Il 3 giugno per l’ANPI sarebbe dovuto essere un giorno di festa, uno dei 5 giorni della festa nazionale, fortemente voluta dopo il covid e la guerra in Ucraina, fortemente voluta da una comunità che vede impellente il pericolo della messa in discussione dei valori fondanti del nostro Paese incarnati nella Costituzione repubblicana, fortemente voluta a Bologna al fine di riconoscere il valore importante del ricordo delle partigiane e dei partigiani e al contempo guardare avanti con gli occhi delle nuove generazioni.
Così non è stato, perché un fatto sinistro quanto eccezionale, ovvero l’alluvione, ce lo ha impedito. Si poteva dunque non andare a Bologna (la festa non si è più svolta… e ci mancherebbe altro!) oppure andarci con la piena consapevolezza dei fatti accaduti, nel rispetto del dramma che ha colpito la Romagna e parte dell’Emilia, perché si fosse in tanti a combattere contro la rassegnazione. Così abbiamo fatto.
Dico abbiamo perché insieme al presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo, al vicepresidente vicario Carlo Ghezzi e a Vania Bagni, della segreteria nazionale c’ero anch’io. Sentivamo il bisogno di recarci nei luoghi del disastro, di stare vicini a coloro i quali erano stati travolti da questa calamità, di abbracciare chi aveva visto cambiare la propria esistenza in pochi istanti, di stare con chi avrebbe voluto far festa ma è stato indotto a salvare la propria vita e quella degli altri e poi indossare stivaloni, guanti e abiti vecchi, munirsi di pala, badile, scopa e arnesi vari per fare comunità, per fare solidarietà, per non lasciare nessuno solo e provare a rinascere tutt’insieme.
È così che l’ottimismo della volontà prende il sopravvento sul pessimismo della ragione! Quanta fatica però, quanta incredulità, quanta commozione a fare da contraltare a un quadro apocalittico. Lungo il viaggio in treno, che ci porta a Bologna, abbiamo in mente le immagini drammatiche andate in televisione e su internet e le tante foto scattate che danno la misura della tragedia, riecheggiano nella nostra mente le richieste di aiuto della gente in difficoltà, degli anziani, dei bambini e ci passano davanti agli occhi le notizie dei giornali che si susseguono a partire dal quel 3 maggio disgraziato, che al culmine della catastrofe (16 e 17 maggio) parlano di 15 morti, 150.000 sfollati (23.000 ancora lo sono), 48 comuni coinvolti dagli allagamenti, 23 corsi d’acqua straripati, oltre 300 tra dissesti e frane e circa 800 strade interrotte. Sappiamo però anche di una macchina formidabile di solidarietà e solerzia nell’intervento per auspicare un ritorno tempestivo alla normalità. Già, perché la gente di Romagna ci ha fatto arrivare un messaggio chiaro, inesorabile: tutti a lavoro per risollevarci e riprendere meglio di prima.
La prima tappa è Conselice. Ad attenderci il gruppo dirigente dell’ANPI provinciale di Ravenna, con in testa il presidente Renzo Savini e la vicepresidente Valentina Giunta. Poi la presidente della sezione ANPI di Conselice, Paola Roccati, e molta gente comune oltre a tanti iscritti dell’ANPI del luogo.
Lungo le strade c’è tanto fango secco e accumuli di materiali devastatati dall’alluvione, irrecuperabili, che si portano dietro le tante storie della tragedia. Sono le cose di una quotidianità violata. Delle acque putride e stagnanti non c’è traccia, si sono riassorbite, ma tanta gente indossa ancora la mascherina per paura di contrarre malattie. E sopra quelle mascherine gli sguardi provati, molti di essi lucidi, ancora lucidi, perché la sofferenza e la paura non passano. Capiamo di rappresentare una sorta di novità, un’ipotesi embrionale di normalità e ci raccontano, e ci parlano e ci fanno capire quanto è importante che il presidente dell’ANPI sia andato a portare un saluto, un pensiero di solidarietà, un abbraccio. E si cerca anche di parlare d’altro e ci raccontano del loro orgoglio: la pedalina.
