Or dunque, viviamo in tempi di mercato nero. Intendesi comunemente con tali parole il commercio clandestino di beni di prima necessità. Sempre mercato è.

D’altra parte l’etimologia della parola “mercato” rinvia al latino mercatus (commercio, traffico, fiera) e non si può negare che in siffatta società, cioè nella società di mercato, permanentemente deambuliamo oggi, da questa sommersi, coinvolti e travolti. Se il commercio dell’anima fu prerogativa di Faust (Mefistofele consentendo), l’anima del commercio – dispone l’adagio – s’appella pubblicità: così fan tutti. Nella vita e nell’arte. Musicalmente declinando, come recita la nota cantica di Branduardi, “Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò”. Altresì aggiungendo, il compositore inglese Albert William Ketelbey è rinomato ai più per la fiammeggiante composizione “In un mercato persiano”, in cui si mescolano, rotolandosi nell’abbraccio, suoni di profumo orientale e musicalità europea. Era il 1925 quando Giuseppe Adami vergò le parole – musica di Riccardo Zandonai – di una canzone (si denominò allora “inno popolare”, oggi si profferirebbe: clip pubblicitario) per la nuova, sfavillante automobile Fiat 509: “Qual rombo allegro e strano/Quale cantar giocondo/Ci giunge di lontano/Per dilagar nel mondo?”. Poscia, nel dopoguerra la pubblicità si incarnò in “Carosello”, segnandoci memoria delle nostre infantili (tele)visioni.

Al momento, quell’anima del commercio, e spesso quel commercio dell’anima, ci recinge e ci costringe agglomerandosi puntigliosamente nel cavo delle più recondite abitudini di ciascuno. Con internet e la globalizzazione, poi, fra banner, video e quant’altro, ecco che il potenziale acquisto per ogni dove dilaga, e puoi – se vuoi – di tutto procurarti, dalla pizza al carro armato. Per non far cenno ai siti per cuori disabitati, anime gemelle monozigoti, incontri, sessi, amplessi, riflessi, consessi, complessi, alle volte – ma di rado – decessi, e così via, moderna arma letale per contrastare la solitudine delle persone prime. Basta pagare.

Perché sbalordire, allora, della vendita online di abbigliamento, audio e video, bandiere e oggettistica da parte di un sito che s’appella “Duxstore”? Vuoi acquistare il “manganello X MAS”? Solo euro 7.99. Ambisci al cuscino in velluto elalamein “MANCÒ LA FORTUNA NON IL VALORE – 1°-7-1942”? Con 18 euro è tuo. Ti manca la “Daga Mussolini – Pugnale becco d’aquila”? Euro 34.99 e te la porti (anzi, te la portano) a casa. Spasimi per la nuovissima felpa con la scritta “TESTA CALDA, SANGUE FREDDO, CUORE NERO”? Euro 29.99 (tasse incluse, sia chiaro), e il tuo sogno è coronato. Vuoi far garrire a casa (per esempio – si fa per dire – dans la toilette) la bandiera della RSI con artigliante aquila e gagliardo fascio littorio? Euro 14.99, e vai! Vuoi goderti un po’ di sana musica, magari canta Massimo Morsello, in arte Massimino, cofondatore di Forza Nuova assieme a Roberto Fiore? Impadronisciti virilmente del CD “Intolleranza”, sempre per euro 14.99.

Ma cos’è “Duxstore”? Et voila la risposta in home: “Duxstore nasce, nel 2017, da un progetto, autofinanziato, di Piero Aldi, volto ad informare i lettori sulle verità storiche, sui temi di attualità facendo rivivere il periodo storico attraverso la vendita di gadgets, riproduzioni e materiale d’epoca riguardante il fascismo ed il socialismo nazionale”.

Si accennò poc’anzi al mercato nero. La parola “mercato”, come si è testé discettato, mantiene un originario significato di commercio, fiera. Ma “nero”? Scaturisce dal latino niger, cioè scuro, ma anche fosco, funesto, e dal greco necròs, cioè morto, cadavere. Effettivamente il nero è (quasi) sempre stato associato ad un’aura di mortifero, luttuoso, negativo.

Pertanto yes, viviamo in tempi di mercato nero. Ma non nel trito senso del commercio clandestino di beni di prima necessità. Nondimeno è nero. Come le camice nere, il fez nero, la peste nera, la morte nera, l’animaccia nera. In fin dei conti, il fascismo. Lo trovi su internet al “Duxstore”; basta un clic, ovviamente nero. Più nero del mercato nero.