Devo scrivere sulla ripresa dopo la pausa estiva. Ma ho un macigno dentro. Cinque operai morti. Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorbillo, Giuseppe Aversa, Giuseppe Saverio Lombardo. Tutti insieme, senza probabilmente avere neppure il tempo di capire cosa stesse loro piombando addosso. “Un oltraggio alla convivenza”, ha denunciato il Presidente della Repubblica. Una ferita profonda, nel cuore della Repubblica fondata sul lavoro. Quel treno ha travolto la Costituzione. Non sta a me dire come e cosa occorra immediatamente cambiare nelle leggi sulla sicurezza e sugli appalti (il governo ha liberalizzato il subappalto a cascata), nella verifica dell’applicazione puntuale di tali leggi, nei controlli e nelle sanzioni in caso di violazione. So però che occorrono misure radicali e strutturali. Nei primi sei mesi di quest’anno i morti sono stati 450. Gli infortuni sul lavoro sono centinaia di migliaia. Si lavora per vivere, non per morire. Non ci sono parole, tranne una: basta!

Scrivo con questo macigno, di un’Italia che non stava bene e che da qualche tempo sembra stare peggio, fatta salva la propaganda che ci circonda e ci soffoca. Eppure questo Paese ha energie straordinarie che hanno avuto origine ottant’anni fa, che hanno consentito la stesura di una Carta costituzionale fra le più avanzate, che a tutt’oggi si manifestano in mille forme, a cominciare dall’impegno di milioni di cittadini sul terreno del volontariato e dell’associazionismo solidale. Sono coloro che hanno spalato il fango a Ravenna, che ci mettono la faccia nella lotta alle mafie, che si impegnano nella difesa del pianeta contro il degrado ambientale, che contrastano il precariato e il lavoro povero, che denunciano ogni sfruttamento, che hanno capito che la difesa della dignità, dell’emancipazione e della liberazione femminile coincide con la difesa dell’umanità. In ultima analisi sono coloro che si ritrovano nei veri valori della Resistenza.

C’è la guerra, non giriamoci attorno. L’invasione russa e tutto quello che è successo dopo hanno cambiato le nostre vite. Non solo morte e distruzione sul campo di battaglia, ma anche un peggioramento di tutto, in Europa e in Italia: dell’economia, dell’industria, del commercio, dei rapporti internazionali. È già un altro mondo.

Ma ci sono più cose fra il cielo e la terra: tante altre guerre, in primo luogo, dimenticate o ignorate. Assieme, Paesi e popoli che si uniscono per chiedere più eque ragioni di scambio nei commerci delle loro materie prime, che contestano la dipendenza di fatto dalle grandi potenze occidentali, che operano per un nuovo ordine mondiale policentrico. E poi c’è l’Unione Europea (e in prima fila l’Italia), impegnata in un’escalation di forniture militari che accresce il potenziale della guerra in corso, inerte davanti all’urgenza di una qualche iniziativa diplomatica che porti alla pace, a fronte di un impegno ininterrotto di Papa Francesco per interrompere la spirale devastante del conflitto, di una crescente insofferenza popolare verso un atlantismo cieco e bellicista, di un comprensibile nervosismo di tanti imprenditori che a Cernobbio hanno chiesto di fermare la guerra perché destabilizza l’economia.

Fino a quando durerà questa situazione? Sia l’andamento non positivo dell’offensiva militare di Kiev, sia la scadenza delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ove i sondaggi danno in vantaggio Trump che sembra vorrebbe disimpegnarsi dal conflitto europeo, fanno pensare che si apra qualche spiraglio nella direzione di un negoziato. Ma si tratta ancora di una vaga possibilità. Anche per questo occorre il più grande impegno dei popoli, a cominciare dal nostro, a sostegno della trattativa. Per questo la parola d’ordine dell’ANPI per la grande manifestazione delle associazioni unite proclamata a Roma il 7 ottobre è: “La pace prima di tutto”.

