Fantozzi e Villaggio. Come molti grandi comici, Paolo era in realtà un personaggio tragico. E forse lo era anche Fantozzi nel perverso rapporto fra la maschera e il volto. Di suo, rideva ben poco. Parlarne ancora, dopo tanti discorsi e articoli e coccodrilli e revival dei suoi film può sembrare stucchevole. Eppure c’è una parola che non è stata ancora pronunciata. Un neologismo. Sovviene leggendo la sua intervista pubblicata sul Corriere della Sera del 4 luglio, a cura di Mario Sesti. Forse l’ultima che ha rilasciato. Sa che gli manca molto poco: “Quando leggi Kafka senti proprio questa voce dentro di te che urla: non subito! Non subito!”. Eppure è consapevole dell’enormità di ciò che lo attende: “Morire è un evento formidabile”. Timore e tremore. Poi – scrive Mario Sesti – mima il pianto: “Voi credete che stia fingendo? Anche io. Ma in realtà forse sto piangendo sul serio”. L’attore e il suo personaggio. O l’attore è il suo personaggio? In fondo – è questo il neologismo a cui accennavo – Paolo Villaggio non era semplicemente un comico. Era un malincomico.