
risale a prima della deportazione
Sin dal loro arrivo in Europa, agli inizi del XV secolo, gli zingari sono osteggiati per il loro nomadismo, mal visto dalle autorità politiche, impegnate proprio in quel periodo a sottoporre a un rigido controllo tutti i comportamenti e i modi di vivere ritenuti difformi dall’ordine sociale e dal quadro di valori dominanti. Accusati di essere un popolo di incalliti vagabondi, borseggiatori, finti mendicanti e indovine, non riusciranno a scrollarsi di dosso questo fardello di pregiudizi, finendo con l’essere il bersaglio di apposite legislazioni, che prevedevano varie misure repressive, fra cui l’espulsione e il divieto d’ingresso nelle città [4].

In Germania, dove Sinti e Rom costituivano una piccola minoranza, nella seconda metà dell’Ottocento i Länder [5] emanarono delle regolamentazioni miranti a porre fine all’afflusso degli zingari stranieri, in particolare quelli appartenenti alle tribù Rom provenienti dai Balcani. A cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, i governi regionali tedeschi assegnarono alla forza pubblica l’incarico di vigilare sugli zingari. Nel 1899 in Baviera, presso il comando generale di polizia di Monaco, venne creato un ufficio di coordinamento degli interventi contro gli zingari. Nel 1903, nel Württemberg si cercò con un decreto di far fronte alla cosiddetta «piaga degli zingari». Comunque, ciascun land badava a ‘liberarsi’ nel modo più sbrigativo possibile della loro presenza. Al fine di uniformare la legislazione anti-zingara e di concertare una strategia comune, il ministro degli Interni bavarese invitò, nel 1911, i suoi colleghi di Prussia, Sassonia, Württemberg, Baden, Assia e Alsazia-Lorena a partecipare a una conferenza che tuttavia – svoltasi poco prima di Natale – non approdò a nulla.

Durante il Primo conflitto mondiale gli zingari subirono ulteriori restrizioni: il timore delle spie e le esigenze dell’economia di guerra indussero le autorità tedesche a proibire di fatto gli spostamenti e ad adottare regole ancora più dure in materia di controlli. L’attenzione della polizia non scemò neppure nel periodo della Repubblica di Weimar (1919-1933), benché agli zingari fossero stati riconosciuti pieni diritti di cittadinanza. Un decreto prussiano del 1920 vietò addirittura alle bambine e donne zingare di trattenersi nelle terme e stazioni termali, in modo tale da contenere l’esercizio del ‘mestiere’ di indovina. Questa limitazione sarebbe stata poi imposta dai nazisti anche agli ebrei. Nel 1926, nonostante l’opposizione di socialdemocratici e comunisti, la Baviera – ancora una volta all’avanguardia nell’emanare provvedimenti anti-zingari – fu il primo land che andò oltre le semplici regolamentazioni di tipo amministrativo, introducendo una vera e propria legislazione relativa agli zingari, assimilati – in base a un radicatissimo pregiudizio – ai vagabondi e agli oziosi. Un anno dopo il ministero degli Interni prussiano giunse a ordinare alla polizia di prendere le impronte digitali a ogni zingaro di età superiore ai sei anni che non fosse in grado di dimostrare di avere un domicilio fisso.

Per risolvere «il problema degli zingari» il nazismo, ossessionato dall’incubo del meticciato e dei cosiddetti «asociali», ricorse a qualsiasi mezzo: dalle operazioni di «custodia preventiva» all’elaborazione di una meticolosa tassonomia razziale, alla «sterilizzazione coatta». Inizialmente la polizia criminale prese di mira soprattutto gli zingari nomadi, colpendoli con vaste retate. In occasione delle Olimpiadi del 1936, ideate per offrire al mondo un’immagine ‘accattivante’ dei risultati raggiunti in breve tempo dal nazismo, si cercò di occultare gli zingari alla vista del pubblico e dei visitatori, confinandoli a Marzahn, in una discarica vicino al cimitero municipale nella periferia di Berlino, che verrà in seguito dichiarata campo di concentramento. Campi ancor più coercitivi per gli zingari saranno quelli aperti in Austria dopo l’annessione alla Germania hitleriana nel marzo 1938. Intanto, dal 1936 i Lager – i «macina-ossa», «i bidoni dell’immondizia della nazione» – si andavano riempendo, oltre che di oppositori politici, di persone arrestate per motivi di ideologia razziale e di «igiene sociale»: ebrei, sinti e rom, omosessuali.

