Quale lusso ci si può concedere, qui da noi, con 5mila euro? Ci si può liberare della ormai decennale cucina di casa e comprarne una nuova componibile, purché sia molto essenziale e senza pretese di design. In alternativa, si può acquistare un’auto di seconda mano, purché modesta (e usata). Con quella stessa somma di denaro, invece, in alcune zone dell’Africa, come il Mali, è possibile dissetare un intero villaggio di quasi duemila persone.

La realizzazione di un pozzo nel piccolo centro di Rastabougou (Mali)

Quei soldi bastano per pagare la consulenza di un esperto nel rilevamento di falde acquifere sicure, prendere in affitto le attrezzature per uno scavo sino a 140 metri di profondità, pagare lo stipendio agli operai, acquistare un serbatoio, nove pannelli solari (perché lì non c’è energia elettrica), batterie, una pompa per far salire l’acqua e una fontana dalla quale far sgorgare un autentico tesoro. Si può anche far analizzare da un laboratorio specializzato quell’oro trasparente per accertarsi che sia puro e potabile. Con i soldi che avanzano è possibile persino acquistare cibo per organizzare una festa degli abitanti del villaggio alla prima apertura del rubinetto, tra bambini sorridenti che ballano, saggi anziani che benedicono quella vera ricchezza e donne che tirano sospiri di sollievo.

Sì, le donne. Sono loro a dover percorrere ogni giorno, spesso con un figlio per mano e un altro, neonato legato con una fascia alla schiena, chilometri per raggiungere il pozzo più vicino. Se le cose vanno bene, riempiono d’acqua la tinozza, la sistemano sulla testa e ripercorrono a ritroso la stessa strada sino a casa. Se le cose non vanno bene, trovano acqua torbida, non potabile, ma la prendono comunque per lavare i bambini, loro stesse, le case. Nello scenario peggiore, trovano il pozzo a secco. Quando si avviano, non possono mai sapere cosa troveranno.

La realizzazione di un pozzo nel piccolo centro di Rastabougou (Mali)

Ma nel piccolo villaggio di Rastabougou, alla periferia di Bamako, capitale del Mali, da qualche giorno le donne non sono più costrette a questo tormento. Una colletta solidale organizzata a Brindisi dal comitato provinciale Anpi, con le sue sezioni di Mesagne, Ostuni e Francavilla Fontana, in rete con altre associazioni come Compagni di Strada e Migrantes, il sindacato Spi Cgil, e tante e tanti “resistenti” dei territori di Bari, Lecce, Bologna e Milano, ha permesso di mettere insieme quei 5mila euro in sole tre settimane. Per di più, in un periodo estremamente difficile per tutti, in piena emergenza sanitaria, oltre che sociale ed economica.

Nessuno ha mai creduto fosse facile: anzi, in pochi ritenevano possibile raggiungere questo obiettivo in pandemia. Ma i contributi solidali sono arrivati sia attraverso le associazioni, sia attraverso singoli cittadini, grazie soprattutto a un gruppo di donne di tutte le età che, con caparbietà, ha lavorato per altre donne lontane migliaia di chilometri. Uno zoccolo duro del sentire solidale e che si estende sempre più, impegno dopo impegno, ad altre donne e ad altri uomini, su tutti i fronti con slanci inimmaginabili. Si rinuncia a qualcosa per sé per far fronte alle emergenze degli altri. Ma questa volta nessun anonimato: ragazze, ragazzi, donne e uomini “ci hanno messo la faccia”, letteralmente, perché le buone pratiche possono avere il grande potere di contagiare, nel senso più virtuoso del termine.

La spinta è arrivata da Drissa Kone, giovane maliano con casa e lavoro a Brindisi, iscritto Anpi e presidente della comunità africana di Brindisi e provincia, tornato nel suo Paese per un breve soggiorno per riabbracciare la famiglia. In valigia aveva anche la bandiera dell’Anpi. Non c’è energia elettrica a Rastabougou. Si sapeva. E non c’è acqua né, a breve distanza, un pozzo degno di questo nome. In pandemia, la mancanza d’acqua rende la situazione sanitaria, già molto compromessa, tragica. È cominciato tutto senza troppa convinzione sul successo del progetto, bello e quasi impossibile, con un passaparola sui social. Vedere il filmato di quelle donne speranzose, che percorrevano chilometri sotto il sole a 40°, con neonati in spalla e bimbi al seguito, ha fatto il resto. Sempre sui social è stata aperta una pagina dedicata al progetto, affiancata ai gruppi Whatsapp. Non è stato quasi mai necessario chiedere denaro. I soldi – somme modeste e altre più generose, secondo le possibilità di ciascuno – sono arrivati. Tutto annotato in registri contabili e con tanto di ricevute. Alla fine della prima settimana sono stati inviati in Mali 2mila euro. Altrettanti alla fine della seconda settimana. Pochi giorni fa l’ultimo versamento da mille euro. A Rastabougou, man mano che arrivavano i soldi, si scavava alla ricerca di acqua e si compravano le attrezzature necessarie. Tutto è stato documentato dai video e dalle foto arrivati dal Mali, dove la conclusione dei lavori è stata festeggiata.

