Uccisi a Bagnole de l’Orne il 9 giugno di 80 anni fa dai cagoulards finanziati dal regime mussoliniano, i fratelli Carlo e Nello Rosselli sono tra le figure più note dell’antifascismo italiano ed europeo, ma al contempo l’eredità politica di Carlo Rosselli è tra le meno esplorate e rivendicate dalle sinistre in Italia.

In quest’ultimo anniversario le commemorazioni ufficiali sono state minime, gli articoli a ricordo ben pochi, nessun partito politico ne ha rivendicato l’eredità con iniziative di studio.

La causa di questa marginalizzazione della cultura politica socialista liberale ispirata da Rosselli è in gran parte legata al destino politico di Giustizia e Libertà e poi del Partito d’Azione nell’immediato dopoguerra.

Eppure il pensiero di Carlo Rosselli mostrò elementi di novità e modernità sia sul piano ideologico che su quello organizzativo e dell’attivismo politico; ma nell’antifascismo italiano egemonizzato dai comunisti e ancora intriso delle mille divisioni intestine al vecchio Partito socialista, il socialismo non rigidamente marxista di Rosselli e la sua pratica politica di ispirazione morale ma non dogmatica, non riuscirono a sopravvivere di molto al suo giovane ispiratore.

A ben vedere nella storia italiana ci sono stati diversi momenti in cui la solida freschezza del pensiero politico di Rosselli avrebbe potuto tornare utile a un campo delle sinistre sempre troppo diviso e troppo legato a passati che non passano mai appieno.

Le pagine scritte sul Non Mollare, su Critica Sociale, su Il Quarto Stato e poi il suo unico libro “Socialismo Liberale” introducono in Italia la conoscenza del laburismo britannico; Rosselli arriva prima di moltissimi altri alla critica della dittatura del proletariato che in Unione Sovietica sta già mostrando il volto duro dello stalinismo; nel solco del socialismo liberale, cresce una generazione di intellettuali di grandissimo spessore, ma non riuscì a diventare cultura egemone nei partiti di massa, neppure nel Psi.

Quando Craxi irruppe modernizzando il partito, si scelse come riferimento culturale Proudhon per superare il marxismo, relegando Rosselli a comprimario, utilizzato più per differenziarsi dal comunismo che per fondare un nuovo pensiero che unisse le sinistre.

Proprio nel giorno dell’ottantesimo anniversario dal barbaro omicidio, in uno dei rari articoli usciti per ricordarlo, su Repubblica Eugenio Scalfari rivendicava l’eredità rosselliana ne Il Mondo e poi nell’EspressoRepubblica, se certamente ve ne è eco, non arriverei a dire che l’ulivismo e poi il Pd su di esso si fondano, anzi hanno per certi versi recepito dell’azionismo solo gli aspetti più elitari e morali, meno quelli di prassi politico organizzativa e di innovazione culturale.

Consiglio a tutti la lettura del libro appena pubblicato da Donzelli del Prof. Gaetano Pecora, “Carlo Rosselli, socialista e liberale-Bilancio critico di un grande italiano”, che di Rosselli coglie anche tutte le contradizioni e i limiti.

Pur con quelle incoerenze e con quei limiti, sono convinto che proprio oggi, con un campo delle sinistre frammentato, la socialdemocrazia in difficoltà in tutta Europa, un Pd in cerca di larghe intese, ripartire dalla lezione di Rosselli può essere utile ed attuale.

Ripartire dalla scelta di perseguire l’ideale socialista con metodo liberale, la lotta alle diseguaglianze e l’amore per la libertà, può essere un primo passo per ritrovare il senso del compito storico che hanno le sinistre europee in un mondo che vive l’ondata del populismo reazionario. Il superamento delle antiche rigidità ideologiche della sinistra (che in Europa ha spesso portato a derive di stampo neoliberista), senza per questo arrivare al “macronismo”, può partire dalla lezione di Carlo Rosselli.

Ma da dove può scaturire questa riscoperta del pensiero socialista liberale? Come, nell’anno di un ottantesimo anniversario dall’assassinio dei fratelli Rosselli così magramente celebrato, può accadere?

Credo che il compito gravi sulle spalle di una nuova generazione di dirigenti politici, che rifiutino la logica dei “millennials” (Lo dico senza polemica alcuna coi ragazzi in questione; alcuni li conosco personalmente e fra qualche anno di lavoro politico avrebbero potuto benissimo diventare egualmente dirigenti nazionali del Pd). Si dovrà ripartire dal connubio tra radicamento territoriale e cultura politica. Senza far sì che l’uno possa fare a meno dell’altra. Dobbiamo riscoprire il radicamento sociale, l’azione popolare.

Dobbiamo ripartire dal formare personale politico, capace di leggere e studiare la realtà, le culture, capace di farsi un Pantheon dove non campeggino solo le letture obbligate (dalla tradizione o dalle mode).

Nelle varie scuole di formazione che ogni tanto il Pd tenta di rimettere in piedi, c’è spazio per Rosselli e per questo nobile filone culturale?

E oltre a Rosselli, di quella importante filiera politica cosa resta oggi nel nostro bagaglio di strumenti per la comprensione del mondo?

Il Pd che governa tutte le regioni del nostro Mezzogiorno e che ammette di aver sbagliato a contare sul “notabilato” (cit. Renzi) e che spesso vede il ritorno del trasformismo in proporzioni dilaganti, è in grado di rifare proprie le lezioni di Gaetano Salvemini e di Tommaso Fiore?

Senza una cultura politica di riferimento solida, il Pd in particolare sarà più debole ed esposto al mutare del senso comune e delle convenienze di parte, più permeabile agli interessi particolarissimi. E lo sarà di più proprio dove è più difficile la sfida del governo e lì dove non basta prendere un voto in più degli altri e amministrare un pochino meglio. Per costruire questa cultura politica nuova il socialismo liberale di Rosselli può essere pietra d’angolo.

Stupisce e amareggia che l’ottantesimo anniversario dell’omicidio dei fratelli Rosselli passi così sotto tono, ma fa ancora più male il constatare che il nostro Paese, e il campo politico progressista, non abbia ancora imparato a fare i conti con l’eresia di Carlo Rosselli, l’ircocervo socialista liberale. Eppure in un’epoca che vive di post verità e di post ideologie anche da Rosselli dovremmo ripartire.

Matteo Bianchi, capo della segreteria di Andrea Orlando


 Pubblichiamo volentieri come email l’opinione di Matteo Bianchi, perché conveniamo sull’importanza del ruolo antifascista e del pensiero dei fratelli Rosselli, sulla valenza simbolica della loro vita e della loro morte, sulla testimonianza estrema che il loro sacrificio ha rappresentato in merito alla natura bestiale ed omicida del fascismo. Ne abbiamo parlato a lungo su questo periodico attraverso le parole di Valdo Spini (http://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/servizi/carlo-nello-giustizia-liberta/). Siamo però consapevoli che le considerazioni di Matteo Bianchi riguardano uno specifico punto di vista politico, sono rivolte in particolare verso il Pd e per alcuni aspetti sono interne al Pd. Di conseguenza non coinvolgono questo periodico e più in generale l’Anpi. (G.P.)