Proprio nel 1936 Robert Ritter (1901-1951), psicologo e medico di Tubinga, venne posto dal ministero degli Interni del Reich alla testa del nuovo Istituto di ricerca sull’igiene razziale [7] e la biologia demografica. Affiancato dall’équipe dei suoi collaboratori, tra i quali gli antropologi Adolf Würth, Gerhard Stein e la sua assistente, Eva Justin, puericultrice diplomata, condusse vaste indagini, fornendo al governo nazista i criteri in base ai quali classificare e mettere al bando i sinti e i rom. Nel 1940 convintamente asserì che «la questione zingara potrà considerarsi risolta solo quando il grosso di questi ibridi zigani, asociali e fannulloni […] sarà radunato in campi di concentramento e costretto al lavoro, e quando l’ulteriore aumento di queste popolazioni sarà definitivamente impedito» [8]. Come traspare anche da questa affermazione, nell’avversione nei confronti degli zingari si saldavano i pregiudizi di tipo sociale del razzismo antropologico e le teorie pseudo-scientifiche del razzismo eugenetico. Secondo la visione di un ‘esperto’ e ‘scienziato’ come Ritter, che non sarà condannato nel dopoguerra a nessuna pena, la pericolosità – o «asocialità» – degli zingari era di natura ben diversa da quella degli altri individui e gruppi sociali tenuti sotto controllo per ragioni di ordine pubblico, in quanto era una tara, una malattia ereditaria, alimentata dal famigerato istinto al nomadismo (il Wandertrieb). Razza deviata e vagante, gli zingari sarebbero stati geneticamente portati a delinquere, a comportarsi come oziosi, ladri, truffatori e criminali. Bollati come elementi socialmente pericolosi, andavano dunque messi nella condizione di estinguersi, impedendone la riproduzione.

In un memorandum steso più di un anno, dopo Tobia Portschy, governatore della Stiria, ribadì la necessità di sterilizzare gli zingari «per ragioni di sanità pubblica» e per salvaguardare «la purezza del sangue dei contadini e il loro genere di vita» [11]. Sempre più la burocrazia tedesca e le articolazioni dello Stato nazista propendevano per una «soluzione permanente» (restlose Lösung) o una «soluzione radicale» (Radikallösung) del «problema degli zingari» [12], che ai loro occhi apparivano un’insopportabile anomalia dell’ordine sociale e una grave minaccia all’integrità della razza.

Spesso sono state le istanze inferiori e medie del partito nazista e dello Stato tedesco a prendere iniziative miranti ad accentuare persecuzioni e vessazioni ai danni dei “diversi”, innescando, in questo modo, una letale interazione con le direttive dei vertici del Terzo Reich. Nell’intento di proteggere il corpo della nazione tedesca dalla «nocività» degli zingari, si procedette dalla seconda metà degli anni Trenta alla «sterilizzazione coatta» di numerosi Sinti e Rom. Questa misura, definita da Lev Poliakov «genocidio mediante gli “ostacoli alla fecondità dei popoli”» [16], è stata portata avanti con pratiche mediche sommarie e atroci, prima negli ospedali, poi nei Lager.

Se non si tiene conto delle pratiche “biopolitiche” messe in campo a tutela della «vita non degenerata», non si può comprendere a fondo la logica omicida dei campi nazisti, dove «l’arbitrio [divenne] legale e la legge arbitraria» [17]. L’eliminazione di massa dei “diversi”, a partire dall’«Operazione Eutanasia» – l’Aktion T4 contro i disabili –, era legittimata da un imperativo terapeutico, finalizzato al controllo assoluto sul futuro biologico della stirpe. Di fatto, si trattava di un assassinio premeditato su vasta scala, giustificato e mascherato con motivazioni pseudo-scientifiche. Non c’era posto – in alcun modo – per disabili, ebrei, sinti e rom nel Nuovo Ordine, assoluto e disumano, che la Germania nazista intendeva edificare nel Vecchio Continente con la collaborazione dei fascismi europei; un Nuovo Ordine, basato sull’ineguaglianza tra i popoli e gli uomini.

