La ex fabbrica Crumiere di Villar Pellice
La ex fabbrica Crumiere di Villar Pellice

L’8 settembre 2015 a Villar Pellice, paese di circa 1.000 abitanti in Val Pellice, in Piemonte, sono arrivati 60 giovani richiedenti asilo provenienti da diverse zone di guerra e di fame del pianeta; c’è stato, è vero, qualche malumore iniziale sulla decisione della Prefettura, che ha scavalcato, pare, le autorità locali. Alla Diaconia Valdese, che gestiva già piccole comunità alloggio per migranti, sparse sul territorio, è stato chiesto all’improvviso di occuparsene.

La scelta è caduta sulla Crumiere, una ex fabbrica (era un feltrificio), da anni di proprietà della Regione Piemonte, che così è diventata un centro di accoglienza per richiedenti asilo gestito dalla Diaconia Valdese. Le “credenziali” ANPI mi aprono le porte, che, mi dicono, sono rimaste chiuse per giornalisti di mestiere, magari in vena di sensazionalismo; quindi, in una tiepida e limpida giornata di fine gennaio ne ho varcato la soglia; le montagne intorno senza neve, gialle di erba secca, tempo atmosferico anomalo in tempi storici cupi.

Ero già venuto fin qui il 31 ottobre 2015 in occasione della “Festa dell’accoglienza”, durante la quale era stata presentata l’iniziativa, all’ingresso un volantino, un decalogo contro i molti luoghi comuni sui migranti (perché diamo 35 euro al giorno ad ogni migrante? E i nostri disoccupati? Come mai hanno tutti i cellulari nuovi! Aiutiamoli a casa loro! ecc. ecc.) e per ogni questione vi era anche una ragionevole risposta.

I primi venti ragazzi accolti dalla Diaconia valdese alla Crumiere (da http://riforma.it/sites/default/files/styles/article/public/2015/08/31/image/dsc_0907.jpg?itok=6QiYI0E3)
I primi venti ragazzi accolti dalla Diaconia valdese alla Crumiere (da http://riforma.it/sites/default/files/styles/article/public/2015/08/31/image/dsc_0907.jpg?itok=6QiYI0E3)

Prima ho visitato la struttura: camere, sala comune, salette studio per i corsi di italiano, laboratorio di informatica (sono in progetto un corso di alfabetizzazione informatica e una start-up), mensa, officina riparazione biciclette; i ragazzi salutano, chi con un sorriso, altri restando affondati nello schermo del cellulare, tutti giovani di 20-25 anni circa e provengono quasi tutti dall’Africa profonda, saprò poi che sono al 60% musulmani e al 40% cristiani.

Ho cominciato le interviste con alcuni, più comunicativi e loquaci; non appena risultava chiaro chi rappresentavo e che comunque ero estraneo alla Commissione Territoriale di verifica o alla polizia, si rilassavano, diventavano quasi dei fiumi in piena, raccontavano molto del loro viaggio, forse un po’ meno del loro vissuto nei Paesi di provenienza. Ed eccone una sintesi.

mali-cartinaMahamadou: dal Mali, è un veterano della Crumiere, ora lavora lì in mensa, un viaggio di 2 anni, un po’ a piedi ma anche in corriera; Mauritania, Marocco, Algeria, Libia, con respingimenti ripetuti, quasi un palleggio di esseri umani da parte delle guardie di frontiera fra il Marocco e la Mauritania; ci tiene a sottolineare che secondo lui quei terroristi delle stragi in Francia e altrove, che si dichiarano musulmani non possono essere considerati tali.

Hamed: gioca a calcio a Luserna, un paese più a valle, anche lui del Mali, ha viaggiato in auto per mezza Africa con un amico poi morto in un attentato non appena rientrato in Mali, quando ne parla si commuove. Racconta che ad ogni passaggio di frontiera venivano rapinati di portafoglio e cellulare da parte delle guardie di frontiera, prima ancora che dai trafficanti e banditi. Alla domanda: “sai che in Italia esistono diverse persone/partiti che quelli come te, qui, non li vogliono?”, risponde quasi serafico: “sì, quando prendo il treno o il bus verso Torino vedo qualcuno che mi guarda male, ma io amo tutto il mio prossimo e presto o tardi anche lui mi vorrà bene”.

nigeria - cartinaVincent: la sua storia è quantomeno singolare, ingegnere dalla Nigeria, si trova qui suo malgrado, nel senso che, fuggito dal suo Paese in preda alla guerra civile, dopo aver attraversato diversi altri Paesi, quasi spinto dal flusso migratorio, finisce in Libia; crocevia e buco nero per tutti quelli che vogliono fare il gran salto via mare verso l’Europa, ma lì – in questo tutti i racconti concordano – quelli con la pelle nera in giro non si devono far vedere, rischiano la vita e se ne stanno rinchiusi, almeno di giorno. La situazione laggiù è così tragica, da far passare in secondo piano le drammaticità delle traversate via mare. Lui finisce nelle grinfie di poliziotti corrotti che lo notano tra gli altri disperati, lo accompagnano in banca, lo costringono a prosciugare il proprio conto, consegnare a loro tutto il denaro e poi, forse per timore di sue future ritorsioni, lo ficcano a forza in fondo alla pancia di uno dei tanti barconi in partenza per le coste siciliane, ma lui in realtà voleva solo andarsene dal suo Paese e non aveva intenzione di venire qui!

