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Come e quanto è cambiata la destra radicale e neofascista nel passaggio del secolo? Quali sono le sue radici politiche e sociali, e in che misura sono riconducibili al fascismo storico? Lungo quali linee e con quali contenuti deve svolgersi un’azione efficace di contrasto? Questi e altri interrogativi sono stati al centro dell’incontro organizzato il 27 maggio a Roma dall’ANPI, a coronamento delle oltre cento iniziative promosse in tutta Italia nell’ambito della giornata nazionale antifascista.

Il seminario

“Essere antifascisti, oggi”, come recita il titolo dell’evento, significa anche essere consapevoli delle insidie che si nascondono dietro la miriade di sigle neofasciste e neonaziste presenti in tutta Europa: un fenomeno troppo a lungo sottovalutato e ridotto al rango di manifestazioni minoritarie di nostalgici prive di una reale capacità di incidenza nelle evolute società occidentali. Nei fatti, le vicende più recenti descrivono una situazione alquanto differente, con una destra radicale che, nelle sue varie forme, cerca di varcare i ristretti confini sociali entro i quali era rimasta a lungo confinata, di sfruttare il disagio diffuso in tempi di crisi, e di ritagliarsi quegli spazi che l’hanno condotta, nel giro di poco tempo, a espandere la propria influenza politica. Come dimostrano – ha ricordato il presidente Smuraglia introducendo la discussione, dopo il saluto portato a nome della sindaca Raggi dall’assessore Flavia Marzano – il non trascurabile risultato di candidati ultranazionalisti e xenofobi nelle elezioni in Francia, in Austria e in Olanda (premessa ed effetto della vittoria di Donald Trump), la deriva autoritaria nei governi ungherese e polacco, sempre meno compatibile con i valori dell’Europa democratica, nonché il crescente condizionamento che la destra radicale esercita su molte formazioni moderate o conservatrici, oggi più prossime alle posizioni oltranziste da cui avevano avuto cura di distinguersi in passato.

La galassia nera

Si intensificano dunque, non senza successo, i tentativi dei gruppi neofascisti di rivolgersi ai settori più colpiti dalla crisi economica, tradizionale area di insediamento delle forze di sinistra, e in particolare ai più giovani, presentandosi come alternativa di sistema, anche attraverso un uso spregiudicato e aggressivo dei social network (si veda in proposito la più volte citata inchiesta di Patria sulla galassia nera di Facebook). Attraverso il web vengono veicolati non solo contenuti razzisti, xenofobi e sessisti, ma anche un messaggio sovranista e sciovinista che ripropone lo schema di una comunità chiusa nei confronti degli estranei (siano essi diversi per lingua, etnia, classe sociale o orientamento sessuale), spostando sul piano razziale il conflitto di classe e formulando una risposta semplice e diretta a una diffusa domanda di protezione, che si presenta come rivendicazione di privilegi, e non istanza di giustizia sociale, pur derivando delle nuove e crescenti diseguaglianze. Queste ultime, come ha affermato Susanna Camusso nel portare l’adesione della CGIL all’iniziativa, sono il prodotto di politiche di governo mirate pressoché ovunque allo smantellamento di un sistema di welfare universalistico, con la conseguente negazione dell’idea che la tutela sociale sia un diritto uguale per tutti, oltre che di una legislazione del lavoro che ha intensificato la competizione tra lavoratori, accentuando in particolare l’ostilità dei residenti nei confronti degli immigrati.

Guido Caldiron, giornalista e scrittore

Guido Caldiron e la “socializzazione negativa”

Si incentiva così la guerra dei penultimi contro gli ultimi, che produce i fenomeni di violenza efficacemente definiti dalla relazione di Guido Caldiron, di “socializzazione negativa”, dalla quale scaturiscono le manifestazioni popolari spesso animate dai gruppi neofascisti, per la chiusura di centri di accoglienza, o di centri rom, vero e proprio terreno di coltura di una violenza diffusa, vissuta dai protagonisti non come atto di sopraffazione, ma come legittima autodifesa di comunità minacciate dalle presunte usurpazioni di coloro che ne sono fuori.

Numerose relazioni si sono soffermate sui precedenti che hanno condotto alla situazione attuale, in un contesto culturale e politico alimentato in primo luogo dalle molte rimozioni che caratterizzano il discorso pubblico in Italia, un Paese che non ha mai fatto i conti fino in fondo con il proprio passato fascista.

