Gianfranco Pagliarulo, Trieste, 28 giugno 2025

Questo è l’ultimo di 10 appuntamenti (più la marcia per Gaza a Marzabotto) di quella che abbiamo chiamato “Staffetta partigiana per un’altra Europa”, come ha ricordato Antonella Lestani. Io vorrei spiegare soltanto per quale ragione abbiamo inteso dare vita a questo ciclo di iniziative che è del tutto irrituale per l’Anpi, ma anche – direi – per le forze sociali e politiche del nostro Paese. Un ciclo a cui diamo la massima importanza e che abbiamo chiamato “staffetta partigiana” per indicare in modo incontrovertibile le radici storiche antifasciste dell’idea di Europa libera, unita, pacifica, solidale e dunque federale che perseguiamo.

Poniamo il tema dell’Europa come priorità. Abbiamo dato vita a questo ciclo di iniziative perché pensiamo che stiamo attraversando un punto altissimo di crisi della stabilità mondiale e dell’idea di Europa immaginata a Ventotene.

Per questo abbiamo promosso un documento-appello articolato, in cui proponiamo un’idea di Europa all’altezza della crisi che stiamo attraversando. Siamo stati espliciti. Abbiamo scritto “questa non è l’Europa disegnata a Ventotene. Occorre un profondo cambiamento”. Abbiamo evocato il rischio del ritorno dei nazionalismi. Un grande storico del 900 scriveva, a proposito del nazismo e del fascismo, che avevano provveduto alla “nazionalizzazione delle masse”.

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Abbiamo declinato le parole chiave dell’Europa che vogliamo: libertà, unità, pace, lavoro, eguaglianza sociale. Se ci pensate, sono i valori della Resistenza e le parole di Ventotene. Ci assumiamo una responsabilità e chiederemo alle forze politiche di assumersi una responsabilità.

Ma vorrei subito entrare nell’analisi del perché la Ue ha tradito Ventotene. E lo farò partendo dalle notizie degli ultimi giorni. Il recente vertice Nato ha manifestato questi dati. 1) Si conferma una plateale subalternità agli Usa, con sullo sfondo il ricatto dell’annuncio dei dazi; 2) Si abbandona in modo esplicito, dichiarato, quello che resta del modello dello stato sociale europeo; 3) Si conferma che non siamo davanti al riarmo della Ue, ma a quello delle nazioni.

Mark Rutte, segretario generale Nato e Donald Trump, presidente Usa (Imagoeconomica)

Un traino di questa radicale metamorfosi saranno la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, con due paradossi e mezzo: il primo è che la Gran Bretagna non fa parte della Ue; il secondo è che avverrà un riarmo mostruoso della Germania, con tutti i pericoli che rappresenta storicamente; il mezzo paradosso è l’allarmante figura di questo Rutte, segretario generale della Nato, un giullare della guerra, sguaiatamente asservito a una figura ancora più inquietante, quella di Donald Trump.

Ma se tutto ciò è vero, siamo davanti all’avvio di una destrutturazione della Ue, a vantaggio della Nato e degli Stati nazionali.

(Imagoeconomica)

L’altro dato di questi giorni è il clamoroso doppio standard della Ue. Armi e sovvenzioni all’Ucraina contro la Russia, nulla – come ha denunciato Sanchez, primo ministro spagnolo – contro Israele e per la pace, anzi un sostanziale e dichiarato appoggio a Israele (e a Trump) per l’aggressione all’Iran.

Questo comportamento dell’Europa la dimostra inaffidabile su scala globale perché in contrasto con tutti i trattati Ue, cioè con sé stessa, cioè con i suoi codici: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la Carta dei diritti fondamentali della Ue, il Trattato di Lisboba (sia sui diritti umani, sia sulla pace), il Trattato di Nizza.

(Imagoeconomica, Sara Minelli)

A questo punto il progetto che appare si stacca progressivamente dal modello europeo democratico e sociale, e tende, a parità di sistema economico liberista, a diventare una combinazione tra l’Europa fortezza e il depotenziamento dell’unità europea a vantaggio degli Stati nazionali. Ma questi due progetti coincidono con i programmi delle due estreme destre: Meloni (Fortezza Europa) e Salvini (Stati nazionali).