Scuola di italiano a Villa Olanda (da https://accoglienzamigranti.files.wordpress.com/2015/10/dsc_0022.jpg)
Scuola di italiano a Villa Olanda (da https://accoglienzamigranti.files.wordpress.com/2015/10/dsc_0022.jpg)

Concluse le interviste alla Crumiere, mi sono recato a parlare con alcuni pachistani ospiti in una struttura sita in un paese limitrofo (Villa Olanda), sempre gestita dalla Diaconia Valdese.

Adil: dal Kashmir, zona tormentata di confine tra Pakistan e India, ma che rivendica la propria identità, un padre invalido di guerra, un viaggio a piedi e con mezzi di fortuna attraverso Iran, Turchia, una permanenza in Grecia di 9 anni, dove ha subito diversi soprusi da parte di gruppi vicini ad Alba Dorata, infine con un barcone in Italia, dove vorrebbe fermarsi.

INDIA -cartinaRajab Ali: sempre dal Kashmir, in un’incursione di talebani sconfinati dall’Afghanistan, ha perso alcuni membri della sua famiglia di religione musulmano-sciita; madre e sorella sono restate lì, ma lui è fuggito attraverso le montagne e quindi in viaggio per mesi e mesi verso Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Austria, Italia, e aspira a rimanere qui (dice: no weapon here, no talebans…).

Entrambi, mi dicono gli operatori, sono dei “casi Dublino”: loro sono arrivati in Europa, via terra, dai confini orientali, quindi per effetto del regolamento di Dublino III del 2013 sui flussi migratori, devono presentare la domanda di richiesta di asilo solo nel Paese europeo di ingresso, dove hanno depositato le impronte digitali e verso cui dovranno essere instradati, a prescindere dalla loro attuale posizione e/o volontà.

Per gli altri che ho visto, gli operatori mi informano che tutti hanno presentato qui la domanda di richiesta asilo e si trovano nel “limbo”, cioè in attesa del pronunciamento della Commissione Territoriale di verifica, la quale sulla base di riscontri sulla persona e sul proprio Paese, assegna o meno lo status di “rifugiato/protezione sussidiaria/protezione umanitaria” con differenti livelli di tutela. Ma le commissioni sono ingolfate, i tempi di attesa variano da qualche mese ad un anno o più e l’iter, in mancanza di prove certe, porta nella maggioranza dei casi ad un rifiuto; ci si può appellare, ma serve soltanto a ritardare di poco l’esito negativo. L’espulsione verso i Paesi di provenienza dovrebbe scattare in caso di successivi controlli, ma rimane per lo più sulla carta, molte persone rimangono in Italia, diventano invisibili, prede del lavoro nero o peggio, manovalanza per le tante mafie dello stivale. Qui alla Crumiere, come altrove, al termine del ciclo con esito negativo possono solo estromettere i migranti dai progetti di accoglienza/integrazione ed assistere impotenti a questa parabola.

Terminate le interviste, saluto chi incontro, e uscendo rifletto: gli operatori, la struttura, i volontari, l’organizzazione, non so se esistano tante realtà così efficienti tra tutte quelle che sorgono qua e là nel nostro Paese nate con il crescere dell’emergenza. In quante situazioni invece ci si ferma alla mera assistenza, che magari annaspa, diventando talvolta un problema di ordine pubblico?

Qui si soddisfano i bisogni primari degli ospiti, si progetta l’integrazione, anche se, neanche qui i migranti potranno dimenticare quei ricordi terribili, né attenuare l’ansia causata dal furto del proprio futuro.

Mi chiedo infine: ma quante responsabilità hanno di tutto ciò i governi dei nostri Paesi ricchi, occidentali e non, esportatori di armi, rapinatori di risorse primarie, neocolonialisti in questo mondo globalizzato?

Il documento congressuale nazionale ANPI, all’interno dell’analisi del quadro internazionale, affronta, tra l’altro, la tematica dei migranti come fenomeno ormai epocale e rileva come in Europa accanto ai rigurgiti xenofobi e razzisti, fans di filo spinato e muri, vi siano anche risvegli di solidarietà popolare e si auspica che l’ANPI possa “contribuire al risveglio, rilancio e sviluppo di un vasto movimento popolare, impegnato sui temi della solidarietà, della pace, dei diritti umani” e più avanti “compiendo atti positivi di solidarietà e di sostegno ai migranti e rifugiati”.

Tornerò dai ragazzi della Crumiere; fra i progetti a loro dedicati, in cui verranno introdotti gradualmente, vi sono corsi di informatica (aperti al territorio) ed una start-up informatica (recupero di vecchi PC, installazione di sistemi operativi open source e fornitura di sistemi informatici ad associazioni, scuole che ormai difficilmente si possono permettere il nuovo).

Impegnandomi a collaborare a queste idee, proverò a mettere in pratica quello che l’ANPI mi chiede di fare, e chissà, magari, quanti altri compagni, impegnati in altri settori di attività sociali o lavorative, attueranno qualcosa di analogo e troveranno tra le loro competenze un modo per ridare qualche scampolo di futuro dignitoso a qualcuno che, nato dalla parte sbagliata del mondo, se l’è visto negare.

Massimo De Lazzaro, iscritto all’ANPI di Torino