Ilaria Cucchi parla di quanto è avvenuto in questi giorni; nessuno restituirà Stefano né a lei né alla famiglia. Ma finalmente emerge, dopo anni di gigantesche menzogne, il profilo della verità; e quelle istituzioni, che troppo a lungo erano apparse ciniche e ostili, finalmente restituiscono dignità a loro stesse, riconoscono l’inaudito crimine, si schierano dalla parte della giustizia. L’unico che continua a far finta di non capire è il ministro dell’Interno.
La lettera del generale Nistri è stata una sorpresa?
“Ricevere la lettera del Generale Nistri, Comandante generale dell’Arma dei carabinieri, è stato per me estremamente emozionante. Hanno suonato alla porta come quando consegnarono a mia madre la comunicazione di nominare un perito di fiducia per presiedere all’autopsia di Stefano. Così abbiamo appreso della morte di mio fratello. Questa volta ho visto i quattro fogli scritti a mano e leggerne il contenuto mi ha commosso. Ma al di là dell’aspetto emotivo, la lettera ha rappresentato un qualcosa di enorme: il Comando generale dell’Arma dei carabinieri si è schierato per la prima volta, per la prima volta in questi 10 anni, al fianco della famiglia di Stefano Cucchi e soprattutto al fianco della verità.
Nistri ha scritto di ritenersi danneggiato, da uomo e da padre, al pari della famiglia di Stefano e di suo pugno scrive di ritenere doveroso il chiarimento di ogni singola responsabilità nella sede opportuna, l’aula di un tribunale. E che quanto accaduto abbia leso il lavoro quotidiano della maggioranza dei carabinieri. È ciò che ho sempre sostenuto in questi anni, ha riconosciuto il Comandante. Quella lettera è una svolta perché proprio in questi mesi stiamo assistendo all’emergere continuo di novità sui numerosi depistaggi e falsi compiuti da esponenti dell’Arma”.
Mesi fa aveva incontrato il generale Nistri, il colloquio non era andato secondo le sue aspettative.
Avevo definito uno “sproloquio” le parole pronunciate in quell’incontro, un’accusa ai militari che avevano deciso di rompere il muro di omertà sulla morte di Stefano. Evidentemente, però, quel confronto è stato importante.
Nella lettera si annuncia l’intenzione dell’Arma di costituirsi parte civile nel futuro processo per depistaggio, se saranno rinviati a giudizio gli otto ufficiali indagati.
Si costituirà parte civile anche il ministero della Difesa. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Conte, a nome di tutto il governo. Prendo atto però che c’è ancora chi non vuol capire…
A chi si riferisce?
Nel giorno in cui è arrivato il messaggio di vicinanza e solidarietà da parte del Comando generale dell’Arma il nostro ministro dell’Interno Salvini ha voluto ripetere la solita frase, come fa ormai da anni, senza nemmeno porsi il problema di contestualizzare, senza neppure informarsi un po’ di più prima di esternare “comunque io sono dalla parte delle forze dell’ordine”. Chi rappresenta le forze dell’ordine, chi rappresenta l’Arma dei carabinieri è dalla parte della famiglia Cucchi, questo vorrei fosse chiaro. Anche, forse, per aver deciso – ma non avremmo saputo fare diversamente – di condurre una vera e propria battaglia di civiltà nel rispetto di tutti, nel rispetto di quelle stesse istituzioni che ci avevano prima tradito e poi voltato le spalle, nel rispetto di una giustizia che per troppo tempo è andata avanti con due pesi e due misure. E questo fin dall’udienza di convalida dell’arresto di Stefano, dunque quando mio fratello era ancora vivo, e così per anni e anni dopo la sua morte, fino all’arrivo alla Procura di Roma del dottor Giuseppe Pignatone e del dottor Giovanni Musarò. Da allora tutto è cambiato.
Cosa ha provato durante la ricostruzione in aula del carabiniere Francesco Tedesco, uno dei cinque imputati per omicidio preterintenzionale, su cosa accadde in caserma la notte del fermo di Stefano?