Perché “prima di tutto”? Perché gli effetti diretti e indiretti della guerra, come le sanzioni e le controsanzioni, hanno determinato un drastico peggioramento delle condizioni di vita di tutti noi. A questo si sono aggiunte scelte governative come l’abolizione del reddito di cittadinanza e l’ostracismo nei confronti del salario minimo, che colpiscono i ceti più disagiati; le prime avvisaglie sulla legge di Bilancio vanno nella direzione di un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita, di lavoro e di reddito di tutto il mondo del lavoro, dei pensionati, dei disoccupati, mentre non si preannuncia nessuna reale tutela del diritto alla salute, all’istruzione pubblica, alla salvaguarda dell’ambiente. Da un lato si paventa un ritorno dell’Europa dell’austerità, dall’altro per l’Italia i dati Istat di pochi giorni fa sono impressionanti: il PIL nel secondo trimestre è in calo dello 0,4%, l’andamento dell’occupazione subisce una flessione dello 0.2%, il potere d’acquisto dei salari è diminuito de 7.5%, il prezzo dei carburanti, com’è noto, è andato alle stelle; Confcommercio parla della chiusura entro l’anno di 24mila esercizi commerciali. Tutto fa pensare, in sostanza, che la grande occasione del PNRR sia in gran parte sfumata e che non si intenda cambiare il modello di sviluppo neppure di un mignolo. È il neoliberismo in salsa di estrema destra, bellezza! Un altro necessario motivo per andare a Roma.

Non bastano gli “spiriti animali” nella politica e nell’economia? Ecco le riforme istituzionali: in primis il miraggio dell’“uomo forte al comando”, antica aspirazione della destra neofascista. Questo miraggio si incarna oggi nelle evoluzioni di “democrazia decidente” in particolare di Fratelli d’Italia: presidenzialismo. No, forse è meglio il semipresidenzialismo alla francese. Neppure: va bene il premierato, cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio; proposta (ancora confusa) che scardinerebbe la Costituzione, dividerebbe il Paese, sottrarrebbe poteri al Presidente della Repubblica, umilierebbe il Parlamento.

Ma al governo c’è anche la Lega, per cui occorre approvare anche l’autonomia differenziata fra regioni, se no, niente premierato. Viva l’egoismo territoriale! Si negherebbe l’eguaglianza dei diritti, si punirebbero le regioni più povere.

È davvero un paradosso: il governo si muove contemporaneamente in due direzioni che confliggono; con la prima (premierato) vuole accentrare il potere centrale, rompendo il tradizionale equilibrio fra legislativo, esecutivo, giurisdizionale; con la seconda (autonomia differenziata) vuole dissolvere il potere centrale mandando in frantumi l’unità del Paese. Non solo francamente tutto ciò non sta in piedi, ma è anche legittimo pensare che si intende perseguire su queste strade istituzionalmente laceranti anche per distogliere l’attenzione dal dramma sociale che si sta consumando e che presumibilmente si aggraverà nei prossimi mesi ed anni. La vicenda è inquietante, anche perché non va dimenticato che, pur non mettendo in discussione la legittimità di questo governo, esso rappresenta in realtà una parte fortemente minoritaria degli elettori.

Buon senso vorrebbe, viceversa, di restituire agli elettori una legge elettorale che li rappresenti davvero, che si rilanci il ruolo e il potere del parlamento, da tempo umiliato da governi che si sono appropriati di fatto di una quota fondamentale di potere legislativo con i decreti legge e il ricorso alla fiducia, che si rilanci l’autonomia degli enti locali e una reciproca solidarietà fra aree forti e aree più deboli del Paese, che si salvaguardi in ogni modo l’unità nazionale. Insomma, un terzo, essenziale motivo per andare a Roma, cosa che l’Anpi farà dando vita alla più ampia mobilitazione possibile.

C’è un filo rosso che lega questi temi, e che è il modello di società e di Stato disegnato dalla Costituzione, ma che troppe volte sembra rimosso, ignorato o addirittura consapevolmente violato, e c’è una parola chiave – la pace – che occorre rimettere rapidamente al primo posto. Quel modello di società e di Stato è l’obiettivo di una rivoluzione costituzionale – la “rivoluzione promessa” di cui parlava Calamandrei – che consiste semplicemente e finalmente nella sua piena attuazione.

Non dimentichiamo che fra pochi giorni celebriamo l’80° anniversario dell’8 settembre e dunque della data-simbolo dell’avvio della Resistenza, e l’Anpi sarà naturalmente in prima fila nell’ampio calendario di celebrazioni, ricorrenze e iniziative in merito. Quella memoria di Resistenza e di Liberazione è la fonte dell’energia con cui contrastiamo qualsiasi processo di involuzione politica, civile, sociale, culturale, morale; mai come oggi quella memoria è una guida per l’azione per una nuova Italia di democrazia e di eguaglianza sociale, i cui fondamenti costituzionali sono due sole parole, due antiche e modernissime bandiere del progresso: pace e lavoro.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi (Imagoeconomica)