A più di sei mesi dall’annuncio della sua presentazione all’Assemblea di Palazzo Madama, il 29 maggio di quest’anno, il disegno di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza (Atto Senato n. 362) è tuttora fermo presso la Commissione affari costituzionali del Senato, in attesa dell’avvio dell’iter di approvazione che, nella migliore delle ipotesi, non avrà inizio prima del prossimo anno.
I motivi di questo ritardo sono, peraltro, facilmente intuibili e riconducibili a un contesto politico nel quale la scelta dell’Esecutivo di muoversi verso la costruzione di un diritto discriminatorio nei confronti dei cittadini stranieri a vario titolo presenti nel nostro Paese sembra destinata ad ampliare ulteriormente non solo l’opposizione politica e sociale ma anche l’area di insofferenza e di dissenso in seno a una maggioranza parlamentare già fortemente divisa su questo e altri temi.
In questo quadro, il disegno di legge n. 326, di cui è prima firmataria la senatrice Liliana Segre, avanza una proposta caratterizzata da un grande equilibrio e al tempo stesso suscettibile di costituire una significativa novità nel panorama istituzionale: per queste ragioni è auspicabile che, una volta avviato l’esame parlamentare, possano prodursi in Parlamento convergenze trasversali tali da rendere concreta la prospettiva di un insediamento della Commissione in tempi ragionevoli.
Dei contenuti e delle finalità del provvedimento, la senatrice Segre ha fornito un’ampia ed esauriente illustrazione nel corso di un’affollata conferenza stampa svoltasi a Palazzo Madama il 26 ottobre scorso, alla presenza anche delle senatrici Emma Bonino, Elena Cattaneo, Loredana De Petris, anch’esse firmatarie della proposta, nonché della deputata Milena Santerini, proponente di un’analoga proposta di legge nella passata Legislatura.
In questa occasione, la senatrice Segre ha lanciato un allarme sulla proliferazione dei linguaggi di odio e dei comportamenti violenti a sfondo xenofobo, razzista e sessista, sui quali la cronaca ci aggiorna incessantemente, e ha segnalato la necessità di un impegno nella società e nelle istituzioni contro quella che ha definito una fascistizzazione strisciante del senso comune, collocata “appena un gradino sopra l’indifferenza” con cui, ottant’anni fa, l’opinione pubblica italiana accolse la vergogna delle leggi razziali.
Per questo aspetto, la proposta di dare vita a una Commissione si presenta con la duplice caratteristica di costituire un atto che si ricollega alla migliore tradizione politica e giuridica italiana ed europea e, al tempo stesso, di rappresentare una novità importante sul piano istituzionale.
Basta sfogliare l’articolata relazione introduttiva al disegno di legge per cogliere l’ampiezza dei riferimenti di diritto internazionale, comunitario e interno sulla quale esso si basa: dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 e reso esecutivo nel nostro Paese dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881, alla più recente decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio dell’Unione europea, del 28 novembre 2008, che, nella lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia, ricorre al diritto penale; alla decisione n. 9 del 2 dicembre 2009 «Combating Hate Crimes», con cui l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (OSCE) ha invitato gli Stati membri ad adottare misure di prevenzione e repressione degli hate crimes. A questi e altri atti corrisponde, nel diritto interno, una produzione normativa non irrilevante, più o meno recente: la relazione ricorda in particolare la legge 13 ottobre 1975, n. 654, di recepimento della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1966; il decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, più nota come «legge Mancino», che reprime l’incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e, da ultimo, la legge 16 giugno 2016, n. 115, che recepisce la già ricordata decisione quadro europea 2008/913 GAI.
In linea con l’iniziativa legislativa promossa dalla senatrice Segre, successivamente alla sua presentazione, è intervenuta, il 25 ottobre, l’approvazione a larga maggioranza (355 voti favorevoli, 90 contrari e 39 astensioni) da parte del Parlamento europeo della risoluzione non legislativa on the rise of neo-fascist violence in Europe: l’atto, non vincolante, ma di notevole impatto politico, denuncia l’impunità di cui godono, in alcuni Stati membri, le organizzazioni di estrema destra e il conseguente aumento di azioni violente che colpiscono la società nel suo complesso e in particolare minoranze come i cittadini europei di colore e le persone di origine africana, gli ebrei, i musulmani, i rom, i cittadini di Paesi terzi, le persone LGBTI e le persone con disabilità. Sulla base di tali premesse, il Parlamento europeo ha condannato gli atteggiamenti collusivi di politici e autorità di pubblica sicurezza con neofascisti e neonazisti, e ha invitato i Paesi UE a condannare e sanzionare i crimini motivati dall’odio e i discorsi di odio da parte di politici e funzionari pubblici; a predisporre misure idonee non solo a vietare la formazione di gruppi neofascisti e neonazisti, ma anche a istituire unità anti-odio nelle forze di polizia; a contrastare il fenomeno del razzismo, del fascismo e della xenofobia negli stadi e nella cultura sportiva e infine a istituire “programmi di uscita” per aiutare i singoli individui a lasciare i gruppi neofascisti e neonazisti, sottolineando l’importanza dell’istruzione, per sensibilizzare i giovani alla storia e la necessità di non banalizzare la verità sull’Olocausto.