Elly Schlein, segretaria Pd, e sullo schermo Ursula Von Der Leyen, presidente Commissione europea (Imagoeconomica, Sara Minelli)

E qui c’è il nodo politico che ha portato a questa situazione, cioè l’Alleanza capeggiata da Ursula von der Leyen. Il Ppe è protagonista di questa involuzione. E – questo è drammatico – il Pse ha subito e condiviso questa metamorfosi. Oggi finalmente vediamo alcune crepe: la capogruppo Pse minaccia di uscire dalla maggioranza Ursula perché Ursula ha violato la legalità europea negando i diritti dell’Europarlamento e perché si sta rimangiando il Green Deal. Chi spinge giustamente in questa direzione, nel Pse, è Elly Schlein, che anche sui temi della guerra è su posizioni più razionali, assieme a Sanchez che ha una posizione più avanzata.

Ma torno ai megafinanziamenti per il riarmo, che sono da un lato la completa sottomissione alle lobby delle armi e dall’altro una risposta, anche illusoria, alla crisi (visto che non si vendono più Volkswagen, lo Stato acquista carri armati). Tutto ciò comporterà per i prossimi anni la militarizzazione non solo dell’economia, ma anche della società. Nella risoluzione dell’Europarlamento di aprile si spinge esplicitamente per la formazione bellica delle nuove generazioni nelle scuole e nelle università.

(Imagoeconomica, Sara Minelli)

Ma in Italia la militarizzazione dell’economia e i tagli al Welfare (sanità, scuola, pensioni) porteranno a una acutizzazione del conflitto sociale, la cui risposta preventiva è il decreto sicurezza, che trasforma lo Stato sociale in Stato penale. Lo si è già visto con i metalmeccanici a Bologna. Notate bene che le scelte attuali della Ue e le decisioni assunte dalla Nato (mi riferisco allo spettro di intervento ormai planetario; quindi non è più – e da tempo in realtà – propriamente un’alleanza difensiva) aprono un delicatissimo problema costituzionale, e cioè l’articolo 11, non solo per il ripudio della guerra, ma per il testo successivo, ove si dice che il consenso alle limitazioni di sovranità è limitato esclusivamente a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni. Questo ordinamento non è più la bussola della Ue e se la Nato cambiasse natura non è più un supporto all’art.52 (la difesa della Patria come sacro dovere). Persino Crosetto esprime i suoi dubbi sulla Nato: “Una volta il centro del mondo era l’Atlantico, ora il centro del mondo è il mondo”. Credo dunque che nella misura in cui è questione costituzionale, occorra avviare un profondo ripensamento su questa Nato.

Torno alla fase. Siamo nel pieno di una nuova fase storica su cui sembrano ritagliate le parole di Gramsci. “Il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire. In questo chiaro scuro nascono i mostri”. Gramsci si riferiva ai fascismi e alla guerra; lo scriveva – pensate – nel 1930.

Ma vediamo meglio l’oggi; la storia non è mai banale o semplice, perché è il frutto di una miriade di concause e di circostanze spesso imponderabili che si affiancano a grandi eventi o grandi tendenze. La storia è complessità. Per questo non funziona mai lo schema binario “bene” e “male”. Questo schema binario serve semplicemente per costruire uno schema, e cioè il nemico, cioè il male, che serve alla guerra. Questo schema binario deve essere imposto con la propaganda in ogni modo, perché la guerra capovolge la logica della vita. Non sono più i figli davanti alla morte dei padri, ma i padri davanti alla morte dei figli. A meno che, come a Gaza, non si risolve il problema all’origine ammazzando tutta la famiglia. E qui accenno solo al paradosso della guerra contro l’Iran: un Paese che ha oltre 200 ordigni nucleari mai dichiarati all’AIEA e una superpotenza nucleare, l’unica a oggi che ha usato l’atomica, attaccano un Paese che non ha ordigni nucleari per evitare che abbia la bomba nucleare.

Casa automobilistica cinese (Imagoeconomica, HONGQI)

L’evento centrale su cui ruota la vicenda mondiale è il passaggio di fase da mondo unipolare a mondo multipolare. I segnali di questo passaggio sono tanti: la crescita dei Paesi come la Cina e l’India, 2 miliardi e 800 milioni di esseri umani, più di un terzo dell’umanità. La popolazione dell’Asia è di 4 miliardi e 700 milioni. L’occidente, un miliardo, il famoso “miliardo d’oro”; l’aumento progressivo dei Paesi cosiddetti Brics, all’origine Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e oggi Egitto, Emitari Arabi, Etiopia, Iran, più tanti altri in lista d’attesa, ultimo il VietNam. Questi Paesi pongono la questione di diverse ragioni di scambio internazionale, finalmente eque e non più predatorie; lo sviluppo tecnologico che vede la Cina di gran lunga a primo posto, con quasi il 50% dei brevetti di I.A. legati alla pianificazione economica; la rivolta anticoloniale di una serie di Paesi dell’area sub sahariana; il declino demografico dell’Europa (è il continente più vecchio con una media Ue di 44,7 anni con l’Italia a 48,7 e l’Africa a 19/20 anni).