Lo storico Claudio Silingardi, direttore generale INSMLI

Claudio Silingardi e le narrazioni della Resistenza

Nell’immediato dopoguerra, ha spiegato Claudio Silingardi, direttore generale dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, anche la narrazione pubblica della Resistenza da parte dell’antifascismo – come secondo Risorgimento, per le componenti moderate, come guerra di popolo per quelle progressiste – ha finito con l’assecondare involontariamente la diffusa aspirazione a minimizzare le responsabilità specificamente italiane nelle aggressioni coloniali, nei crimini perpetrati durante la guerra prima, e dopo l’8 settembre da parte delle milizie della RSI, e nella persecuzione antiebraica. Dopo il periodo del centrismo, caratterizzato dalla sostituzione dell’antifascismo con l’anticomunismo governativo, incoraggiato a rimuovere la memoria storica della guerra di Liberazione anche dal fallimento dell’epurazione; dopo il recupero del paradigma resistenziale come elemento fondativo dell’identità repubblicana, a partire dal luglio 60 e nella stagione dello stragismo; dopo i dibattiti sulla guerra di Liberazione degli anni 70 e 80, la crisi della Prima Repubblica si è manifestata anche nell’affermazione di forze politiche che hanno esplicitamente cercato la loro legittimazione nel superamento della Costituzione nata dalla Resistenza, già ipotizzato nei precedenti dibattiti sulla “Grande Riforma”.

Sul finire del secolo, la conclusione della parabola del MSI – richiamata da Guido Caldiron – con la sua trasformazione in Alleanza Nazionale e l’ingresso dei suoi esponenti nell’area di governo, ha avuto tra i suoi effetti la nascita di una serie di gruppi che si richiamavano esplicitamente al fascismo storico, incoraggiati da un clima politico e culturale di denigrazione sistematica della Resistenza, presentata sulla scorta dell’interpretazione delineata in primo luogo da Renzo De Felice, come lo scontro violento tra due minoranze estranee al comune sentire di una società assorbita nella preoccupazione della sopravvivenza quotidiana, e collocabili sullo stesso piano dal punto di vista dei valori. Questa visione banalizzata della guerra di Liberazione, propagandata capillarmente dalla televisione, ha portato con sé una sistematica mistificazione della natura oppressiva e brutale del fascismo, presentato invece in modo assolutorio come dittatura “mite”, mentre la guerra e prima ancora la legislazione antiebraica erano letti come incidenti di percorso, e la Repubblica sociale come espediente difensivo dalla vendetta tedesca.

Claudio Vercelli, storico, Università del Sacro Cuore di Milano

Claudio Vercelli e “l’aristocrazia guerriera”

Queste e altre alterazioni della storia hanno contribuito ad attenuare la percezione dei rischi legati al neofascismo che, pur presentando tratti di continuità con il passato, se ne differenzia per altri aspetti, messi in luce nella relazione di Claudio Vercelli: in questo quadro, l’idea di un’Europa unita da vincoli di omogeneità biologica e razziale, sul modello del nuovo ordine nazista, può esercitare, a fronte del fenomeno migratorio, una forte attrazione su gruppi sociali e generazionali fortemente colpiti da una crisi non solo economica e sociale, ma che investe l’idea stessa di rappresentanza politica democratica. Incoraggiati da una mutazione dei linguaggi che ha fatto cadere le remore preesistenti su un discorso pubblico apertamente razzista e sessista, i gruppi neofascisti ripropongono un’idea di società organica e omogenea, governata da “un’aristocrazia guerriera”, senza conflitti (presentandosi essi stessi come l’incarnazione del superamento tra la “vecchia” distinzione tra destra e sinistra), contrapposta all’Europa dei tecnocrati e della finanza: un discorso che trova i suoi punti di forza nella crisi di credibilità in cui le politiche neo liberiste di austerity hanno fatto precipitare l’ideale democratico dell’unità politica del Vecchio continente.