In questa prospettiva, centrale era la guerra a Est contro il «giudeo-bolscevismo», di capitale importanza era il Generalplan Ost, la cui attuazione prevedeva l’asservimento, la repressione e l’annientamento di intere popolazioni dell’Urss e dell’Europa orientale. Con l’aggressione all’Urss gli stessi carnefici stabilirono un nesso strettissimo tra la conquista dello «spazio vitale» e lo sterminio delle «razze inferiori»: primato imperiale, superiorità razziale e liquidazione dei «sotto-uomini» dovevano andare di pari passo. Perciò, con l’avvio dell’Operazione Barbarossa (22 giugno 1941) si accelerarono e radicalizzarono le dinamiche persecutorie e sterminatrici, dando luogo a un generale imbarbarimento del conflitto. A farne le spese maggiori furono le popolazioni sovietiche. Scattò allora la caccia agli ebrei, ai commissari politici bolscevichi, ma anche agli zingari dell’Europa orientale, trattati come spie e sistematicamente passati per le armi. Proprio durante i combattimenti a Est i Sinti e i Rom vennero classificati, per la prima volta, come nemici infidi da sopprimere fisicamente. Si intensificarono, pertanto, le fucilazioni indiscriminate per «sospetto spionaggio» a opera delle Einsatzgruppen SS, che si accanirono specialmente contro i gitani itineranti.

Eravamo diventati, come dire, insensibili. Nessun sentimento, niente. Se fosse venuto qualcuno e ci avesse messo tutti al muro non avremmo neanche avuto la forza di gridare: «aiuto!». Senza lacrime, senza paura, senza niente. […]. Talmente assurdo era quello che ci stava succedendo.In un lager la capacità di «sentire», di provare pietà per gli altri dopo un po’ si perde. Schiacciare gli altri, picchiare, rubare, sono queste le cose che contano, perché sono queste le cose che ti aiutano a sopravvivere. Alla fine, se ti fermi a guardare veramente questi uomini, così come ho fatto io, se li studi, se li osservi attentamente, ti accorgi che non sono più uomini, ma animali, animali con un’espressione sul volto che non significa più nulla. Di nessuno di loro puoi dire quello è cattivo o quello è buono. Ognuno è talmente sfinito, distrutto, da non esistere più come individuo, da non vedere e non sentire più nulla. […]. No, oramai non eravamo più esseri umani [20].

