Se è vero che c’è un momento in cui si può scegliere di uscire da una crisi o con un ritorno all’indietro o con un profondo cambiamento che elimini in radice le ragioni della crisi, questo è uno di quei momenti. Se è vero che appartiene alla storia dell’Anpi misurarsi con scenari che caricano l’associazione erede della Resistenza di nuove responsabilità e di compiti gravosi, questo è uno di quei momenti. Se è vero che l’opzione dell’unità delle forze democratiche è la via maestra per contrastare le circostanze più drammatiche del corso degli eventi, questo è uno di qui momenti.
Qui ed ora siamo tutti alla prova dei fatti, davanti alla crisi organica di un Paese con 58mila morti per Covid (ad oggi), un tracollo economico, un balzo della disoccupazione, un impoverimento generalizzato delle famiglie, una consunzione del rapporto fra Stato e cittadini con diffuse forme di sfiducia, un conseguente pericolo per la democrazia, una paura e una solitudine sociale di tipo nuovo. Insomma, un sistema, per dirla col Censis, che è come “una ruota quadrata che non gira”.
Ci sono forze in grado di contrastare questa generale regressione sociale, civile, culturale, etica? Sì. E sono grandi e diffuse. Ma scollegate le une dalle altre, prive di un progetto comune, orfane dell’orizzonte di riferimento del secondo dopoguerra. Manca quell’insieme di relazioni che a quel tempo fu la molla principale della rinascita del Paese e che affondava nella trama di relazioni unitarie costruite durante la Resistenza. Non ci sono più i partiti di massa che, in collegamento con le formazioni sociali – i cosiddetti corpi intermedi – o direttamente con i cittadini, costituirono il tessuto connettivo fra il popolo e lo Stato, si sono smarrite tante grandi organizzazioni di riferimento politico, etico, sociale, agency come usa dire oggi, a cui si rivolgeva una parte decisiva del mondo della cultura, sono caduti in disuso o sono esplicitamente contrastati i valori fondativi della Repubblica, cioè eguaglianza, libertà, democrazia, solidarietà, pace. Prendiamone atto: non c’è più quel quadro. Ma ci sono energie, e sono vaste e plurali, disposte a mettersi in gioco, a spendersi in un progetto comune che, a partire da quei valori, proponga indirizzi, priorità, orizzonti di senso.
È stato questo il presupposto per immaginare quella che abbiamo chiamato una nuova fase della lotta antifascista e democratica e per proporre conseguentemente un’alleanza per la persona, il lavoro, la socialità.
La persona, perché è una delle chiavi principali di lettura della Costituzione, eppure è il soggetto più penalizzato dalla cultura dominante che ha imposto in sua vece l’individuo, cioè l’essere umano astratto, spogliato delle sue ineliminabili cifre sociali, civili, etiche.
Il lavoro, perché è il fondamento della Repubblica ed è stato in questi ultimi decenni privato di dignità e di valore come mai dal dopoguerra.
La socialità, perché il nostro Paese soffre da tempo di una straordinaria solitudine sociale, traumaticamente aggravata dalla pandemia e dai necessari provvedimenti di contenimento.
Il grande mondo del volontariato, dell’associazionismo, della cultura, del lavoro, delle giovani generazioni, della cosiddetta società civile, rappresenta una formidabile controtendenza di aggregazione, di solidarietà, di umanità. Ci sono straordinarie potenzialità di impegno e di pensiero, a cominciare da ciò che sta avvenendo nel mondo cattolico con le encicliche “Laudato Si’” e “Fratelli Tutti” e col recente convegno di Assisi “L’economia di Francesco”.
Negli stessi partiti democratici e progressisti, sebbene privi di quella “connessione sentimentale” che in passato aveva garantito le funzioni di rappresentanza di interessi sociali, ci sono spunti di piena consapevolezza della grave situazione del Paese.
Salvare l’Italia vuol dire cambiare l’Italia: o ci si libera del mantra dei modelli economici, sociali e valoriali del vicino passato, o siamo condannati a ripetere gli stessi errori, primi fra i molti, la demonizzazione del ruolo dello Stato e l’assolutizzazione del ruolo del mercato.
Con questo spirito e con queste parole abbiamo promosso il 4 dicembre un incontro iniziale fra alcune forze a cui proporre l’idea della costruzione di un’alleanza, di una rete che si muova su queste coordinate. E c’erano, in tanti ed autorevoli; segnalo la Cgil nella persona di Maurizio Landini, Cisl e Uil, Libera, Legambiente, Mattia Santori del movimento delle Sardine, il presidente delle Acli Roberto Rossini, Vincenzo Vita come Ars e Articolo 21, l’Unione degli Studenti Universitari, Libertà e Giustizia, il Comitato per la Difesa della Democrazia e della Costituzione, autorevolissimi rappresentanti del Pd, dei 5 Stelle, Arturo Scotto di Articolo 1, Acerbo del Prc, la presidente dell’Istituto Cervi, diverse associazioni partigiane. Abbiamo trovato ascolto e condivisione con una forte spinta ad estendere, fare rete, andare sul territorio, ricreare una relazione – si è detto – con “la nostra gente”, assieme ad una ricchissima articolazione di analisi e di riflessione.
Sì, c’erano anche i partiti, senza subalternità e senza repulsioni, perché rimangono le ovvie differenze e le necessarie diversità, ma ci si può misurare con un nuovo spirito repubblicano che riparta da un’idea condivisa di una società diversa, dove il dettato costituzionale venga finalmente e interamente realizzato.
Abbiamo posto la prima pietra. Ora sta a tutti, ma in particolare a noi, all’Anpi, operare perché quest’idea unitaria e propositiva si diffonda e si organizzi ovunque, nella concretezza della società di oggi. Un’idea partigiana, perché l’unità democratica e antifascista è il cemento che può aiutare a dar vita a questa rete che dobbiamo far abitare nel presente ma che guarda al futuro e che ha “i fondamentali” nel passato, in quello scrigno di valori custodito dentro l’esperienza storica chiamata Resistenza.
Pubblicato sabato 5 Dicembre 2020
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