La risoluzione del Parlamento europeo richiama dunque gli Stati membri a una iniziativa più incisiva nel contrasto dei fenomeni richiamati, individuando correttamente la matrice neofascista e neonazista dei crimini e dei discorsi di odio. Le proposte e le iniziative presenti nel disegno di legge n. 326 offrono, in questa prospettiva, più di uno spunto e, per questo aspetto, costituiscono, come si è detto, un’interessante novità sul piano istituzionale, a partire da una impostazione che, anche nella scelta di dare vita a una Commissione di indirizzo e controllo piuttosto che a una Commissione di inchiesta, sembra orientata ad affrontare il fenomeno dei linguaggi e dei comportamenti di odio ponendo l’accento sugli strumenti di contrasto che agiscono sulla correttezza e completezza dell’informazione, sulla diffusione di una cultura della tolleranza e della diversità, sulla conoscenza della storia recente e sulla moral suasion, piuttosto che puntare unilateralmente sulla pur necessaria repressione penale.
Scendendo nel dettaglio della proposta, viene configurato un organismo bicamerale titolare di due funzioni, la prima delle quali, l’indirizzo, comporta lo svolgimento di attività e l’adozione di deliberazioni che sono preliminari alla decisione politica e ne indicano contenuti e fini, mentre la seconda, il controllo, attiene alla verifica delle piena attuazione della decisione stessa, in coerenza con gli obiettivi che ci si proponeva di conseguire. Che i destinatari di tale attività siano in primo luogo le istituzioni, italiane e comunitarie, risulta con chiarezza dall’elencazione dei compiti di cui all’articolo 2 del disegno di legge: la Commissione, infatti “controlla e indirizza la concreta attuazione delle convenzioni e degli accordi sovranazionali e internazionali e della legislazione nazionale relativi ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e di istigazione all’odio e alla violenza, nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico-nazionale, religioso, politico e sessuale”, e questa medesima funzione di indirizzo viene esercitata anche attraverso la formulazione di “osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente al fine di assicurarne la rispondenza alla normativa dell’Unione europea e ai diritti previsti dalle convenzioni internazionali in materia di prevenzione e di lotta contro ogni forma di odio, intolleranza, razzismo e antisemitismo”.
Ancora più interessante, peraltro, è la norma che attribuisce alla Commissione “anche una funzione propositiva, di stimolo e di impulso, nell’elaborazione e nell’attuazione delle proposte legislative”, nonché la promozione di “ogni altra iniziativa utile a livello nazionale, sovranazionale e internazionale”, prevedendo a tal fine non soltanto un’attività di raccolta e pubblicazione di atti normativi, ricerche e dati statistici sui fenomeni di intolleranza e violenza, ma anche la possibilità di promuovere in prima persona “ricerche, studi e osservazioni concernenti tutte le manifestazioni di odio nei confronti di singoli o comunità”. Di questo complesso di attività si prevede inoltre che la Commissione dia conto periodicamente al Governo e al Palamento, con una relazione annuale.
Da una prima riflessione su questo insieme di compiti si può formulare l’ipotesi che, nelle intenzioni dei proponenti, la funzione di indirizzo e controllo della Commissione non sia rivolta esclusivamente alle istituzioni, ma apra una finestra anche sulla società civile e si proponga di interloquire direttamente con essa: una sorta di interfaccia tra istituzioni e società (“un faro” acceso su problemi che non si possono più ignorare, lo hanno definito la senatrice Cattaneo), che oltre a valorizzare le iniziative già in corso, ripropone meritevolmente anche l’idea, da troppo tempo negletta, della rappresentanza politica come espressione di una pedagogia civile che è tutto l’opposto dell’uso dei linguaggi d’odio a fini di mero vantaggio elettorale che caratterizza oggi alcune formazioni politiche.
Proprio in ragione di questa interlocuzione articolata a diversi livelli, infine, l’iniziativa legislativa promossa dalla senatrice Segre si inscrive a pieno titolo all’interno del discorso sull’attuazione della Costituzione repubblicana, in quanto può concorrere a diffondere e fare vivere i valori di solidarietà, fraternità e dignità della persona umana, contro ogni forma di discriminazione, – e quindi, in una parola, una cultura della legalità costituzionale – non soltanto nel Paese legale, ma anche e soprattutto nel Paese reale, aprendo prospettive diverse, di dialogo e di convivenza civile, laddove oggi solitudini, povertà e perdita di prospettive per il futuro covano il rancore che può tradursi in linguaggi e comportamenti di odio contro i più deboli e vulnerabili.
Si tratta di fenomeni spesso spontanei, prodotto di un degrado culturale e sociale al quale non si è saputo fare fronte nel corso degli anni, ma anche di uno progetto politico che, all’insegna del mai tramontato principio del divide et impera, è stato frequentemente e con successo utilizzato dalle classi dominanti per scaricare le tensioni sociali nel conflitto dei penultimi contro gli ultimi. Anche per queste ragioni, oltre che per quelle già indicate, è ragionevole pensare che l’iter di approvazione di questa iniziativa legislativa non sarà facile. Come ha sottolineato la senatrice Bonino nel corso della conferenza stampa, trattandosi di una proposta alla quale è difficile contrapporsi frontalmente, non mancherà un’opposizione occulta, con tentativi di rinvio, imboscate e trabocchetti procedurali di varia natura.
Per questa ragione, è importante accendere i riflettori per tenere alta l’attenzione verso una iniziativa di civiltà, che si propone di rompere i muri dell’indifferenza e contrastare forme gravi di degrado della vita pubblica e che, una volta resa operativa Commissione, potrà anche aiutare l’istituzione parlamentare a recuperare, almeno in parte, il prestigio e la credibilità che si sono andate progressivamente logorando nel corso degli anni.
Pubblicato venerdì 7 Dicembre 2018
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