Il Presidente Emerito dell’Anpi ha inviato alla redazione un articolo incardinato su di una riflessione ad un anno dal referendum costituzionale legata al tema dell’unità antifascista. Auspichiamo l’avvio di un dibattito. È la questione del giorno: rappresentanti di partiti, sindacati e associazioni democratiche si sono recentemente incontrati, convocati dall’Anpi nazionale, per dar vita a un tavolo permanente di iniziative comuni contro i risorgenti fascismi. Si tratta di una novità di assoluto rilievo, perché, dopo anni di distinzioni e spesso di separazioni sui temi più diversi, gran parte delle forze democratiche ritrova – non a caso – un terreno collettivo e condiviso nell’antifascismo. Perché il fascismo – è la ovvia spiegazione – è il nemico mortale di tutti, in quanto nemico della democrazia e della Costituzione e, di conseguenza, di quell’insieme di valori che ne discende: libertà, uguaglianza, solidarietà, dignità umana.

La costruzione di un rapporto unitario fra forze antifasciste è un’occasione per riprendere a tessere il lungo filo della democrazia, così sfibrata da una crisi oramai decennale e dalle sue drammatiche conseguenze: la solitudine e il rancore sociale, messi in evidenza dagli ultimi due rapporti del Censis.

Di questa unità non può che essere promotrice e levatrice l’Anpi, perché la sua missione – in piena autonomia – è al servizio della Repubblica democratica. Ieri come oggi. E come domani.

G.P.

In questi giorni ricorreva l’anniversario di una data importante: il 4 dicembre.

Non molti l’hanno festeggiata, alcuni hanno preferito dimenticarla, come hanno fatto per un anno intero, altri – come noi – hanno preferito dedicarsi a riflessioni e valutazioni piuttosto che a divisive “celebrazioni”.

Peraltro, il 4 dicembre è stata una data davvero significativa, non solo per l’esito del voto e quindi il rifiuto di quello che abbiamo considerato come uno stravolgimento della Costituzione, ma anche e soprattutto perché ha rappresentato un momento di partecipazione quale da tempo non si verificava. Milioni di italiani, anche con motivazioni diverse, sono corsi alle urne, manifestando la propria volontà. Proprio su questo, non tanto il ricordo, quanto la riflessione sarebbe stata addirittura doverosa. Al contrario, si è fatto di tutto (anche da parte della stampa), per un anno intero, per non parlarne più.

Anzi, un autorevole esponente politico ha detto, poco tempo fa, che – dopo le elezioni di primavera – bisognerà riaprire la stagione delle riforme costituzionali. Segno evidente che non si è capito che la Costituzione può certamente essere sottoposta a “revisione” su punti specifici, come dice l’art. 138, ma non stravolta, perché – altrimenti – il popolo si ribella; e lo ha già fatto in due occasioni importanti: sulla riforma Berlusconi, nel 2006, e su quella Renzi – Boschi nel 2016.

Peraltro la mancata riflessione è andata anche al di là di quanto fin qui accennato. Perché di riforme, non necessariamente costituzionali, il nostro Paese aveva ed ha bisogno, ma su questo piano non è accaduto nulla, dopo il 4 dicembre, nonostante l’evidente manifestazione di stanchezza e di volontà di riscossa, offerta dal voto sul referendum.

Non sono cambiate le Istituzioni, perché abbiamo avuto un Governo non libero di compiere le scelte che (forse) avrebbe voluto; ed abbiamo avuto anche un Parlamento esautorato con voti di fiducia e, peggio ancora, con sciagurate intese oppure con ancora più sciagurati veti.

Non è cambiata la politica, perché – anzi – si è fatto di tutto per fornire materia per l’antipolitica (che noi abborriamo almeno quanto la cattiva politica). È continuato il fenomeno del cambiamento di “casacca”, da un gruppo all’altro che, a mio avviso, non altro rappresenta che un’offesa alla volontà popolare, da cui si è stati investiti. Né sono cambiate o ridotte le occasioni che ci hanno fatto dubitare della autonomia e indipendenza di non pochi partiti e ci hanno suscitato allarme per la ricorrenza di illecite collusioni e di forme addirittura “eccessive” di corruzione, sempre più abbondantemente diffusa.

E, mentre si aspetta la stagione delle vere riforme sociali, è rimasta ben salda la stagione delle “mance”, soprattutto nell’avvicinarsi di una campagna elettorale che già si profila nelle forme più negative, visto che nessuno parla di programmi e di interventi veramente riformatori di sistema, mentre tutti si accaniscono a studiare coalizioni o altre forme di aggregazione per il dopo voto; con molto più interesse per le sorti e le vicende del proprio partito che non per  quelle del bene comune.

