“A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”. Così Papa Francesco nel suo nuovo libro “La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore”, che uscirà martedì prossimo in Spagna, America Latina e in Italia e successivamente in altri Paesi.
Intanto una risposta all’interrogativo arriva per esempio da una iniziativa promossa dalla Rete Ricerca e Università per la Palestina e dai Docenti per Gaza dal titolo emblematico: Stop genocide day.
Si tratta di due organizzazioni di lavoratori della conoscenza, rispettivamente dell’Università, degli enti e dei centri di ricerca; e della scuola.
La Rete Ricerca e Università per la Palestina (RUP), in particolare, si è formata quest’anno, all’indomani e a partire dalla mobilitazione con cui docenti, studenti e personale amministrativo delle Università, a gennaio, hanno redatto e sottoscritto una lettera al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per chiedere di interrompere bandi e accordi di collaborazione di ricerca con le Università e i centri di ricerca israeliani.
Spesso infatti i risultati delle ricerche effettuate nell’ambito di progetti di ricerca con questi ultimi si traducono in strumenti di guerra – materiali o immateriali – testati e utilizzati contro il popolo palestinese: ciò è possibile attraverso il meccanismo del dual use (doppio uso), che determina l’utilizzabilità anche a fini militari di sistemi e beni a uso civile. La documentazione descrittiva di uno dei più importanti mezzi di finanziamento europei alla ricerca richiama espressamente il dual use, considerandolo un normale esito dell’attività scientifica. Non c’è da stupirsi, se si considera che circa un anno fa la NATO, alleanza militare, si era proposta agli atenei come soggetto finanziatore di progetti di ricerca su pace e cooperazione.
La mobilitazione del personale e degli studenti universitari è dunque specificamente animata dal netto rifiuto a che il proprio lavoro e le proprie ricerche diventino mezzi di oppressione, di guerra e di morte. L’Università italiana, in quanto istituzione della Repubblica, si informa ai principi costituzionali: ripudia quindi la guerra, e la sua ricerca e didattica non è strumento governativo né, men che meno, militare. Insegniamo la Costituzione nelle nostre aule, e la dobbiamo quindi praticare e tutelare anche al di fuori di esse.
Lo “Stop genocide day” è stato indetto non a caso il 4 novembre, Festa delle Forze Armate: con questa scelta i lavoratori della conoscenza di ogni ordine e grado hanno voluto dare a questa giornata un significato ulteriore e diverso, a testimonianza del nostro impegno, spesso sconosciuto al resto dei concittadini, per la pace e per una politica che porti giustizia ed equità, sia nel nostro Paese sia all’estero.
Questa giornata è stata animata in tante Università: Torino, Venezia, Bergamo, Napoli–Federico II e L’Orientale, Bologna, Roma–La Sapienza e Roma Tre, Firenze, Padova, Cagliari, L’Aquila, Pisa–Sant’Anna, Trento, Milano–La Statale, Siena–UniSi e Università per Stranieri. Ciascuna Università ha organizzato proprie iniziative, ma l’evento centrale, che tutti abbiamo seguito, è stato il seminario online “Fermare il massacro. Strumenti pacifici di lotta e liberazione”, con relatori Omar Barghouti, co–fondatore del movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni a Israele), Luigi Daniele, professore di Diritto internazionale di guerra e Diritto internazionale umanitario alla Nottingham Trent University, e Carla Pagano, studiosa di Paesi arabi e islamici, diritti umani e questioni di genere, nonché dottoranda di ricerca presso l’Università di Napoli, L’Orientale.
L’aula virtuale su Zoom è stata velocemente riempita, ed è stato necessario ricorrere ad un’ulteriore piattaforma per soddisfare le richieste di partecipazione; in tanti atenei è stata organizzata la visione collettiva, con docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo. Riassumere tutti i contenuti e gli spunti di riflessione che sono emersi non è facile, anche perché i contenuti del seminario lo hanno reso, in certi momenti, emotivamente molto impegnativo. Si possono però individuare alcuni aspetti particolarmente salienti.
Intanto le finalità della Rete Ricerca e Università per la Palestina: lavorare affinché gli atenei si dotino di codici etici e di procedure che assicurino la dovuta diligenza (due diligence) in relazione alle scelte di ricerca e di collaborazione, nel senso di escludere che essere possano produrre strumenti di violazione dei diritti umani. Ciò pone non solo il problema dei rapporti, tutt’ora in essere, fra alcune Università e centri di ricerca italiani con gli omologhi israeliani, ma anche con soggetti italiani – imprese, organizzazioni, fondazioni – produttori di armi o coinvolti nella produzione e nello spostamento di esse. In questo contesto si inserisce inoltre la questione dei programmi di ricerca che finanziano le università israeliane, dei programmi mediante i quali gli studenti europei svolgono una parte del loro percorso universitario presso università israeliane, degli accordi attraverso i quali gli studenti effettuano tirocini universitari presso imprese israeliane, e comunque produttrici di armi.