Questo non è il primo progetto dal basso che parte da Brindisi e che ha come finalità quella di migliorare le condizioni di vita in villaggi del Mali e il collegamento con Drissa Kone è stato fondamentale.

La scuola di Rastabougou (Mali)

Tutto è iniziato nel 2018 in una scuola, se poteva essere definita tale, sempre di Rastabougou. Il filmato, pubblicato sul social, mostrava decine di bambini a piedi scalzi in una baracca senza finestre e con temperature proibitive, seduti davanti a pochi banchi di chiesa, a piedi scalzi sulla terra, che si scambiavano gli unici due quaderni a disposizione. Una scuola privata, come tutte, alla quale si accede a pagamento. Il maestro non riusciva neanche a prendere l’auto per raggiungere la scuola dalla sua abitazione lontana perché non tutte le famiglie erano in grado di pagare la retta. Andava a piedi tutte le mattine per risparmiare benzina. Per questo si chiamava (e si chiama ancora) “Scuola della pazienza”.

La prima iniziativa solidale, partita da Brindisi, permise di dare a quella baracca la parvenza di una scuola vera: una colata di cemento per pavimentare, aprire una finestra per far entrare l’aria. Furono anche ricompensati gli straordinari falegnami maliani che costruirono banchi veri. Avanzarono soldi per acquistare libri, quaderni e penne e per versare qualche stipendio al paziente maestro. Un piccolo (e grande) primo progetto andato a buon fine.

L’ospedale di Bohi (Mali)

Poi fu la volta del villaggio di Bohi, dove c’è un ospedaletto. Fece orrore a tutti la foto del lettino ostetrico arrugginito e traballante sul quale le donne partorivano e che indusse molti a dare il proprio contributo spontaneo. In pochi giorni venne raccolta una cifra che rappresentava la solidarietà di molti, ma che non bastava ad acquistare un nuovo lettino ostetrico dalla Francia. Così, ancora una volta, scesero in campo gli straordinari artigiani maliani. Il nuovo lettino era talmente bello e funzionale da sembrare uscito da una fabbrica. Le donne potevano partorire in sicurezza. Avanzarono altri pochi soldi per acquistare ventagli con i quali ostetriche e infermiere potevano rinfrescare le partorienti. Sempre in quell’ospedaletto, il medico chiedeva da anni un frigorifero per conservare medicinali e vaccini. Le solidali e i solidali di Brindisi e dintorni fecero arrivare quel che bastava per comprarne uno alimentato da un pannello solare.

E in seguito, la solidarietà ha portato anche l’acqua in quel villaggio sperduto. Acqua potabile, arrivata in superficie dalla profondità della terra grazie a un pozzo alimentato con energia solare. Una colletta degli abitanti del villaggio si è sommata ai contributi arrivati dall’Italia per raggiungere la cifra necessaria all’acquisto di materiali e strumentazioni per completare il progetto e, anche in quel caso, un emozionante video postato su Facebook ha testimoniato la gioia dei bambini del villaggio.

Nessuno ha voluto mettere il cappello su questi progetti, nonostante gli abitanti di Rastabougou pochi giorni fa abbiano dedicato la fontana anche ad Anpi Brindisi: la bandiera dell’associazione copriva il rubinetto prima che un bambino, lo aprisse per far scorrere la preziosa acqua potabile nella gioiosa e modesta “cerimonia di inaugurazione”.

La rete solidale è indispensabile: è il primo passo verso la grande alleanza antifascista e antirazzista che mette al centro la persona, che non è e non sarà mai un numero, né in Italia, né in nessun altro luogo, soprattutto nelle estreme periferie del mondo. Siamo felici per tutti gli abitanti del villaggio, per gli splendidi bambini, per le donne meravigliose e forti che lì vivono. In Mali, a Rastabougou, come nel villaggio Bohi, c’è un po’ di noi. Non è poca cosa, se parliamo di gratificazione corale. È molto più importante, però, sapere che in queste periferie dimenticate del mondo ci sono servizi che garantiscono una migliore qualità della vita. Che c’è acqua potabile, limpida, pura, gratuita, a disposizione di migliaia di persone. Persone, appunto. Mai numeri.