Eppure, il 16 maggio 1944, muniti di coltellini preparati di nascosto e di altre piccole armi, animati dalla forza della disperazione, quelli che erano rimasti tra gli zingari di Auschwitz, soprattutto le donne, seppero dar vita ad una rivolta “a mani nude”, che sventò il piano delle SS di svuotare per intero lo Zigeunerlager. Le SS porteranno a termine il loro compito qualche mese più tardi, nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1944, quando scoccò l’ultima ora per gli occupanti del settore degli zingari. Nel gennaio 1945, alcuni giorni prima della liberazione del campo, solo quattro rom risposero all’appello. Era, questo, l’esito dell’applicazione dell’Auschwitz-Erlass del 16 dicembre 1942, con cui Himmler dispose che tutti gli zingari fossero spediti nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Ciò che […] non ha precedenti storici di alcun tipo è lo sterminio di Stato degli ebrei e degli zingari Sinti e Rom operato dai tedeschi su scala quasi industriale. L’eccezionalità non sta tanto nello sterminio come metodo, ma in un genocidio compiuto attraverso un’organizzazione amministrativa gestita dallo Stato, come se si trattasse di un servizio pubblico di disinfestazione. Con l’allestimento delle fabbriche dello sterminio destinate ad accogliere popolazioni intere, dai lattanti ai vecchi, deportate da migliaia di chilometri di distanza, per distruggerle senza lasciare tracce e per sfruttarle come «materia prima», si è messa in atto non solo una nuova pratica omicida, ma si è raggiunto il punto più alto nella storia delle realizzazioni negative del potere sociale e dell’organizzazione moderna [21].
Francesco Soverina, storico
[1] In romanès, lingua ufficiale della comunità zingara, vuol dire distruzione, divoramento.
[2] Il termine zingaro (o zigano) – dalla connotazione dispregiativa – che proviene dalla denominazione bizantina atziganoi, rinvia alla falsa origine egiziana dei vari gruppi del popolo rom. Questi, invece, erano originari dell’India nord-occidentale, da cui si diffusero tra il X e il XVI secolo in Europa e nell’Africa settentrionale, «conservando – come si legge nella voce del Dizionario on-line della Treccani – le tradizioni di vita nomade in carri e accampamenti, e di attività non fisse come il commercio di cavalli, la lavorazione e riparazione di oggetti di rame, la musica ambulante, la chiromanzia e l’accattonaggio».
[3] Z. Bauman, Modernità e Olocausto, il Mulino, Bologna 1992.
[4] Cfr. D. Kenrick, G. Puxon, Il destino degli zingari. La storia sconosciuta di una persecuzione dal Medioevo a Hitler, Rizzoli, Milano 1975; nonché si veda di M. Tomasone, Il Porajmos: l’olocausto dei Rom, in F. Soverina (a cura di), Olocausto/Olocausti. Lo sterminio e la memoria. Prefazione di L. Cortesi, Odradek, Roma 2003, in particolare pp. 93-97.
[5] Sono gli Stati federali tedeschi.
[6] A Guenter Lewy si deve un’opera (La persecuzione nazista degli zingari, Einaudi, Torino 2002), in cui si ricostruisce e si analizza il trattamento riservato dal nazismo alle decine di migliaia di sinti e di rom che, per quanto di cultura nomade, vivevano entro i confini del Terzo Reich.
[7] L’espressione «igiene razziale» è del medico tedesco Alfred Ploetz (1860-1940), che nel 1895 pubblicò un libro nel quale sosteneva la superiorità della razza germanica.
[8] Citazione tratta da G. Boursier, Lo sterminio degli zingari durante la seconda guerra mondiale, in «Studi storici», n. 2, aprile-giugno 1995, p. 365.
[9] Landrat sta per presidente distrettuale.
[10] Citato da G. Lewy, La persecuzione nazista degli zingari, cit., p. 74.
[11] L. Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi, Torino 1977, p. 356.
[12] H. Friedlander, Le origini del genocidio nazista. Dall’eutanasia alla soluzione finale, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 359.
[13] Concezione del mondo, della vita.
[14] La comunità etnico-popolare, fondata su vincoli di sangue.
[15] Il popolo jenisch, denominato anche yenishe, rappresenta la terza maggiore popolazione nomade europea, dopo i rom e i sinti.
[16] L. Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, cit., p. 367.
[17] R. Esposito, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004, p. 151.
[18] «Jasenovac era un inaudito campo di sterminio, non ne esisteva un altro simile nel mondo», ha detto Milo Despot – prigioniero in quel luogo infernale – in un’intervista di storia orale conservata al Museo del Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti.
[19] Su ciò si rinvia a G. Boursier, L’internamento degli zingari in Italia, in C. Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945), Franco Angeli, Milano 2001, pp. 162-176.
[20] O. Rosenberg, La lente focale. Gli zingari nell’Olocausto, a cura di Ulrich Enzensberger, Marsilio, Venezia 2000, pp. 80-81. Solo dopo oltre cinquant’anni Otto Rosenberg ha trovato la forza per raccontare la sua vita.
[21] W. Sofsky, L’ordine del terrore. Il campo di concentramento, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 18.
Pubblicato mercoledì 8 Febbraio 2023
Stampato il 03/10/2023 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/finestre/il-porrajmos-la-shoah-del-popolo-rom-e-sinti/