Il politologo Piero Ignazi – Università di Bologna

Piero Ignazi e lo spirito di Ventotene

Proprio nel recupero dei fondamenti resistenziali dell’ideale europeista, nato non in una sede istituzionale ma nel confino di Ventotene, Piero Ignazi ha indicato uno dei temi qualificanti sui quali è possibile dare vita a nuove convergenze politiche e sociali, nello spirito unitario che fu proprio dell’antifascismo storico, e che oggi, sia pure in un contesto profondamente mutato, può operare efficacemente, soprattutto se coniugato con un forte impegno di contrasto alle diverse forme di razzismo e di xenofobia. Pur esprimendo l’avviso che i gruppi neofascisti costituiscano una realtà politicamente marginale, il relatore ha sottolineato la pervasività e il potenziale espansivo delle posizioni antieuropeiste e razziste: soprattutto in Italia, dove ancora si avvertono i guasti prodotti nello spirito pubblico durante il governo della destra, occorre contrapporre a esse la prospettiva di un “patriottismo costituzionale”, basato su un sentimento di appartenenza costruito non sull’omogeneità razziale o nazionale, ma sulla condivisione di regole in grado di garantire spazi effettivi di libertà e di inclusione e di riportare sul terreno della democrazia in primo luogo i gruppi sociali più disagiati, che se ne sono distaccati in questi anni.

L’intervento di Piero Ignazi ha dato l’avvio alla sessione pomeridiana del seminario dedicato ai contenuti e agli strumenti di contrasto del neofascismo, introdotta dalla presidente dell’Istituto Cervi, Albertina Soliani, che si è soffermata sul significato storico della sconfitta del nazifascismo e sulla profondità della crisi odierna della democrazia, oltre che sui nuovi compiti che essa pone all’antifascismo.

Stefano Oliviero – Università di Firenze

Stefano Oliviero e l’immaginario giovanile

Stefano Oliviero, intervenendo sui temi della formazione, ha prospettato un ripensamento del concetto di generazione, dal quale partire per misurare la profonda distanza che separa oggi gli ideali dell’antifascismo da un immaginario giovanile orientato su valori, stili di vita e di consumo profondamente diversi da quelli che, ad esempio negli anni 60 o 70, resero le nuove generazioni fortemente permeabili ai valori della Resistenza. Occorre inoltre rimuovere luoghi comuni consolidati su una presunta insensibilità culturale dei cosiddetti “nativi digitali”, per agire efficacemente sul piano della comunicazione e dare vita a percorsi formativi nei quali, superando anche l’idea poco efficace del “passaggio di testimone” tra generazioni, si lavori su una condivisione della memoria che sia condivisione di valori e di identità, così che il recupero della memoria stessa non si riduca a operazione di mera nostalgia, ma restituisca il valore di un tessuto sociale e culturale al di fuori del quale il dialogo tra generazioni può rivelarsi impossibile.

Il Sindaco di Udine, Furio Honsell

Furio Honsell e la promozione dei diritti

Alle difficoltà e alle resistenze nell’assunzione di posizioni chiaramente antifasciste nelle amministrazioni locali ha dedicato il suo intervento il sindaco di Udine, Furio Honsell, che ha sottolineato il ruolo strategico dei comuni su temi cruciali come l’accoglienza e la promozione dei diritti civili a fianco dei diritti sociali.

Maurizio Viroli, Professor of Politics, Emeritus – Princeton University

Maurizio Viroli e le passioni civili

Maurizio Viroli si è richiamato al nesso stabilito tra l’avvento del fascismo e la fiacchezza della coscienza civile degli italiani da pensatori come Croce, Gobetti e Carlo Rosselli, per prospettare una rilettura della Costituzione come catalogo dei doveri nei quali va ricercato il fondamento di una cittadinanza democratica che deve alimentarsi di forti passioni civili, a partire dall’amor di patria, così come lo hanno concepito i protagonisti del Risorgimento, e che il relatore ha distinto dal “patriottismo costituzionale” delineato da Piero Ignazi.

Alessandra Galluccio, dottoressa di ricerca in Diritto penale –
Università degli Studi di Milano

