La Festa della civiltà. Non so voi, ma ne avverto un bisogno aggressivo. Da tempo si va aggravando un panorama nazionale puntellato da desolanti esibizioni di faziosità, menzogne, miserie intellettive, mistificazioni, con il naturale risultato di un progressivo scadimento del livello di vivibilità non solo materiale ma anche, e forse soprattutto, “animale” nel senso dell’anima delle persone, del loro modo di stare al mondo con un minimo di consapevolezza personale e sociale.

Il risultato è un inquietante gran teatro di spregiudicate e irrispettose corse all’oro, di calpestii delle esigenze concrete, in soldoni dell’abbattimento della natura della politica, nel senso più largo del termine. Osservo, con crescente malinconia, gli spettatori di questo teatro, oramai assecondanti e stesi a ritagliarsi spazi inesistenti di personalità attiva. Orfani del senso, si muovono con drammatica abilità acrobatica tra illusioni e vomiti di vuoto. La solitudine un tempo, per come l’ho conosciuta e toccata, era un sano momento di concentrazione per crescere in coscienza e intelligenza. Oggi è un rifugio di mendicanti del miracolo. Impazzano sui facebook selfies perennemente sorridenti (e si capisce immediatamente che si tratta di pose ben sistemate), storielle di felicità messe lì per addormentarsi con sufficiente serenità e fiducia. Estratti di libri da ingurgitare e far ingurgitare per abbozzare uno stile di vita civile. Ecco, civile.

Non so voi, ma è urgente tornare ad essere non immaginarsi civili. E mi trovo ad escogitare una Festa. Un momento diffuso dove riconoscere se stessi, in primis, e poi gli altri. Angoli dove le solitudini brillino, non emanino olezzi di depressione. Occorrerebbe trovare una data. Un giorno fortemente simbolico. Lascio ai lettori questa sfida, posto che condividano i miei malpensieri. Per quanto mi riguarda ne ho in testa una. Per ora è solo un anno: 1937. Manca il giorno. Si tratta della nascita di una donna straordinariamente e contagiosamente civile: Grazia Cherchi. A molti di voi probabilmente non dirà nulla questo nome. Si tratta di una critica letteraria ed editor. Ha sostenuto e tirato su scrittori come Stefano Benni e Alessandro Baricco (quello degli esordi). Nel suo testo forse più famoso “Scompartimento per lettori e taciturni” (1997 – ed. Feltrinelli) Grazia ripercorre i suoi amori letterari, attraverso interviste e pezzi giornalistici. Il risultato è un respiro di autenticità, passione e pressione riflessive. Un colpo di civiltà. E ci sarebbe ancora tanto da dire su questa donna, scomparsa troppo presto a 58 anni. Magari qualcuno avrà la curiosità di andarla a cercare. Sentirà il bisogno imperioso di ascoltarla. Di ritrovarsi in un prezioso e civilissimo angolo di Grazia.

Buona meraviglia.