È accaduto così che leggi importanti non siano riuscite a passare in Parlamento; ed è molto difficile che ci riescano prima dello scioglimento delle Camere. Penso alla legge sulla cittadinanza (più nota, anche se sotto un profilo non del tutto corretto, come Ius soli); e penso al testamento biologico, tanto per fare qualche esempio. Mentre la “legge finanziaria”, così come si profila, è di puro contenimento dell’esistente, e non rivela novità di rilievo, né per l’occupazione, né per la salvaguardia del territorio e dei beni culturali, né per la necessaria realizzazione di un sistema che elimini almeno le disuguaglianze sempre più accentuate e contenga la inarrestabile marcia verso la povertà, finora impensabile almeno per alcune categorie.

Quanto alla partecipazione, si è fatto un gran parlare della necessità di evitare la disaffezione e l’allontanamento dei cittadini dalla politica, dalle Istituzioni e addirittura dal voto, ma non si è messo in campo alcun rimedio, tant’è che la nuova legge elettorale (che molti valutano in termini di assoluta negatività) non solo perpetua il sistema dei “nominati”, ma continua a ridurre i contenuti della rappresentanza, allontanandosi sempre di più da quell’esercizio della sovranità popolare che dovrebbe essere il fondamento del nostro sistema costituzionale.

Non voglio, però, apparire disfattista. Nonostante il quadro negativo che ho appena delineato, qualche novità, particolarmente in quest’ultimo scorcio di anno si è manifestata, almeno su due fronti diversi.

Da un lato, a fronte della escalation dei fascisti-razzisti (su cui mi intratterrò più a fondo in altra occasione) c’è stata una netta presa di posizione del Ministro degli interni, a proposito della preannunciata “marcia su Roma”, proprio il 28 ottobre, da parte di organizzazioni fasciste. La netta posizione negativa del Ministro e del Capo della Polizia è stata importante e significativa.

Inoltre, abbiamo registrato con piacere la presa di posizione di un numero crescente di Comuni, che hanno adottato delibere sulla concessione di spazi pubblici, stabilendo che essi verranno negati per manifestazioni apertamente fasciste. Dopo un primo, cauto, tentativo ne sono seguiti diversi altri, in forme sempre più nette e argomentate; così, non pochi sono ad oggi i Comuni che hanno seguito l’esempio e si sono, come si è scritto scherzosamente, “defascistizzati”. Questo è un fatto significativo, anche perché rappresenta un segno reale di partecipazione degli Enti locali alla realizzazione del vero fondamento della Repubblica, costituito dall’essere intrinsecamente democratica e antifascista.

Un’immagine della manifestazione unitaria di Como del 9 dicembre

Per altro verso, ma restando sempre nel campo dell’antifascismo, dopo la brutta vicenda di Como (i naziskin provenienti dal Veneto che interrompono, imperiosamente, la libera e democratica riunione di un’Associazione che si occupa di migranti e che altrettanto imperiosamente, dopo la lettura di un delirante comunicato, “autorizzano” la ripresa della riunione), il Pd ha promosso una manifestazione a Como per il 9 dicembre, decidendo poi di attribuirle un carattere nazionale ed invitando associazioni e movimenti a partecipare. Un fatto certamente positivo.

L’Anpi nazionale aveva proposto, in ottobre, di costituire un fronte comune contro il debordante fascismo e razzismo ed aveva cominciato a realizzarlo, col consenso di ben ventiquattro fra partiti, associazioni e movimenti, dapprima con una riunione, molto positiva, nella sede nazionale dell’Anpi e poi con la “contromanifestazione” (molto partecipata) il 28 ottobre, in Campidoglio, proprio per ricordare (anche con la deposizione di fiori sulla stele che ricorda l’assassinio di Giacomo Matteotti) che cosa è stato, realmente – di nefasto – il 28 ottobre e lo stesso fascismo che poi si è insediato al potere.

Adesso il Partito Democratico promuove e organizza una manifestazione. Ben venga e diventi l’occasione per allargare il “fronte comune” e dargli continuità.

È di queste ore un altro incontro, promosso dalla Presidente nazionale dell’Anpi, con partiti, associazioni e movimenti, per consolidare il fronte comune e adottare qualche forma di coordinamento per reagire e agire con maggiore partecipazione e unitarietà. Si tratta di contrapporre un’intesa unitaria all’arroganza crescente dei fascisti e alla sfida che stanno lanciando al Paese; e sono lieto che su questa linea si sia pronunciato con chiarezza anche il ministro Orlando. Certo, è ferma la convinzione che le manifestazioni siano utili se assumono un carattere non solo unitario, ma anche continuativo e coordinato.