Quella macchina a pedale pesantissima che per farla andare ci voleva gente robusta, abituata alle fatiche del lavoro, che era stata recuperata in una tipografia di Imola nel pieno della guerra di liberazione, riparata e portata a Conselice ben nascosta nel camioncino di una commerciante di pesce, per stampare materiale di propaganda antifascista in una tipografia clandestina, fino a 18.000 copie dell’Unità in 24 ore, oltre a l’Avanti, Il Popolo, La Lotta, Il Garibaldino, Noi Donne, La Voce Repubblicana, solo per citarne alcuni. È la ragione per cui il 1° ottobre 1944, Pio Farina, Egidio Totti, Cesare Gaiba e Giovanni Quarantini vennero fucilati al poligono di tiro di Bologna. Per stampare anche un solo volantino ci volevano sei pedalate, da fare spesso con l’acqua che arrivava alle caviglie, visto che la tipografia era sottoterra. Una bizzarra coincidenza, quell’acqua che oggi ritorna per invadere migliaia e migliaia di cantine. È l’esempio di come la storia si fonde con l’attualità, come per dire: “noi siamo quelli abituati al sacrificio, abbiamo combattuto e sconfitto i nazi-fascisti, figuriamoci se non veniamo fuori dall’emergenza di oggi”. C’è tanto orgoglio e senso di appartenenza dunque, ribaditi nell’evidenziare l’esistenza di un monumento a questa storia, alla libertà di stampa, in Piazza della Libertà di stampa e capiamo anche perché all’ingresso di Conselice leggiamo un cartello con su scritto: “Conselice Città della libertà di stampa”, come per dire la storia è ancora oggi!
Partiamo alla volta di Faenza. Lungo la strada la cosa che ci colpisce di più è la grande quantità di alberi d’alto fusto e rocce che occupano i letti dei fiumi il cui livello delle acque si è significativamente abbassato. Trascinati dalla forza dirompente delle acque, con la complicità dei terreni oggetto delle frane, questi detriti sono stati trascinati fino ai primi ostacoli che hanno impedito loro di continuare la folle corsa. Il fiume Lomone ne è l’esempio più eclatante! Ci racconta il sindaco Massimo Isola che gli archi sotto i ponti (su tutti il Ponte delle grazie) erano totalmente coperti dalle acque, le quali avevano raggiunto il livello di 10 metri, stante il fatto che il livello massimo di guardia è stimato in 6 metri. Si è rischiato che le acque stesse oltrepassassero i ponti! Una vera tragedia sfiorata nel tempo di poco più di due ore di pioggia torrenziale, a fronte di quel senso d’impotenza contro la forza devastante della natura che lasciava presagire a una devastazione e ad un numero di vittime decisamente maggiore rispetto al reale.
Il sindaco ci riceve in Comune. Accompagnati dalla folta delegazione dell’ANPI di Faenza, ci arriviamo dopo aver fatto tappa nella sede della CGIL ancora ricolma di fango e dove ci colpisce vedere sui muri l’impronta del livello dell’acqua che difficilmente era inferiore a 3 metri. Incontriamo tanta desolazione, abitazioni e locali vuoti, chiusi, devastati. Immagini di una vita come sospesa. L’asilo nido è una cartolina agghiacciante, custodiva ancora giocattoli ricoperti di fango come se dovessero prima o poi tornare a svolgere la propria funzione e continuare ad essere oggetto del divertimento di bambini ignari e inconsapevoli.
Apprendiamo che le abitazioni colpite e pressappoco irrecuperabili sono circa 6.000, che le persone evacuate nella sola città di Faenza sono state 13.000, 800 gli sfollati, 300 ancora lo sono, 32.000 le tonnellate di rifiuti portati via in una settimana. Il fango lungo le strade si era tramutato in povere e quell’odore caratteristico accompagnava i nostri respiri affannati. Le tende della Croce Rossa, della Protezione Civile, di Emergency fungevano da luogo di raccordo e non c’era passo che non facessimo senza incontrare persone, soprattutto giovani, provenienti da ogni parte d’Italia che attrezzati degli strumenti del lavoro e soprattutto di tanta volontà, impolverati e affaticati avevano consacrato le loro giornate alla solidarietà e all’aiuto fattivo di chi era in difficoltà. Di essi ci portiamo dietro l’immancabile compagnia del sorriso, che ci hanno fatto capire essere d’aiuto per chi era in difficoltà più di ogni altra cosa.