Guantanamo

E si potrebbe continuare. Il problema è dunque questo: la trasformazione in corso verso un mondo multipolare avverrà (o avviene) pacificamente o no? Si è messo in moto un domino micidiale: più di 50 conflitti armati nel mondo. Una guerra di invasione in Ucraina che si incattivisce sempre più. Un massacro di quantità e qualità inedita a Gaza da parte di Israele, che non solo ci indigna, ma ci interroga su Israele. Una metamorfosi del governo Usa che sta deportando con la forza migliaia e migliaia di persone a Guantanamo, in un regime di sospensione del diritto. Una guerra di aggressione breve e improvvisa in Iran, con una novità che mi ha colpito: la manifesta vulnerabilità di Israele; l’involuzione dell’Italia sulla strada dell’autoritarismo. L’attacco di Rutte allo Stato sociale, conclamato nella riunione Nato, è anche il contrario di quell’Europa che dovrà proporsi – come leggo sul Manifesto di Ventotene – “l’emancipazione delle classi lavoratrici”, per cui le “forze economiche non devono dominare gli uomini, ma essere da loro sottomesse”.

Un ingresso al centro migranti in Albania (Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Cosa colpisce di tutti questi eventi? La dismissione dell’arma della politica a favore della politica delle armi, cioè del riarmo generalizzato nella prospettiva della guerra. Politica delle armi che – notate bene – riprende in senso lato anche il fenomeno del rimpatrio e della rotta balcanica – i centri di accoglienza (Italia o peggio Albania) sono i luoghi della fine del diritto e del trionfo della forza. Possiamo vedere questo fenomeno da un certo osservatorio: l’intervento frequente della magistratura su temi di natura politica, in Italia, come negli Usa. Da un lato questo disegna la fragilità della politica attuale, dall’altro appare come il potere legislativo, di fatto viene in gran parte esautorato dal potere esecutivo. È il potere giurisdizionale che scende in campo più in funzione di supplenza, con funzioni di garanzia: vedi il parere della Cassazione sul Decreto Sicurezza. Ma tutto ciò è anomalo e rivela una radicale sofferenza istituzionale, una rottura nell’equilibrio dei poteri.

Se la politica estera propende per la guerra e il riarmo, quella interna va verso l’attacco allo Stato sociale e verso l’autoritarismo, in qualche caso siamo in presenza di una vera e propria svolta autoritaria, come da tempo in Ungheria, (pensate al divieto del Gay Pride, all’omofobia, alle repubbliche baltiche liberticide contro le minoranze russofone).

Ma guerra e autoritarismo sono segnali di promozione della violenza come strumento non solo legittimo, ma prioritario, della politica. Vedete, non parlo del monopolio legittimo della forza da parte dello Stato, che ci sta, è giusto, ma della violenza, della forza come strumento di regolazione dei rapporti sociali (vedi appunto il decreto sicurezza in Italia o gli arresti indiscriminati a Guantanamo negli Usa) e delle relazioni internazionali (la guerra). Alla forza del diritto si sostituisce il diritto alla forza. Forse è il caso di parlare di Stato di eccezione come potere del sovrano di muoversi legittimamente, cioè senza violare la legge, anzi approvando nuove leggi, in contrasto con il suo stesso sistema giuridico. Hitler utilizzò in modo formalmente legittimo l’articolo 48 della Costituzione di Weimer che gli consentiva ampi poteri per istaurare lo stato di eccezione.

Oggi siamo davanti al probabile progressivo disimpegno Usa dal teatro europeo, verso l’Oriente, per contrastare il nemico cinese. E la Ue si attrezza verso il nemico russo, fantasticando su futuri assalti russi ai Paesi europei Nato. Una palese sciocchezza, per coprire il riarmo che serve a riconvertire le industrie, come ha detto chiaramente Massimo Cacciari. Persino il mite Cottarelli,  sul Fatto Quotidiano, ha detto di ritenere questa possibilità altamente improbabile. Nonostante l’atteggiamento subalterno della Ue verso gli Usa, il disimpegno Usa potrebbe essere una grande occasione per la Ue di piena conquista di autonomia dagli Usa. Se ci si muovesse in questa direzione si capovolgerebbe l’intero paradigma dominante, scoprendo possibilità inesplorate. Ma questo è possibile solo con un ritorno alla politica. Questo riguarda il confine orientale, con la proposta di Helsinki 2, cioè una conferenza di pace che garantisca Russia e Paesi confinanti. Helsinki: disarmo reciproco controllato, territorio, legalità e diritto internazionale, riforma dell’Onu. Rilancio di un’altra idea di Europa. Ci aiutano su questi temi le posizioni di Papa Leone XIV.