Alessandra Galluccio e la legislazione vigente

La relazione di Alessandra Galluccio, sugli strumenti offerti dalla legislazione penale al contrasto al neofascismo, ha quindi richiamato i contenuti delle due principali normative, la legge Scelba del 1952 e la legge Mancino del 1993: la prima, più direttamente finalizzata alla repressione delle attività di promozione e organizzazione di gruppi neofascisti e delle attività prodromiche quali l’apologia; la seconda, volta a colpire i comportamenti e le organizzazioni rivolte al promuovere l’odio razziale, etnico e religioso, elementi peraltro costitutivi dell’ideologia fascista. È stato quindi posto in evidenza il limitato ricorso a questi strumenti da parte della magistratura, in particolare per quanto riguarda la legge Scelba, anche in conseguenza di una lettura restrittiva fornita dalla Corte costituzionale, volta a circoscriverne l’applicazione alla repressione degli atti esplicitamente volti alla sovversione dell’ordinamento democratico. Restano tuttavia disponibili le misure previste dalla legge Mancino, che possono essere utilizzate anche per le violazioni della legge Scelba; peraltro, sul contrasto ai comportamenti e alle attività razziste e xenofobe, sono rilevanti anche gli orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, che si è più volte pronunciata in via preliminare sul carattere abusivo, in quanto confliggente in radice con i principi democratici ai quali si ispira l’ordinamento europeo, dei ricorsi presentati da privati che invocavano la libertà di espressione del pensiero come pretesto per veicolare contenuti ispirati all’odio razziale e religioso. Esistono dunque margini per perfezionare la legislazione vigente, anche per quanto riguarda le necessarie misure contro i messaggi neofascisti diffusi attraverso Internet, ma al tempo stesso – ha concluso la relatrice – non bisogna dimenticare che la tutela penale deve essere considerata uno strumento da utilizzare in ultima istanza, sia per scongiurare il rischio di dare un’indesiderata visibilità a contenuti razzisti e negazionisti, sia perché una piattaforma etico-politica condivisa può rivelarsi ben più efficace nell’opera di contrasto del neofascismo.

Il Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia,

Carlo Smuraglia e il predominio delle ragioni dei mercati

Il dibattito, arricchito dal saluto della presidente dell’ARCI Francesca Chiavacci, nonché dalla lettura degli importanti messaggi di adesione della Presidente della Camera Boldrini e del Ministro dell’interno Minniti, è stato concluso dal presidente Smuraglia, il quale, dopo avere espresso l’auspicio che in futuro la riflessione sull’attualità dell’antifascismo trovi un’attenzione maggiore di quella registrata finora nel mondo dell’informazione e in quello della politica e delle istituzioni, si è soffermato su quelle che ha definito le difficoltà che si incontrano oggi nell’assumere una posizione coerentemente antifascista. Quest’ultima deve in primo luogo guardare oltre le frontiere nazionali e rivolgere la sua attenzione a un’Europa che oggi appare profondamente distante dai suoi stessi principi costitutivi: l’antifascismo deve costituire un baluardo efficace contro gli egoismi, i nazionalismi, i razzismi prodotti in ultima analisi dalla deriva neoliberista, che ha condotto a un predominio delle ragioni dei mercati su quelle del diritto e persino dell’umanità.

Perché tale azione sia più efficace, occorre inoltre valorizzare la conoscenza della storia recente e la capacità di tramandare la memoria dell’antifascismo e della Resistenza, a partire dalle istituzioni scolastiche: in particolare, occorre lavorare sulla memoria non solo come narrazione individuale, ineluttabilmente segnata dalla parzialità propria di ogni storia di vita, ma come trasmissione di un sistema di valori e di un’etica della responsabilità nella quale le nuove generazioni possano riconoscersi. Peraltro, proprio nella parzialità e nelle reticenze della memoria pubblica sul passato recente del Paese vanno ricercate le radici della carente connotazione antifascista dello Stato italiano che, è bene ricordarlo, dopo il varo della Costituzione repubblicana, ha mantenuto al loro posto, spesso in posizioni di vertice, personaggi gravemente compromessi con il fascismo. Le istituzioni devono essere richiamate alle loro responsabilità: così, se è senz’altro giusto considerare lo strumento della repressione penale come una misura di ultima istanza, non si deve d’altra parte rinunciare a rafforzare il profilo antifascista delle istituzioni anche dal punto di vista della normativa. Sarebbe pertanto auspicabile che già nelle imminenti consultazioni elettorali si procedesse a escludere le liste contraddistinte da emblemi e parole d’ordine fasciste.

Occorre perciò rendere più efficace e più articolata l’iniziativa dell’antifascismo, tenendo presente la molteplicità e la gravità dei sintomi di un rigurgito neofascista che si presenta sotto varie forme, investe ormai gran parte dell’Europa e si affaccia in altre parti del mondo. Per tali ragioni, sempre nella prospettiva di una visione globale del problema, il presidente Smuraglia ha concluso richiamando l’impegno dell’ANPI a rendere più intensi e continuativi i rapporti con la Federazione Internazionale dei Resistenti.