Realizziamo che quei giovani sono gli stessi che da anni si battono per farci capire che il clima sta impazzendo e nonostante non vengano ascoltati, soprattutto dai governi, scelgono di essere in prima fila a dimostrazione del fatto che non vivono di soli slogan e mere rivendicazioni ma sanno tirarsi su le maniche per farci capire ancor di più che qualcosa bisogna fare. Uno di loro (proveniente da Trento) ci ha detto che appena arrivato a Faenza la risposta più frequente, di chi era in difficolta e che si andava ad aiutare era: “prova a vedere se c’è qualcuno che ha più bisogno di me io posso aspettare”. Dà il senso di un sentire comune dove l’idea dell’altruismo tra generazioni ma anche tra simili acquisisce i connotati di una lezione di vita!
Salutata la delegazione dell’ANPI di Ravenna che ci ha accompagnati in queste due prime tappe, ci muoviamo verso Cesena, dove l’ANPI di Forlì–Cesena ci attende guidata dal presidente Miro Gori presso le Cucine popolari. Neanche a dirlo sono devastate. C’è l’assessore Verona che fa le veci dell’Amministrazione comunale, c’è anche una delegazione dell’ANPI di Rimini, c’è chi ha perso la casa, la macchina e persino una persona cara ma sa che bisogna assicurare un pasto caldo a chi ha più bisogno, agli ultimi, allora le Cucine popolari si reinventano in altro luogo!
Si fa a gara a intervenire per raccontare la propria esperienza e quei racconti te li senti addosso, perché magari immaginavi l’accaduto e una certa situazione ma davvero non pensavi fosse tutto così tanto! Una situazione surreale, dove tenersi la mano o un abbraccio valgono molto più delle parole! Ci raccontano delle tante abitazioni (interi Comuni) ancora isolati sulle colline, con le vie d’accesso interrotte e con tanti ragazzi che hanno fatto ritorno nei luoghi d’origine per altruismo e senso del dovere!
E ci colpisce ascoltare un racconto che ci ricorda che quelle colline sono state la casa di tante partigiane e partigiani e lì si trovano i tanti sentirei della nostra libertà e si ricorda il Monte Battaglia e tanti protagonisti di gesti eroici. Un modo per sentirsi meno soli e più consapevoli di vedere le cose nel modo giusto! Qualcuno si commuove, altri sdrammatizzano, quel che conta è stare insieme nel momento più difficile!
È la volta di Forlì. Al palasport di Villa Romiti c’è un centro di accoglienza e di smistamento dei beni di prima necessità. Arrivando si capisce la valenza umana del contesto. Ci sono i volontari, ovvero i ragazzi venuti da fuori e la gente del posto. Ci sono i sindaci di altri comuni, c’è quel sottile filo rosso che unisce coloro i quali hanno una coscienza e la usano.
E sarà forse proprio quella coscienza che fa scurire i volti quando un’improvvisa bomba d’acqua, che in altre situazioni sarebbe stata poco attenzionata, all’improvviso pietrifica gli addetti ai lavori e gli ospiti del centro. Acqua sporca di fango scorre lungo le strade, è suggestivo, poi spiove. Si può riprendere ad aiutare! Una volontaria non riesce a trattenere le lacrime quando racconta che la prima cosa che si è inteso fare, è stata quella di dare il senso della normalità ai bambini. Quei 220 marmocchi impossibilitati a frequentare la scuola, che potevano così fare del gioco e dello stare insieme l’alternativa a quella condizione tanto incomprensibile.
E fa male pensare ai tanti adulti che invece non riescono ad andare in quel centro, non riescono a chiedere aiuto, per dignità o forse per vergogna. E quando passi pesanti come macigni si alleggeriscono e ti permettono di avvicinarti a chi semplicemente vuole tenderti la mano, con essi si allenta anche la morsa di quel peso sul cuore che infondo ti fa capire d’aver vinto la battaglia più importante, quella contro la crudeltà del destino. E si scopre di essere almeno in due a provare la stessa, identica emozione: chi riceve e chi dà! La più importante delle conquiste è dunque il superamento di quella solitudine sociale che in certi casi può uccidere almeno quanto la calamità. Con questo clima solidale e consapevole ci si dà appuntamento all’indomani a Bologna dove la solidarietà avrà i connotati della donazione, non mai della beneficenza che avrebbe quasi il sapore dell’elemosina.