Infine per battere l’escalation dei vecchi e nuovi fascismi devono entrare in campo anche le istituzioni, proclamando a gran voce che siamo retti da una Costituzione che è democratica e antifascista, ma anche adottando le misure necessarie per far sì che tutto il corpo dello Stato (Istituzioni centrali e sistema delle autonomie) si senta impegnato fortemente su questo terreno, rispettando e facendo rispettare la Costituzione e le leggi che esistono, all’occorrenza integrandole e coordinandole meglio, ma sempre facendo in modo che funzionino effettivamente e dispieghino tutti i mezzi necessari per contrastare questi fenomeni sempre più inaccettabili. È il momento, dunque, per i partiti di governo e per le Istituzioni, non solo di essere in campo ma di accettare la sfida e fare tutto il possibile per vincerla, convincendosi che tutto ciò che sta accadendo non è solo tale da suscitare lo sdegno dei democratici, ma è anche sostanzialmente pericoloso per la nostra democrazia. Ci sono molti egoismi e molti razzismi, ci sono paure in gran parte fomentate e ingiustificate; c’è una crisi economica da cui non si riesce ad uscire (i più ottimisti parlano, per l’Italia, di una “ripresina”). Dunque, ci sono tutti i fattori negativi, che in altri tempi sono stati trascurati e sottovalutati, producendo risultati devastanti. Tutto questo è ancora più evidente se si pensa allo spostamento in atto, in Europa, verso una destra “nera”, e che le manifestazioni di autoritarismo e di negazione delle libertà si fanno infittendo in gran parte dell’est europeo. Un quadro che deve richiamare l’attenzione e soprattutto deve indurre ad un serio attivismo antifascista delle Istituzioni, per combattere e prevenire ogni pericolo. Ci siamo sdegnati, tutti, a fronte della maglietta di Anna Frank utilizzata come sfregio, alle millanterie del bagnino di Chioggia, all’assalto dei naziskin a Como, alla bandiera nazista in una caserma dei Carabinieri ed a tante altre manifestazioni del genere. Questo sdegno va raccolto e trasformato in azione.

La “spiaggia fascista” di Chioggia (da https://www.repstatic.it/video/photo/2017/07/08/ 393887/393887-thumb-full-chalet_nazi.jpg)

Si è posto, in questi giorni, il problema dello scioglimento, quantomeno, delle associazioni fasciste con più evidenti connotati eversivi. È giustissimo affrontare questo tema, anche se ha un certo margine di delicatezza, per qualche profilo di costituzionalità. Ma va affrontato, prontamente e con serietà. Lo stesso Ministro della Giustizia ne ha rilevato l’attualità ed ha sottolineato l’esigenza di una soluzione sollecita. Peraltro le dichiarazioni non bastano più: la questione è sul tappeto e va posta all’ordine del giorno degli organismi competenti, con l’approfondimento necessario, ma anche con una reale volontà decisoria. Se molti concorda no sul fatto che “vanno fermati”, bisogna farlo con provvedimenti rapidi e non con discorsi generici. Mentre la questione viene approfondita, si applichino fino in fondo le leggi esistenti, troppo spesso dimenticate, sottovalutate o liquidate frettolosamente. Se la Corte di Cassazione ha affermato più volte che il saluto romano costituisce, di per sé un reato, sarebbe logico che venissero meno le esitazioni, le incertezze e le contraddizioni che oggi contraddistinguono gli orientamenti di una buona parte della Magistratura.

Insomma, bisogna muoversi, presto e bene, su tutti i fronti possibili. È su questo terreno che – considerata la crescente sicumera di questi movimenti, che ormai ha assunto il carattere di una sfida – ci attendiamo delle vere novità.

La manifestazione di Como sarà tanto più efficace quanto più chiaro emergerà l’impegno che da essa uscirà di procedere con sollecitudine a mettere fuori gioco movimenti, iniziative e manifestazioni che ormai procedono pervicacemente sulla rotta della eversione antidemocratica.

A chi insiste nell’invocare i diritti costituzionali di manifestazione del pensiero, di associazione e di riunione sarà utile ricordare che la Corte di Strasburgo, con una recente sentenza, ha dichiarato solennemente che non può consentirsi l’abuso dei diritti (anche di quelli costituzionali), se non altro perché lo vieta espressamente l’art. 17 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Su tutt’altro versante, poi, dobbiamo prendere atto di un’altra novità, cioè la creazione di una nuova forza politica, di sinistra, sul merito della quale non posso entrare per ovvie ragioni e soprattutto per la nostra ferma volontà di non farci coinvolgere nella politica “partitica”. Tuttavia qualcosa si muove, in questa stagnante situazione; bisogna seguirla con attenzione, perché sarà pur sempre qualcosa di positivo rispetto al “clima” cui ci hanno abituato ed a cui non vogliamo rassegnarci. Si tratterà, pur sempre, di una forma di partecipazione ed anche questo è un modo per svecchiare la nostra irrigidita politica.

Insomma, con questi fatti nuovi non si chiude un cerchio, ma lo si apre, sotto il segno della partecipazione; e questo è ciò che ci interessa assai di più che non sperimentate o inedite alleanze elettorali.

Posso quindi chiudere questa nota, quantomeno per le due ragioni accennate, con qualcosa di positivo. Riconosco che non è molto ma è importante che qualcosa si muova; e chissà che sullo sfondo non ci sia proprio il “4 dicembre” che reca ancora alcuni frutti positivi e ci aiuta, proprio nei giorni dell’anniversario, a guardare al futuro, con doverosa preoccupazione, ma nello stesso tempo con la forza dei nostri valori e la speranza del riscatto.

Carlo Smuraglia, Presidente Emerito dell’Anpi