Vertice informale dei ministri della Difesa Ue (Imagoeconomica, Mario Salerno)

Ma bisogna invertire il passo bellicista attuale, far sì che la Ue, dopo tre anni di bellicismo, avanzi finalmente proposte di negoziato per la guerra in Ucraina, diventi soggetto pacifico e pacificatore del conflitto, cosa mai avvenuta ad oggi. Certo che la Ue deve dotarsi di una forza armata, ma come dice il Manifesto di Ventotene, di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, e, aggiunge, contrastando il militarismo. Tutto il contrario di ciò che sta avvenendo. E tale forza armata deve avere un governo politico che non può che essere democratico. A chi risponde la catena di comando? Alla Von der Leyen? Alla Kallas? Ma con quale legittimazione? Non può che rispondere a un legittimo governo federale democratico oggi inesistente.

Secondo vertice Cina-Asia centrale, 17 giugno 2025 (Imagoeconomica)

L’Ue ha davanti mercati, relazioni politiche, culture, tutte ancora da scoprire. Penso alla Cina, 4000 anni di civiltà, all’India, all’Africa, all’America Latina. Ma questo richiede un gigantesco cambio di passo mentale, prima di tutto. E richiede un cambio di gruppi dirigenti, palesemente non all’altezza e spesso condizionati (per usare un eufemismo) dai centri di interesse privato sovranazionale.

La storia dell’Europa non è stata solo la storia del nazifascismo, ma anche la storia del colonialismo, dagli spagnoli ai portoghesi, dal quindicesimo secolo fino alla Conferenza di Berlino del 1884/5, quando ci si spartì l’Africa, fino alle avventure post coloniali – in Afghanistan, Iraq, Libia, spesso con la Nato. L’Europa non è più il centro del mondo e i suoi doppi standard uccidono la sua credibilità. L’Europa non è un giardino fiorito circondato da barbari, ma può diventare un Grand Hotel sull’abisso come – ho letto – si diceva negli Anni 30. L’Europa ha una grande storia, una grande cultura, una grande economia, ma anche un grande difetto: quella di guardare dall’alto in basso il resto del mondo.

Franz Fanon

L’Europa deve salvaguardare le sue conquiste democratiche e sociali ed essere rispettata. Ma per questo deve rispettare tutti gli altri Paesi. In caso contrario continuerà a confondere i diritti dell’uomo con i diritti dell’uomo bianco, come scriveva Franz Fanon alla fine degli anni Cinquanta.

Ma proprio per questo non ha una grande politica, il solito gigante economico, ma nano politico. E non ha una grande politica perché è fallito il progetto di una Costituzione europea con i referendum del 2005, ed è fallito perché è stato un progetto costituito e costruito dall’alto, né poteva essere sufficiente la pur necessaria Carta dei diritti che nel suo preambolo sostiene giustamente la centralità della persona umana.

E perché è fallito il progetto Costituente? Perché insieme al soggetto costituente istituzionale non si è incarnato il soggetto costituente popolare, cioè la radice e la ragione stessa, storicamente determinante e legittimante quel processo. Come si può pensare una Costituzione, per di più sovranazionale, che non sia espressione e specchio delle culture, di quello dei popoli e dei giovani? Occorre perciò dar vita a uno spazio di dibattito pubblico continentale che non sia riservato a una nicchia, a un’élite, a un’avanguardia come è oggi, ma attraversi la coscienza dei popoli europei promuovendone la partecipazione democratica.

La sede della JP Morgan a New York

È questo che nel nostro piccolo proviamo a sollecitare oggi capovolgendo i paradigmi vigenti, quelli, per esempio, di tutte le politiche relative alla guerra – sanzioni alla Russia, armi all’Ucraina, nulla verso Israele, riarmo gigantesco accelerato – che si sono svolte escludendo qualsiasi partecipazione popolare e dando vita a campagne di propaganda e di torsione dell’opinione pubblica, senza mai una verifica dell’efficacia di queste decisioni, anzi con punte di irrazionalità e fanatismo. D’altra parte, come è stata gestita la crisi economica del 2007/2011 che ha portato alla catastrofe in Grecia e enormi difficoltà in Italia e in altri Paesi? Nello stesso modo, col famoso intervento della Troika, e con l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. E così, di fatto, come auspicava l’agenzia di rating JP Morgan nel 2013, si è teso a svuotare di senso le Costituzioni più avanzate, a cominciare dalla nostra. Ora il plotone d’esecuzione è il governo Meloni.