Rientriamo arricchiti di tanta umanità, di gesti concreti di altruismo, di tante belle speranze e della certezza di fare parte di un cammino che ancora una volta porterà al traguardo dello stare insieme!
All’indomani siamo in Piazza Lucio Dalla a Bologna. Il 4 giugno in occasione della Festa nazionale si sarebbe parlato, tra gli altri, dei temi del lavoro e dell’indivisibilità della Repubblica parlamentare. Dopo il dramma dell’alluvione si parla di socialità e cooperazione, del ruolo delle istituzioni, dei mutamenti climatici, del sacrosanto valore della persona umana ma anche… del lavoro e dell’indivisibilità della Repubblica parlamentare. Al centro sempre la Costituzione, quel patto tra diversi che guardano nella stessa direzione perché accomunati dalle medesime radici in tema di libertà, di giustizia, di democrazia.
Si pensa a un modello di società nel quale i diritti rappresentano l’ideale punto di partenza nella direzione delle conquiste sociali, culturali, politiche e civili e non un improbabile punto d’arrivo segno di un cammino mai cominciato. Lo slogan della festa “Facciamo Costituzione” diventa “Facciamo solidarietà”.
Sul palco Anna Cocchi Presidente dell’ANPI di Bologna, Federica Mazzoni Presidente quartiere Navile, Matteo Lepore Sindaco di Bologna, Simone Gamberini Presidente nazionale Legacoop, Maurizio Landini Segretario generale CGIL, Stefano Bonaccini Presidente regione Emilia-Romagna, Gianfranco Pagliarulo Presidente nazionale ANPI.
Sotto il palco un popolo di uomini e di donne, senza casacca e senza velleità che stanno semplicemente dalla parte della solidarietà. Una folla che cresce. Ci s’incontra, ci si abbraccia, ci si parla. Si beve un caffè e qualcuno abbozza un sorriso. Indistinto era il popolo dell’ANPI, proveniente da tante parti d’Italia (isole comprese) o più semplicemente da casa, per poter dire “io c’ero”!
Un’organizzazione perfetta. Si sta davvero bene! Una kermesse con la finalità di raccogliere fondi per gli alluvionati, oltre la cospicua sottoscrizione nazionale, oltre un limite plausibile, per stare insieme e non perdere l’abitudine a ragionare, confrontarsi e non dare nulla per scontato.
A conclusione l’immancabile pranzo solidale. Si è davvero in tanti. Molti volti sono quelli visti il giorno prima, che sentivano il bisogno di una certa spensieratezza, altri erano i volti di una comunità che non si arrende a un disegno di società individualista e ipocrita. Ci sono delegazioni di ANPI lontane, penso a Catania, Matera, Bari, Berlino e ancora Teramo, Firenze, Monza (solo per citarne alcune), ci sono le ANPI Emiliano romagnole. Del Comitato Nazionale ANPI notiamo: Susanna Florio, Claudio Maderloni, Paolo Papotti, Renzo Savini, Albertina Soliani e della Presidenza onoraria, Ermete Fiaccadori.
Ci sono rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali, ci sono i giornalisti, tanti giornalisti, discreti e coinvolti! Ci sono i giovani e i meno giovani, c’è un esercito di volontari che lavora nelle cucine. Ci sono le persone! È l’occasione in cui ci si accorge di parlare tutti la stessa lingua. Un bicchiere di buon vino è il valore aggiunto. Il sole ci fa compagnia, che bella suggestione!
Arriva il momento di salutarci, non prima d’aver intonato tutt’insieme Bella Ciao, per ricordarsi sempre da dove veniamo ed esseri sicuri di andare nella direzione giusta.
Pubblicato mercoledì 7 Giugno 2023
Stampato il 04/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/lantifascismo-e-solidarieta-con-anpi-nelle-terre-sommerse-dal-fango/