emigravano per cercare lavoro, come già ai primi del Novecento andavano a morire in Belgio, a Marcinelle, erano vittime di linciaggio a Miami. I Padri costituenti ebbero il coraggio di scrivere un testo che, oltre i limiti della convenzione di Ginevra, riconosceva allo straniero il diritto di asilo, assicurandolo nel caso fosse negato l’esercizio delle libertà fondamentali, e la prima libertà è quella di vivere e di mangiare. Per questo non riesco a comprendere – ha detto ancora il presidente emerito della Corte costituzionale Flick – la distinzione tra il migrante economico e il richiedente asilo in cui l’Europa e pure l’Italia si sono arroccate. L’Europa ha rischiato di morire nel cimitero di Auschwitz come adesso rischia di morire nelle acque del Mediterraneo – ha concluso Giovanni Maria Flick –. A parte il fatto che certi eventi sull’altra sponda del Mediterraneo inducono a ritenere che forse la richiesta di asilo per la fuggire da una guerra potrebbe diventare tornare di stretta attualità».
Gianfranco Pasquino ha cominciato il suo intervento sulla suggestione introdotta da Flick con le lettere dei condannati a morte, ricordando le Lettere dei condannati a morte della Resistenza in Europa. Scritti in cui si scopre la consapevolezza che, se si voleva superare la situazione europea, due conflitti a distanza di pochissimo tempo, definiti anche due guerre civili fra europei, bisognava prospettare qualche cosa di diverso. Come fecero Spinelli, Colorni e Rossini nel Manifesto di Ventotene, immaginando un futuro dove la distinzione non sarebbe stata tra destra e sinistra ma tra quanti volevano mantenere in vita lo Stato nazionale e coloro che invece volevano andare oltre creando l’Europa. «Oggi questo tema si presenta è di grande attualità – ha detto il professore emerito di Scienza Politica all’Alma Mater Studiorum di Bologna – e la Costituzione italiana sa guarda avanti riferendosi all’Europa. L’articolo undici è esemplare».
La premessa del ragionamento di Pasquino è che la Carta italiana non sarà mai completamente attuata perché straordinariamente esigente e proiettata nel futuro, elaborata affinché durasse nel tempo, secondo il volere dei Padri costituenti. “Presbite” la definì infatti Calamandrei. Un testo non a caso “saccheggiato” da tutte le Carte successive elaborate in Europa. Così fece la Spagna, così il Portogallo in tema di diritti fondamentali. «Smettiamo di definire giovane la nostra Costituzione – ha invitato Pasquino, cronologia alla mano –. Il Portogallo si dotò di una Costituzione nel 1975, la Spagna nel 1978, addirittura la Costituzione attualmente in vigore in Francia è del 1958, pure quella tedesca è posteriore a quella italiana». Il docente di scienze politiche ha poi auspicato un approfondimento delle biografie dei Padri costituenti perché le esperienze degli esuli antifascisti apportarono certamente agli estensori un grande allargamento di orizzonti. Secondo Pasquino le sfide attuali riguardano Italia ed Europa insieme. Il preoccupante fenomeno dell’antisemitismo, per esempio, riguarda tutti quei Paesi che non hanno mai fatto fino in fondo i conti col nazismo: non la Germania ma l’Ungheria e alcuni Paesi baltici. Bisogna interrogarsi sul loro passato antisemita e riflettere profondamente «Non su cosa sta succedendo adesso ma che cosa non è successo negli ultimi vent’anni e sul perché la loro entrata nell’Unione Europea non ha sostenuto un processo di democratizzazione». Indubbiamente non era semplice mettere insieme Paesi con lingue e culture diverse, e per questo è improprio ogni paragone con gli Stati Uniti, nati per di più da “dissidenti religiosi” e perciò più inclini ad accettare il pluralismo politico. A minare l’Unione Europea contribuisce anche la scarsa comunicazione su quanto accade: sappiamo più del Texas, per esempio, che della Slovacchia ed è un grande limite anche della nostra stampa. «Durante la campagna in difesa della Costituzione, durante la campagna referendaria, ho capito l’importanza di coinvolgere i giovani – ha segnalato Pasquino –. Un impegno che deve essere portato avanti quotidianamente perché una Costituzione racconta la storia di un Paese, non è un documento squisitamente giuridico». Ed ecco le conclusioni sull’art. 11 della Costituzione, in risposta agli emergenti allarmanti sovranismi: «Non abbiamo affatto perso sovranità. Piuttosto, proprio grazie a quell’articolo, abbiamo consapevolmente deciso di cedere parti di sovranità perché soltanto in un contesto europeo possiamo esercitarle in maniera adeguata».
Infine è stata la volta del presidente emerito dell’Anpi, Carlo Smuraglia: «Da tempo sostengo nei miei interventi e nei miei lavori che la Costituzione e l’antifascismo non sono mai penetrati fino in fondo nelle istituzioni del nostro Paese – ha detto Smuraglia –. Ho sentito vibrare nelle parole del Presidente della Camera qualcosa che mi conforta perché è fondamentale l’indirizzo fornito dalle Istituzioni. Se la Costituzione non riceve adeguato rispetto prima di tutto nell’ambito delle Istituzioni è molto difficile che i cittadini possano percepirla come qualcosa di primario nella loro vita. È molto importante dunque sentire il Presidente alla Camera parlare di democrazia in relazione all’attuazione della Costituzione, così come dello spirito democratico che vi aleggia e che per essere democratico non può che essere antifascista».