Gli aspetti giuridici
Questi i principi che regolano il diritto di guerra e quello umanitario: l’uguaglianza fra le parti in conflitto; l’obbligo per entrambe di osservare il diritto internazionale, che non è reciproco, in quanto, se anche una lo viola, l’altra non è autorizzata a violarlo a sua volta; il principio di proporzionalità nella reazione, quello della distinzione fra obiettivi civili e militari, quello della prevenzione.
Abbiamo visto gli articoli 2 e 3 della Convenzione ONU per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, adottata il 9 dicembre del 1948, che lo definiscono attraverso specifiche caratteristiche. Alla luce di queste disposizioni, il genocidio non è qualificabile come una mera parola, e nemmeno come un’opinione, né personale, né politica – così invece lo si è spesso ritenuto nel dibattito sulla situazione di Gaza. Si tratta invece di una categoria giuridica: è in corso un genocidio laddove ricorra anche uno solo degli elementi indicati nell’art. 2 della Convenzione; e in quanto tale, esso e i comportamenti che gli sono strumentali sono sanzionati, come previsto dall’art. 3.
Il comportamento del governo di Israele a Gaza va dunque osservato e valutato attraverso gli elementi di cui all’art. 2 della Convenzione.
Così ha fatto la Corte internazionale di giustizia: le sue decisioni vincolano gli Stati circa l’interpretazione delle norme di diritto internazionale, per cui, in ragione delle sue sentenze sulla questione palestinese, ogni Stato risulta vincolato a non assistere Israele, configurandosi, altrimenti, complicità nei suoi crimini – sanzionato dal citato art. 3. La Corte, presumibilmente, emanerà nuove e ulteriori decisioni nei confronti dei membri del governo e dell’esercito israeliano, poiché il contesto rivela la precisa volontà di Israele di ribaltare le categorie e le regole del diritto internazionale, faticosamente costruite a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Gaza in tal senso costituisce un laboratorio per testare non solo armi, ma anche pratiche da utilizzare poi, altrove e dappertutto: d’altro canto, storicamente, le persecuzioni sono iniziate nelle colonie e nei territori occupati, e successivamente “importate” all’interno degli Stati colonizzatori.
Occorre dunque presidiare i principi, le regole e le categorie del diritto internazionale, poiché, evidentemente, se il ribaltamento dovesse avvenire – come in buona misura è già successo in Palestina, ma anche in Jugoslavia, in Iraq, a Guantanamo – esse diventerebbero il nuovo “diritto” internazionale. Cioè, un non diritto.
In questo senso, tutti dobbiamo sentirci impegnati, rivendicando il rispetto dei diritti umani: i lavoratori della conoscenza hanno strumenti molto importanti da mettere al servizio degli studenti e della collettività tutta.
Infine, l’organizzazione BDS. Nata su ispirazione delle mobilitazioni pacifiche che hanno indotto il Sudafrica ad abbandonare il regime di apartheid, spesso richiamata da Ilan Pappè nei suoi scritti, è sostenuta dai palestinesi dei Territori occupati, da quelli che vivono nel resto del mondo, da una buona quantità di ebrei, fra i quali sempre più giovani sotto i quarant’anni. BDS ha ottenuto finora importanti risultati, inducendo diverse imprese internazionali a interrompere i rapporti economici con enti israeliani, pubblici e privati.
Durante il dibattito, abbiamo discusso di ecocidio – 20 anni solo per rimuovere le macerie –scolasticidio – le 12 Università di Gaza sono state cancellate, così come l’80% delle scuole – armi a disposizione di Israele – gli USA forniscono missili che hanno un’area di impatto letale di 400 mq, che in un contesto sovraffollato come Gaza sono evidentemente ancor più devastanti.
Il seminario è stato registrato, e sarà possibile rivederlo; intanto sono in programma altre iniziative a sostegno del popolo palestinese. La Rete Ricerca e Università per la Palestina è sia su Facebook che su Instagram, così come Docenti per Gaza.
Francesca Pubusa, docente di Scienze politiche, Università degli studi di Cagliari
Pubblicato domenica 17 Novembre 2024
Stampato il 14/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/se-a-gaza-e-genocidio/