E siamo agli sgoccioli. Si vota. Poteva essere una grande battaglia civile e democratica. Il termometro della qualità repubblicana e della sensibilità istituzionale di un’intera classe dirigente. Un confronto, scevro da pregiudizi, sul merito di una riforma, al fine di capire insieme quale fosse la strada migliore per cambiare il Paese. Ecco cosa poteva essere questa campagna referendaria. Invece no.
Ci si è trovati di fronte ad un uragano mediatico: ha travolto ogni argine, ogni regola, ogni minimo livello di rispetto, di buon senso, di buon gusto, di verità, trasformando una possibilità di miglioramento del dibattito pubblico in una gigantesca operazione di marketing costi quel che costi (infatti la campagna del partito al governo per il Sì è costata moltissimo, certamente diversi milioni di euro, alla faccia del taglio dei “costi della politica”); si è ridotta l’argomentazione alla recitazione di vuoti mantra; si è spalancata la porta ai luoghi comuni del qualunquismo; si è giganteggiato in demagogia, paventando galattiche catastrofi nel caso di vittoria del No e paradisiaci scenari d’amore, d’abbondanza e di felicità in caso di vittoria del Sì; si è declassata la tensione costituzionale permanente a plebiscito sulla figura transeunte dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi; si è irriso e schernito, qualche volta diffamato, i sostenitori di un’opinione diversa, a cominciare dall’ANPI e dal suo presidente.
Davanti a questa offensiva, tanto irragionevole quanto ampiamente prevista, perché tutto sommato coerente con l’intero iter della infelice riforma, l’ANPI non ha mai perso la bussola della critica di merito, e dal primo all’ultimo momento ha promosso migliaia di iniziative – o vi ha partecipato – in cui si è analizzato ogni aspetto della riforma osservandola in filigrana, contestualizzando ogni riflessione, declinandola, ove necessario, sul piano della storia costituzionale italiana, né ha sanzionato in alcun modo chi, dell’ANPI stessa, in qualche caso ha ostentato in modo plateale la sua scelta alternativa.
In poche parole, alla critica delle armi (improprie) l’ANPI ha contrapposto l’arma della critica, arricchendola, se opportuno, col sapore dell’ironia, salvaguardando la dignità e l’orgoglio di una associazione che fa dell’antifascismo e della difesa della Costituzione la propria ragion d’essere. Per questo davanti alla campagna di attacchi, di denigrazioni, di insulti, di veri e propri tentativi di delegittimazione, l’ANPI – e questo periodico – essendo composta da persone laiche, in qualche caso pie, ma assai di rado sante, non ha mai offerto l’altra guancia, rispondendo sempre a tono.
Dignità e orgoglio. E sentimento costituzionale. Ecco i nervi dell’ANPI, attorno ai quali è cresciuta la straordinaria esperienza collettiva di questa campagna referendaria: decine di migliaia di iscritti, di militanti, di dirigenti hanno dedicato per mesi ogni loro energia a questo impegno, con spirito di sacrificio, disinteresse, lealtà e dedizione: categorie oggi rare, in molti casi scomparse dal vocabolario di tanta malapolitica imperante, e sovente sostituite da altre: cinismo, rampantismo, furbate; o peggio, come voto di scambio o interessi personali; o peggio ancora, come tangenti, ruberie, fino a casi limite, come la sciagurata vicenda passata sotto il nome di Mafia Capitale. Il tutto corredato dall’impressionante fenomeno del trasformismo, oggi più prosaicamente nominato come “voltagabbana”: nella XVII Legislatura, al marzo 2015 avevano cambiato bandiera (cioè gruppo parlamentare di appartenenza) 235 fra deputati e senatori. L’insieme di questi comportamenti avviene in rumoroso e clamoroso contrasto ed in totale spregio del disposto costituzionale (art. 54), ove si afferma che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Se gli autori della riforma avessero dedicato un centesimo della loro attenzione alle norme di attuazione di questa disposizione, invece che ad una revisione sbagliata, pericolosissima e pasticciata, davvero la democrazia avrebbe fatto un passo avanti. Non lo hanno fatto.
Davanti a questa catastrofe politica, civile e morale, che rinvia in ultima analisi al degrado dell’attuale sistema dei partiti, la risposta è stata lo stravolgimento della Costituzione del 1948. In linguaggio giuridico, un vero e proprio depistaggio, cioè – ci spiega la Treccani – lo “sviamento di un’indagine condotta dalla polizia o dal magistrato”, o, “per estensione, una manovra tattica, mistificatoria, diretta a disorientare”.
Cosicché, nonostante sul Manifesto dei valori del Pd sia scritto che “il Partito Democratico si impegna a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”, si va a votare su di una riforma imposta a colpi (e che colpi!) di una maggioranza parlamentare a cui corrisponde una minoranza del corpo elettorale, in un inedito clima di divisione nazionale e in un rancoroso crescendo. Terminato lo spoglio delle schede, sarà all’ordine del giorno la rimozione delle macerie, la ricostruzione di una solidarietà nazionale andata in frantumi, il rilancio di un’unità antifascista come base di senso dell’Italia d’oggi. Vedremo. Ma non possiamo nasconderci la certezza che la famosa “riforma che da trent’anni aspettano gli italiani” sia uno dei tanti specchi deformanti dell’inganno mediatico – in parole povere, una gigantesca bufala –, essendo acclarato che gli italiani aspettano reddito, lavoro, certezza del futuro, serenità, giustizia, onestà, pace, e che la riforma rispetto a queste attese c’entra come un cavolo a merenda.
Care compagne e cari compagni dell’ANPI, ecco i vostri nomi, di ieri, di oggi e di domani: partigiani, staffette, Bella Ciao, Resistenza, Repubblica, Costituzione, democrazia. I nomi dell’Italia che non si arrende. Siete stati protagonisti di questa campagna referendaria; avete irrorato di vita pulsante una comunità solidale alimentata da un’analisi e da una conseguente scelta comune, da una passione costituzionale che cementa, da una identità ideale e pratica che rende attiva e attuale la memoria della Resistenza, da una storia associativa autorevole e antica, da una presenza diffusa su tutto il territorio nazionale.
E val la pena invitare, ancora e ancora, voi, cari fratelli e compagni, a perseverare fino all’ultimo minuto nella ricerca di consensi alla scelta del No, parlando a tutti, ai tantissimi indecisi in particolare, con ragionevolezza e rispetto, dimostrando di nuovo, come in ogni momento di questa interminabile preparazione al voto, l’importanza della loro opzione, convincendoli a votare No, nell’esclusivo interesse nostro. Nostro? Sì, nostro, cioè del popolo, del Paese, di quella parola così duramente scolpita nella storia recente, la parola “democrazia”, di quella Carta, la Costituzione, che ci vorrebbe cittadini, liberi e uguali.
Pubblicato venerdì 2 Dicembre 2016
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