Decidiamo di difendere la democrazia, la libertà e lo stato di diritto contro l’assalto delle destre. Ma le destre si sono rafforzate dalle crisi nella democrazia liberale, per la caduta del Welfare, per i bassi salari che sono stati voluti da Draghi, come lui stesso ha detto qualche settimana fa a Coimbra, specificando che era una scelta dettata dalla necessità di essere competitivi. E ora siamo nella circostanza del riarmo e della possibilità di guerra. Tutto ciò ci rimanda a un’immagine popolare di una Ue governata da un’oligarchia.

Georges Surat, Periferia

Allora per vincere le destre dobbiamo incidere proprio su questi temi: miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli, contrasto al riarmo e alla guerra, rilancio della partecipazione popolare e della rappresentanza politica degli interessi sociali, cioè del Parlamento. Questo non può avvenire nella zona comfort della società italiana. Dobbiamo abbattere i muri dell’astensione e questo si può fare solo se si sposta fisicamente il luogo della politica dalle sue stanze e si va nelle periferie cittadine, dove vive la gente; non è il popolo che deve andare dai suoi rappresentanti, ma è il contrario.

Un manifesto d’epoca per il reclutamento delle Waffen SS a Monaco

E dobbiamo disegnare un’altra idea di Europa, come peraltro di Italia. Per l’Europa nell’appello avanziamo una serie di proposte che riguardano ovviamente il lavoro, il welfare, ma anche ricerca e sviluppo, Intelligenza artificiale, industria, commercio, riforma delle istituzioni, rafforzando il potere della rappresentanza europea rispetto ai governi nazionali e alla Commissione. Così possiamo smontare la narrazione dell’estrema destra, le cui origini – notate bene – stanno nel nazifascismo che immaginava un’Europa federale sì, ma fortezza chiusa, come dicevano, a cinesi e negri africani, pronta a depredare le materie prime altrui per gli assolutamente bianchi. Un’Europa in cui le forze armate fossero le Waffen SS, cioè i collaborazionisti. Quest’Europa federale nazifascista era disegnata e auspicata nel manifesto fondativo di Salò, il manifesto di Verona del ’43.

Questa battaglia richiede un contrasto radicale al revisionismo storico, che però dilaga in particolare in Italia e nel Paesi dell’Est. Si sta riscrivendo la storia del nazifascismo e della Guerra mondiale per estirpare le radici antifasciste dell’Ue. Oggi come ieri? Non so. Ma nel Manifesto di Ventotene c’è scritto: “La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali  (…). Le tenebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano”. Questo è stato scritto nel ’41, quando da tempo imperversava la guerra, l’Italia era entrata nel conflitto l’anno precedente e Spinelli era già da anni in carcere o al confino. Per tutte queste ragioni Ventotene diventa una bandiera e un programma.

Narodni dom, Trieste, 28 giugno 2025. Nel collage di foto, la presidente Anpi provinciale Udine, Antonella Lestani al tavolo accanto al presindente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo; alcuni degli ospiti e le tante persone che hanno partecipato all’incontro ultima tappa della Staffetta partigiana

Qui mi fermo, ma solo in apparenza. Nei nostri manifesti, prima di “Staffetta partigiana per un’altra Europa”, abbiamo scritto una parola chiave: “Muoviamoci!”. È quello che stiamo facendo perché siamo in una drammatica fase di passaggio in cui il futuro può essere molto migliore o infinitamente peggiore. Non possiamo stare alla finestra e dobbiamo coniugare una grande ideai trasformazione alla situazione reale. Dobbiamo coniugare Ventotene col principio di realtà, cioè l’Unione europea di oggi. Visione più principio di realtà: ciò vuol dire tornare a fare politica nel senso più nobile del termine. Oggi questo è un dovere civile, è antifascismo del nuovo secolo, è Resistenza. Muoviamoci allora, a cominciare dallo straordinario valore simbolico di questo luogo che ci parla di fraternità per più Europa, un’altra Europa.

Trieste, 13 luglio 1920. L’incendio del Narodni dom (Casa degli Sloveni) a opera diello squadrismo fascista

E aggiungo, qui al Narodni dom, la Casa della minoranza slovena: ora e sempre, “Imrt fascismu!”, in qualsiasi forma si presenti!