Smuraglia ha illustrato il sofferto cammino della Carta fondamentale: «La Costituzione era appena stata varata e subito cominciarono le riluttanze da parte di quelle istituzioni nelle quali, dopo il periodo fascista, molti uomini erano rimasti al loro posto. Pronunce della magistratura affermavano che la Carta si limitava a dettare norme programmatiche – ha proseguito Smuraglia –. Molto è stato fatto anche per differire l’entrata in funzione degli organi di garanzia e di altri organismi essenziali. Il Consiglio Superiore della Magistratura e la stessa Corte Costituzionale sono stati istituiti dopo molti anni, le Regioni sono nate addirittura negli anni 70. Poi è venuta la stagione della “resistenza passiva”, della Costituzione si parlava molto poco».
La Costituzione invece va spiegata, bisogna far capire, anche nelle scuole, che fa parte della nostra vita quotidiana. Ed è un compito che spetta alle Istituzioni, soprattutto. I Padri costituenti decisero di non ispirarsi ai testi ottocenteschi ma scelsero nettamente, tutti, di elaborare un testo innovativo affinché non restasse sul piano dei princìpi ma, al contrario, garantisse i diritti delle persone e si premurarono per mantenere effettivamente quella promessa. La Costituzione, infatti, è piena di indicazioni “la Repubblica garantisce…, la Repubblica tutela… la Repubblica si impegna…”.
«I vari governi che si sono succeduti – ha detto Smuraglia – si sono ben guardati dall’adempiere alle indicazioni, anche perentorie, della Carta costituzionale anzi, molte volte si è avuta piuttosto la tentazione di modificarla». Che non vuol dire non poterla aggiornare, come è stato fatto più volte in passato, se necessario. Invece si è arrivati al punto di tentare «uno stravolgimento della Costituzione». Sono molti gli esempi: la Bicamerale è uno di questi. «Ero in Parlamento a quell’epoca – ha ricordato Smuraglia – ho tentato di oppormi, col risultato di divenire inviso al mio stesso gruppo». Il presidente emerito dell’Anpi ha poi criticato la riforma del 2001, sulle autonomie locali, rivelatasi completamente sbagliata e inattuale e ha puntato il dito contro l’attuale progetto del cosiddetto “regionalismo differenziato”: «Aumenterebbero le differenze e le diseguaglianze, soprattutto a scapito delle persone più deboli e fragili». Anche l’abuso dei decreti legge e dei voti di fiducia, «che non è solo di questo governo, ma anche e spesso dei governi precedenti, non è rispettoso della Costituzione, che li definisce “straordinari”».
Sul ruolo delle Istituzioni nell’applicare concretamente i valori fondativi della Repubblica è esplicito l’articolo 54, affrontato nelle analisi del libro realizzato dal gruppo di lavoro: ne impone il rispetto da parte di tutti e in primo luogo da chi assolve funzioni pubbliche. «Purtroppo questo Stato – ha insistito il presidente merito dei partigiani d’Italia – nel complesso nelle sue Istituzioni non è mai diventato pienamente democratico. C’è un dato di fatto gravissimo a dimostrarlo: in tutte le stragi di matrice neofascista del dopoguerra, e ne abbiamo avute molte da piazza Fontana fino a quella della stazione di Bologna, c’è lo zampino di qualche membro dello Stato, come hanno riconosciuto i procedimenti giudiziari. E quanto è accaduto a Genova nel 2001 in un Paese democratico e antifascista non sarebbe stato possibile, lo ha scritto a chiare lettere la Corte europea dei diritti dell’ uomo, invitandoci a fare una legge sulla tortura appunto in relazione a quell’orrore».
I cittadini italiani amano la Costituzione nata dalla Resistenza, come ha confermato il naufragio, nel 2006, del tentativo di riforma del governo Berlusconi, e dieci anni dopo, nel 2016, la straordinaria partecipazione alla consultazione referendaria del 4 dicembre. Al di là del risultato, «in un’epoca di disattenzione, di disaffezione per la politica, decine di milioni di italiani hanno ritenuto di andare a votare, esprimendo un desiderio di partecipazione e di esercizio di sovranità popolare che scritto è nell’articolo 1 della Costituzione, inutilmente però, se non si creano le condizioni per praticare correntemente la partecipazione».
Nel momento in cui il Paese sta vivendo uno dei periodi di maggiore difficoltà, economica e anche culturale, attuare la Costituzione, darebbe una chance al futuro. Oggi la sfida è dunque obbedire alle indicazioni del legislatore e, se questo avvenisse, si compirebbe la vera «rivoluzione democratica». Altrettanto importante è rispettare lo spirito della Costituzione, ricco di socialità, solidarietà, senso della dignità e di antifascismo in ogni sua parte, al là della XII disposizione. Un tema divenuto grave e urgente per il nuovo emergere di gruppi che si ispirano al fascismo, non solo di quello in camicia nera, contrario a tutti i valori contenuti nella Carta. «Per questo abbiamo pensato a un gruppo di lavoro che potesse dimostrare la grande risorsa contenuta nella Costituzione e la sua attualità, elaborando uno strumento di dibattito da offrire al Paese affinché, finalmente la Costituzione possa essere pienamente attuata – ha concluso Smuraglia – prima che fosse troppo tardi».
Pubblicato martedì 23 Aprile 2019
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