Abbiamo ascoltato in aula il racconto dell’uccisione di mio fratello, non mi vengono altri termini per definirla, l’ho ascoltata io e soprattutto, l’hanno ascoltata i miei genitori, seduti come sempre in fondo all’aula. Dal punto di vista emotivo, non è stato un momento facile. Eppure quelle cose le sapevamo da sempre, le sapevano tutti coloro che avevano deciso di approfondire questa storia, di guardare oltre ciò che si voleva far credere. Però ci sono voluti dieci anni per ascoltarle anche in un’aula di giustizia. Mentre ascoltavo Tedesco descrivere dettagliatamente quello che era accaduto quella notte, le spinte, i pugni, i calci in faccia, ricordavo la perizia del professor Arbarello, il consulente medico legale dell’allora pubblico ministero, e poi successivamente quella della dottoressa Cattaneo, nominata dalla Corte d’Assise. Ricordavo i disegnini della consulente, le simulazioni di quella “caduta accidentale”, i paroloni per descrivere, in un’aula di tribunale, come Stefano con un’unica caduta si sarebbe potuto procurare tutte quelle lezioni in più parti del corpo. Era un processo, fin dall’istante successivo la morte di Stefano, scritto a tavolino dai superiori di coloro che oggi sono sul banco degli imputati, gli stessi che avevano già, nero su bianco, le conclusioni della perizia del professor Albarello, addirittura prima che venisse nominato consulente nel primo processo. Grazie al cielo, oggi siamo in una fase diversa, questo momento può dare la possipossibilità di ricucire la ferita aperta tra lo Stato, le Istituzioni e i cittadini. I cittadini si sentono abbandonati dalle istituzioni, si riconoscono invece nella famiglia Cucchi, non solo per quello che è accaduto a Stefano ma soprattutto per ciò che la sua famiglia, una famiglia normale come tante, una famiglia perbene che ha consegnato alla Procura la droga trovata in casa, ha dovuto subire in questi lunghissimi anni, una famiglia che di fatto si è fatta carico di un ruolo che dovrebbe essere di uno Stato democratico.
Quando si terrà la prossima udienza?
Torneremo in aula il 16 aprile. Sarà nuovamente chiamato a deporre Tedesco mentre, da quanto so, gli altri imputati rilasceranno dichiarazioni spontanee, temo dunque ripeteranno quanto suggerito dai loro avvocati. Poi le difese porteranno alcuni testimoni, persone presenti nella caserma dove, secondo il racconto di Riccardo Casamassima, il maresciallo dei carabinieri che fece riaprire il caso tre anni fa, il collega Roberto Mandolini, imputato, disse che era “successo un casino”.
Il 18 aprile si apre inoltre un altro processo a piazzale Clodio, in seguito alla mia querela nei confronti di Gianni Tonelli (già segretario generale del Sap, uno dei maggiori sindacati di polizia, ora parlamentare, eletto nella Lega di Matteo Salvini, ndr). Il pm aveva chiesto l’archiviazione ma il giudice ha deciso per l’imputazione coatta.
Anche Tonelli l’ha querelata per una frase pronunciata durante una trasmissione televisiva, ora lei rischia un processo per diffamazione.
Non vedo l’ora di andare a processo. Ho tante cose ancora da dire in un’aula di tribunale.
Ilaria Cucchi e il sindaco Mimmo Lucano: eravate insieme a Torino per ricevere le tessere Anpi.
Il sindaco di Riace ha rivelato un grandissimo senso di umanità e intanto, finalmente, potrà tornare nel suo paese. Le nostre vicende processuali sono differenti, ma credo che abbia scaldato il suo cuore avere la vicinanza delle persone. È stato così anche per noi. Se è vero che siamo partiti dal nulla, niente si fa da soli. A volte si ha bisogno di eroi, ma, parlo per me, non sono un eroe. La nostra famiglia ha avuto accanto l’avvocato Fabio Anselmo, che ora è il mio compagno, il nostro perito, Vincenzo Fineschi, poi la Procura di Roma con Pignatone e Musarò, ma soprattutto le tante persone comuni. Da anni, quando cammino per strada in tanti si fermano, c’è chi mi abbraccia, chi mi ripete “vai avanti”. Io confido sul senso di responsabilità dei giudici. È necessario un segnale, le persone hanno bisogno di fidarsi pienamente delle Istituzioni, in uno Stato democratico, oggi più che mai in un momento tanto difficile e cupo.
Pubblicato giovedì 11 Aprile 2019
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